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Dall’incidente mortale
al figlio sotto processo:
Beppe Grillo ha attenuanti solo per se stesso

  • di Marco Ciotola Marco Ciotola

20 aprile 2021

Nel 1981 l’incidente su un fuoristrada Chevrolet dove persero la vita 3 persone, tra cui un bimbo di 9 anni. Grillo riuscì ad uscire dalla vettura prima dello schianto. In tanti anni, non contatterà mai la figlia delle vittime. Oggi la discutibile invettiva sulle accuse di stupro a suo figlio. L’ennesimo episodio che conferma una linea di giudizio sul suo privato che alterna la cautela all’evidenza delle attenuanti, esattamente il contrario alle espressioni pubbliche verso l’avversario di turno

di Marco Ciotola Marco Ciotola

I giornalisti per Beppe Grillo? Una vera casta. Matteo Renzi? Un avvoltoio. Berlusconi? Rappresentante della P2. L’ex sindaco di Catania Enzo Bianco? Con lui a “serio rischio di infiltrazioni mafiose”. L’attore Claudio Amendola? Campa di gioco d’azzardo. Lo scrittore premio Strega Edoardo Albinati? Mosso da “rabbia disperata”. L’ex direttore del Tg1 Mario Orfeo? Una “figura meschina, va mandato a pulire i bagni della Rai”. 

Sono solo alcuni esempi delle centinaia di uscite di Beppe Grillo che lo vedono emettere una sentenza rapida e bruciante su una figura vista al momento – per i motivi più disparati – come avversaria. Non importa la motivazione politica, o almeno non è la sola ragione che lo spinge a un verdetto simile. L’equazione è più o meno sempre la stessa con il comico e “megafono” del Movimento 5 stelle: una persona sarà sempre e solamente etichettata per la cosa peggiore che ha fatto, per l’episodio più discutibile, per l’elemento più controverso, per la categoria giudiziaria o paragiudiziaria al quale si avvicina di più: indagato, citato, denunciato, condannato, prosciolto, diffidato, contestato. L’arrotondamento per difetto – dalla politica al giornalismo, dalla letteratura al cinema, dalla storia all’economia – è una linea di calcolo costante.

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La Chevrolet dell'incidente del 1981

Poi però c’è il suo privato. Qui il metro è opposto, le parole rallentano, l’andamento si fa a tratti meditabondo, si prende del tempo e – quando serve – dei silenzi. Nel privato non sono le vicende personali a caratterizzare le persone, le etichette esistono ma si rifuggono. C’è quel terribile incidente del 7 dicembre 1981 che lo vide, alla guida dell’auto, salvarsi per miracolo ma costretto a constatare la morte degli altri tre amici a bordo. Circostanza tragica, giustamente circondata dal suo rispettoso silenzio. Un silenzio che non fa eccezioni, neanche per la figlia delle vittime, mai cercata né contattata da Grillo come ricorda lei stessa al Giornale. Simili episodi e linee d’atteggiamento potrebbero quasi riportare il comico in pieno ambiente Innocence Project, mosso dal celebre detto garantista “Sei migliore della cosa peggiore che hai fatto”.

Poi però c’è la vicenda relativa al figlio, Ciro, accusato di stupro ai danni di una diciannovenne insieme ad alcuni amici. Qui non c’è rispetto, né della vicenda giudiziaria né della presunta vittima. Qui non c’è cautela, ci sono solo attenuanti, elementi dai quali trarre l’innocenza del figlio, sospetti sugli atteggiamenti della presunta vittima e una traslazione del fatto a caso universale con tanto di “se arrestate lui allora arrestate anche me”:

“Una persona che viene stuprata la mattina, il pomeriggio fa kitesurf e denuncia dopo 8 giorni è strano. E poi c'è un video in cui si vede un gruppo che ride, ragazzi di 19 anni che si divertono e ridono in mutande, perché sono quattro coglioni, non quattro stupratori […] Perché non li avete arrestati subito? Se dovete arrestare mio figlio perché non ha fatto niente? Allora arrestate anche me, perché ci vado io in galera”, urla dai suoi social Beppe Grillo.

Pur rifuggendo dall’esistenza di una linea corretta di atteggiamento nei confronti del concetto più ampio di giudizio (non esiste), si potrebbe se non altro provare ad avere sempre lo stesso, sarebbe quantomeno un buon inizio. Poi tutto il resto lo si vede.

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