Vedrete che succederà tra quindici giorni. Quando proveranno a riaprire l’uscio dei negozi per portare il cittadino consumatore a fare l’unico dovere civico a prova di fesso: spendere. Apriamo il borsellino e salviamoci, italiani. Natale è la festa del commercio e va bene così, come si dice nei giornali economici: giro di denari da dieci miliardi. Quei soldi ci servono come il pane. Le patrie casse piangono. Bisogna che usciamo, dobbiamo comprare. E compreremo.
Quanto a quello che succede nella gabbia dei matti, i social, devo ammettere che abbiamo passato un novembre molto soddisfacente, la programmazione è stata impeccabile, quasi non ci siamo accorti che fuori dalla finestra c’è la recessione. S’è letta molta letteratura femminista, con un apprezzabile editoriale sensibilizzante a cura di Chiara Ferragni, che ha divulgato a sei milioni di giovani, quindi ora è probabile un cambio di palinsesto perché sennò il pubblico ammoscia. Che pretesto troveremo per giocare a guelfi e ghibellini, a dicembre? Il Natale, ovviamente.
I più veloci già indovinano il germe della rissa. Ci divideremo tra chi è fuorisede con sofferenza e vuole correre a casina sua “Natale in famiglia è un diritto!”, e l’altra fazione, gli schienadrittisti: vi pare il momento di pensare al Natale coi guai che abbiamo? Ma sarete stronzi?
Hanno tutti ragione ma tutti sanno che avere ragione su internet non serve a niente.
Probabilmente ci daranno sette giorni di tregua, liberi tutti di tornare a casa da mammà.
Natale, dicevamo
Com’è che ci caschiamo ogni anno? Perché continua a riscaldarci il cuore quel colossale equivoco, quel motore di rabbia sociale e sentimentale? Se la tua vita è splendida, questi sono i trenta giorni in cui si vede di più. Se fa schifo pure.
Comincia il freddo rito di separare paurosamente i ricchi dai poveri già l’otto dicembre, la settimana dell’albero, dei regali, di Sant’Ambrogio. Il milanese puro, il plutocrate rionale cui i pingui bisnonni intestarono vari palazzi in quel ramo di Milano che da San Babila volge ad est, va via una settimana, di solito sulla neve. Conosco certi che si fanno nove giorni ai tropici e quando tornano un po’ si lamentano, perché in fondo i giorni sono solo sette, due li passi in aereo, forse non vale la pena.
La plebe invece resta nella ressa, con la miserrima tredicesima in mano a obbedire al capitalismo. “Andiamo ai mercatini?” è un pugno al cuore, fa venire voglia di lasciarvi per l’amante, quasi peggio di “andiamo all’Ikea”. Ci sono le caldarroste nelle piazze un euro l’una. Il mondo è ingiusto a ogni angolo.
Intanto s’avvicina il 23 dicembre e imperversano i video Instagram da casa degli influencer con alberi di Natale con le lucine radiocomandate, guardate che bello quando cambia colore. Natale è perfetto così, pacchiano. #adv @addobbideluxeBrera. Manco le palle sull’albero sono spontanee.
Così compri a caro prezzo il biglietto del treno per tornare al paese
La Freccia che costa come un Concorde ma va come un regionale, perché è strapiena e arriva a destinazione con tre ore di ritardo. La gente si leva le scarpe e mangia fetenti patatine.
Natale è tornare nel luogo dove hai avuto vent’anni, fatto tutti gli errori più scemi di gioventù e riambientarsi dopo mezz’ora. Le vecchie case hanno i muri di biscotto, le Madeleine sono ovunque, chissà se lo sapeva, Proust. Ma com’è che ci vogliono dieci anni per levarsi dai baratri e dieci minuti per tornare sul fondo? La tua camera, le strade che sono immobili come nel 1985, riconosci pure i buchi nell’asfalto. In piazza i pali con l’allumata Felice Anno Nuovo attaccata malamente col filo di ferro e le lampadine fulminate. Il freddo, i parenti, e i morti. I morti che a Natale si fanno sentire fortissimo, come se non ci mancassero già abbastanza. Ma hanno ragione, vogliono esserci, in fondo è Natale anche per loro.
Intanto è passato un altro anno
Natale è come le riunioni con gli amici del liceo: non ci vai perché ci si riguarda in faccia e non ci si riconosce, ognuno segretamente convinto di essere il Dorian Gray della festa “io non sono invecchiato proprio”. E invece sei invecchiato. Sono passati venticinque anni? Questa è l’ultima volta che mi vedete, chi vi conosce.
Poi si mangia. Sempre, continuamente.
Pesce soprattutto. Le vongole sono quelle immacolate dell’esselunga, coltivate purissime nelle vasche da bagno, e non sanno di niente. O sono veraci, di mare vero, quindi piene di terra. Spurgare bene la vongola è un’arte rara e la vongola sa aggirarla, come ultima resistenza. Dopodiché ci sono le famiglie col pesce al forno, che si somigliano tutte. E le famiglie col capitone. Se da piccolo non hai mai visto scappare sul pavimento di casa un capitone vivo fuggito dalla bacinella forse non hai mai vissuto.
Arriva la notte della cometa
Ti metti a tavola alle venti e trenta e ti risvegli dai carboidrati il ventisette mattina, con un mal di testa da zucchero. In certe combinazioni domestiche drammatiche esiste un pianoforte nel salotto che non vede accordatori da secoli e uno che si ostina a suonarlo.
Passano giorni di cui non ricorderai niente, scaverai nel panettone piluccando le uvette – costa ottanta euro? Ma secondo te è il migliore panettone di quest’anno? Ma ti pare che può mai essere siciliano un panettone buono?
Vassoi di struffoli ovunque – se non sapete cosa sono gli struffoli meglio per voi – portati in omaggio dai vari casati, vantando di avere la ricetta autentica di zia Mena. Siccome pretendono che li si assaggi, ne prendi un cucchiaio, cercando di evitare la parte coi confettini colorati che squagliano nel miele.
Uscire non aiuta. Perché se esci incontri, e la provincia ha sempre la stessa domanda vagamente risentita: “Vivi ancora a Milano, qui non scendi mai?”. Spallucce. No. E ci mancherebbe, con tutta la fatica che si fa per scappare.
Arriva finalmente il ventotto e puoi tornartene in città. Di cattivo umore, ma lo sapevi. Natale è bello solo se hai nove anni e aspetti che arrivi la casa di Barbie, quella con l’ascensore.
Capite allora perché quest’anno Natale è importante. Sì, proprio in questo 2020 di scarsa grazia. Sarà il primo Natale autentico dell’età moderna, signori. Il mal comune farà il miracolo: tutti uguali davanti al bambinello. Il presepe quest’anno piace a tutti perché non ci sono alternative. Tutti parimenti scocciati, tutti con l’uggia. Se ci va di lusso troviamo pure poca sabbia negli spaghetti e vongole.
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