Los niños del parque fuman cigarillos, ritornello del 1981 da Berlino, campionamento archetipo della prima house di Chicago e Detroit. I ragazzi si passano le sigarette illegali, ancora più vietate perché la saliva altrui non si può scambiare, se non tra congiunti o familiari, ma sarebbe incesto.
Lo dicono nel Dpcm, nei Tg e su Facebook, recinto mediatico per over 35, dove i ragazzi dei cigarillos non stanno perché c’è Tik Tok e tutto il social che non so. Li ho visti da lontano, stanotte mentre rientravo sulla mia bici da vecchio che non vado sul loro monopattino. E ovviamente non mi posso avvicinare.
This is Covid generation gap. Da una parte il cielo in una distanza dalle pareti sempre più tangibili: melanconica constatazione che tutto attorno stia chiudendo; mondi altrui potenziali svaniscono per la vita preventiva che da marzo ci sta dividendo dal resto del mondo, dagli esseri umani che avremmo potuto conoscere e da chissà quali chance di cambiamento e possibilità.
Dall’altra parte, loro, i ragazzi del parco che se la ridono, refrattari alla prosopopea che emana dalle istituzioni e da queste mie parole generalizzanti. Gott mit uns, fumano, bevono e scopano senza tenere le distanze. Se ne fregano perché lo dice Darwin, führer interiore strafatto di testosterone e dissing fra trapper.
Vendetta generazionale contro il nostro mondo che davamo per scontato, retorica compresa: quella degli esperti in giovani che in questi anni li hanno tranciati, definendoli bamboccioni incastonati nelle case dei genitori. Senza però tenere conto degli stipendi da fame e minimi sindacali di un paese che rende sempre più precari.
Sì, dopo il parco se ne tornano a casa e contagiano l’intero albero genealogico, per alimentare l’ennesimo bollettino sul Covid e il teatrino delle statistiche, orchestra di violini su un Titanic che, invece di affondare, si incaglia sempre di più in un giorno della marmotta che ricomincia ogni volta dalla paura silenziosa di deglutire e accorgersi di avere mal di gola.