C’era una volta, nemmeno troppo tempo fa, un gruppetto di giovani cresciuti a macarons ed ego che si aprivano un blog personale raccontando quotidianamente quale fosse il proprio biscotto preferito per fare colazione, come andassero in giro vestiti (tendenzialmente, male) e cosa si sbattessero sul muso, lato make-up, prima di uscire di casa. Considerati soporiferi dai più, quando non veri e propri fenomeni da baraccone, oggi possiamo serenamente ritenerli delle menti illuminate, i padri (e le madri) della tipologia di comunicazione che impera sui social: il self branding spinto. Un’industria virtuale ma milionaria su cui poggiano praticamente tutte le aziende nazionali ed estere, ben felici di poter rimpinguare le tasche di questi freak (pardon, “talent”) per essere rappresentati dalle loro belle facce seguite da centinaia di migliaia di persone, si spera, pronte a comprare merce e prodotti molto spesso di rara inutilità.
Se la situazione già raccontata fin qui suona grottesca, ad aggiungere abisso all’abisso, arriva un nuovo fenomeno: questi influencer, chiamiamoli col loro nome per una volta, da morti di K che tutto sarebbero stati disposti a fare pure di guadagnare seguito su Instagram, si sono digievoluti in killer di follower, pronti ad adottare qualsiasi atteggiamento estremo, arrogante (quando non ai limiti della legalità) pur di perderne. Eppure nessuno – in proporzione – smette di seguirli, loro continuano ad arricchirsi e i brand a invitarli a ripulire le spiagge dalla plastica o a fargli passare settimane in resort di lusso. La domanda che sorge spontanea a questo punto è: cos’altro diavolo deve inventarsi, oggi, un influencer per perdere follower? Ma soprattutto: chi è più stronzo? L’influencer che sgargianteggia sui social mostrandosi in tutta la propria grettezza o l’utente medio che continua a seguirlo come fosse una divinità pagana? Una storia di uova e di galline, una storia a tinte horror sulla stupidità umana che siamo qui per dettagliare con tutti i disonori del caso, pacchetti di follower thailandesi compresi.
Il pensiero non può che andare a Palermo dove la nota “economista” Imen Jane (circa 300mila seguaci), la 26enne che sogna(va) di diventare Michelle Obama per mancanza di Barack, ha recentemente dato spettacolo insieme all’amica Francesca Mapelli rendendosi protagonista di siparietti classisti e snob ai danni di lavoratori (veri) del luogo (una commessa e un receptionist d’albergo). Dopo aver pensato bene di filmare questa pletora di atteggiamenti che mostrano il peggio cliché dell’essere umano milanese e di postarli nelle storie Instagram, la ragazza si è ritrovata a scusarsi – non tutti l’avrebbero fatto, gliene va dato atto – subendo comunque un’emorragia di follower importante (in queste ore il calo ha abbondantemente superato i 10K). Quindi possiamo dire che ci sia una “giustizia” social? Ma quando mai? Il punto vero della situazione, che lei si ricompri pacchetti di follower thailandesi o meno – come si sta polemizzando nelle ultime ore –-, è che questa giovane virgulta di Instagram, di follower, avrebbe dovuto perderne (definitivamente) già da un bel pezzo. Nello specifico, da quando nel 2020 saltò fuori che la sua tanto millantata Laurea in Economia – argomento principe di cui si occupa e che l’ha resa celebre sui social come divulgatrice – non fosse mai stata da lei conseguita (nemmeno oggi, se è per questo). Imen aveva quindi da sempre mentito ai propri follower, esibendo sedicenti competenze e titoli di studio inesistenti. Abbastanza per levare un follow, non vi pare? E invece no, la autoproclamatasi “economista” all’epoca dell’esplosione del bubbone sulla finta laurea, dopo una settimana di vespaio social, continuò a svolgere la sua (non) professione di divulgatrice social vedendo crescere esponenzialmente il proprio seguito come nulla fosse o, peggio, forse anche grazie a questa polemica. Probabilmente, Instagram è un Paese di fuoricorso.
Ma c’è di peggio: vi ricordate il caso di Iconize? Marco Ferrero (555K seguaci), rampollo della Milano bene, nei mesi scorsi si era reso protagonista di un episodio deprecabile: dopo qualche rumor di troppo sulla questione, aveva infatti ammesso di aver inscenato un’aggressione omofoba per pura visibilità. Si dice – versione mai confermata dal protagonista della vicenda – che il giovane divetto dei social si fosse lanciato un surgelato in faccia per tumefarsi il volto, frignare nelle storie Instagram e diventare ancor più paladino nonché testimonial dei diritti LGBTQA+. E via di conferenze, workshop, campagne (compensate a suon di pecunia) per sensibilizzare la pubblica opinione… sulla pericolosa omofobia di alcuni prodotti Findus? Una storia imbarazzante a dir poco che, infatti, ha portato il ragazzo alla (ormai defunta) corte televisiva di Barbara d’Urso per macchiare le bianche poltroncine di qualche lacrima da coccodrillo, osservare una settimana di letargo dai social (senza però cancellare il proprio seguitissimo profilo) e poi tornare bello più di prima, pronto addirittura a prodursi in parodie del suo mirabile gesto per la gioia delle centinaia di migliaia di follower sempre lì, forse immemori del fatto – va bene, erano altri tempi – che alle T.A.T.U. bastò simulare un finto bacio saffico per porre fine a una carriera internazionale. Qualche follower questo giovin Ferrero l’avrà pure perso, è vero, ma possibile che non ci si renda conto dell’orrore manifesto e della noncuranza con cui permettiamo che certi personaggi continuino a essere considerate icone di stile e simpatia e che campino proprio di questo nonostante facciano di tutto per mostrare ai quattro social la propria straripante grettezza?
Abbiamo riportato due casi eclatanti, ma come non citare la fashion addicted Chiara Biasi (2,8 milioni seguaci), quella che “Io per meno di 80mila euro non mi alzo neanche dal letto” e che bullizza i rider tramite storie Instagram mentre il suo personal hairstylist le mette in piega la chioma? Per non parlare degli strafalcioni di Giulia De Lellis (4,9 milioni seguaci), una che ha scritto un libro bestseller (sulle corna, ma di sicuro non ce l’aspettavamo sulle leggi della termodinamica) ma che non riesce a fare a meno di inanellare refusi da Guinnes World Record perfino nelle caption più basic e striminzite. Fossero validi o anche solo vagamente interessanti, poi, i messaggi che manda ai propri sudditi. Basta aprire Google per avere uno storico delle bestialità di prestigio fuoriuscite dalla sua boccuccia glossy glossy in #adv. Si va da “Le curvy non sono belle da vedere” all’esigenza di mostrarsi sempre perfette di fronte al proprio partner per tenerselo stretto: guai ad andare in bagno in sua presenza o a indossare “pigiami di merda e calze imbarazzanti” in casa. Parole che fecero molta eco durante il lockdown, vista la condizione di chiusura (e conseguente abbruttimento psico-fisico) che tutta Italia stava vivendo. Pardon, tutta Italia tranne lei che si immortalava a saltellare felicemente tra le montagne svizzere con buona pace della zona rossa e di quegli stronzi dei suoi follower, presumibilmente a casa in ciabatte e disperazione.
Se questa gente è famosa, strapagata e considerata guru della comunicazione pur non essendo fisicamente in grado, spesse volte, di coniugare un singolo verbo, è anche colpa tua. Stop making stupid people famous, santo cielo. Nemmeno loro vogliono più essere seguiti e stanno facendo l’impossibile per morire di K. Che eutanasia social sia, grazie.