Sono uomini in movimento, come noi. Li riconosci subito perché sulle spalle si portano un borsone più grande di loro. Troppo per un motorino, per una bicicletta. Troppo per affrontare le strade, il traffico di giorno, le città silenziose e misteriose di notte. Troppo. Negli anni ’90 c’erano le lucciole, ora ci sono loro: i riders. Li vedi, sono schegge illuminate, più veloci dell’attesa di una cena. Più veloci della voglia di un panino con la salamella o dello snack notturno per combattere la fame chimica.
Esistevano già prima del lockdown, soprattutto nelle grandi città, ma forse non ce n’eravamo accorti. Oggi se ne parla di più perché sono diventati i nostri migliori amici nei pasti serali, quando abbiamo quell’improvvisa voglia di pizza o del nostro ristorante preferito. Ne parla anche la cronaca di questi giorni: “Derubato e preso a sprangate dal cliente che aveva ordinato il cibo”.
Sì, perché questo lavoro è anche pericoloso.
Soli, spesso stranieri, buttati all’avventura tra i pericoli dei viali, con compensi da fame e identità invisibili, perché per la gente è importante cosa abbiano dentro la borsa, non il loro sorriso. E solo quando il mondo si è fermato per il virus, abbiamo scoperto che fare il rider è un lavoro anche per molti italiani, una opportunità per non stare a casa ad aspettare i sussidi dello Stato che non arrivano o per sopperire all'emergenza di un momento. Non è quindi solo una questione tra immigrati.
Per uno di loro, precisamente nel 2008, si erano addirittura aperte le porte dei reality e della tv nazionale, un sogno realizzato che non si era poi trasformato in professione nel mondo dello spettacolo. Fabio Orlando oggi ha 36 anni, vive a Roma e di professione fa il rider per la compagnia Glovo. In televisione aveva partecipato all’ottava edizione del Grande Fratello ed era entrato nella Casa insieme a tutta la famiglia: i fratelli Domenico e Giuseppe, la madre Carmela e il padre Filippo. Una presenza abbastanza fugace della famigliola siciliana di Furnari (paesino in provincia di Messina), ma sufficiente per lasciare il segno, anche per la scelta assolutamente nuova degli autori del programma.
Dopo il Grande Fratello, grazie ai guadagni messi insieme in quell’esperienza, insieme al fratello Domenico avevano aperto un B&B e un affittacamere a Roma, nei pressi della sede dell’Università “La Sapienza”. Gli affari sembravano andare molto bene, fino a questo maledetto 2020: “È arrivato il Covid e sono spariti i turisti. Gli incassi sono diventati praticamente zero, mentre i costi fissi per tenere aperte le attività non si abbassano mai. Come facevamo ad andare avanti? Ci ho provato per qualche settimana, poi ho gettato la spugna. Dovevo pagare circa 2000 euro al mese solo di affitto per il B&B e un po’ di più per l’affitta camere. Senza clienti era impossibile”.
Ristori, aiuti da parte del governo, sconto sull’affitto. Qualcuno vi ha aiutato?
“Per l’affittacamere abbiamo ricevuto il bonus del governo e i fondi destinati alle attività con partita Iva e questo non significa che le cose vadano bene, ma almeno siamo ancora aperti. Il B&B invece siamo stati costretti a chiuderlo. Essendo un’attività con codice fiscale fa parte di tutto quel sommerso che non ha ricevuto nemmeno un centesimo di aiuti. Assurdo? Sì, ma è tutto vero”.
Così sei rimasto senza niente.
“Peggio. L’affittacamere aperto con mille difficoltà, il B&B chiuso con mesi di perdite totali. Sono andato avanti un po’ con i risparmi, poi sono finiti. Onestamente non sapevo come mettere tutti i giorni la pastasciutta in tavola”.
Una condizione estrema.
“Quando non hai più niente non hai scelta ed essendo una persona che non ama lamentarsi, ma che si rimbocca le maniche, ho cercato subito un lavoro. In questi mesi di lockdown o mezzo lockdown uno dei mestieri dove ci sono maggiori opportunità è quello dei rider”.
Conoscevi le condizioni di lavoro in cui ti saresti trovato?
“Molte cose le sapevo, ma non mi sono posto il problema. Avevo bisogno di lavorare e qualsiasi impiego sarebbe andato bene”.
Prova a riavvolgere il nastro, al 2008. La chiamata al Grande Fratello, la televisione, la notorietà. Avresti mai pensato di lavorare come rider nel 2021?
“Perché è una cosa importante? Subito dopo il Grande Fratello sapevo che quello della televisione non sarebbe stato il mio mondo. Grazie a quell’esperienza, insieme a mio fratello, abbiamo messo da parte un po’ di soldi per avviare le attività a Roma, il B&B e l’affittacamere. Mica è poco. Fino a quest’anno, peraltro, gli affari andavamo anche molto bene. Il lavoro c’era, potevamo essere solo soddisfatti. Se oggi qualcosa è andato storto non dipende da noi. È successo un po’ a tutti”.
Ci vuole carattere per adattarsi.
“Non mi sono mai soffermato a ciò che gli altri possono pensare, credo che nella vita bisogna darsi da fare per migliorare le nostre condizioni. Anche oggi che sono un rider vivo la mia vita a testa alta e, anzi, cerco di lavorare il più possibile per farmi un buon stipendio”.
Per quale compagnia di consegne a domicilio lavori?
“Ora sono un rider di Glovo e precedentemente ho lavorato per Uber Eats. Alla fine, sai che ti dico? Mi diverto. È tutto vero quello che si dice dei rider: non ci sono tutele di nessun tipo, ogni giorno siamo in mezzo alla strada a nostro rischio e pericolo, i compensi sono bassi, non sempre trovi persone educate in giro, però sticazzi! Io so che devo seguire una regola: più lavoro, più guadagno. Il resto è secondario”.
Quanto guadagni?
“Veniamo pagati al chilometro. Precisamente 42 centesimi per ogni chilometro, poi nel week end ci sono extra e bonus. Il segreto è essere veloci in modo da completare il turno di lavoro con più consegne possibili. Sei fortunato quando fai tanti spostamenti in un raggio ristretto, quando invece in una città come Roma la devi attraversare per un solo cliente devi essere bravo a non perdere tempo. Io riesco a guadagnare uno stipendio dignitoso, ma è ovvio che non è per tutti la stessa cosa”.
Cosa cambia da un rider a un altro?
“Il mezzo. Puoi farlo in bicicletta, in motorino, in macchina. E se sei in bicicletta fai più fatica, non solo fisica, ma è difficile guadagnare abbastanza. Però, purtroppo, molti ragazzi stranieri non possono permettersi altro e se riescono al massimo a raggranellare due soldi per una bici è già un miracolo. Sai qual è anche il problema?”
Quale?
“Le biciclette gliele rubano. Ogni giorno, nella zona della stazione Termini ne spariscono a decine: sono i mezzi dei rider, non sono solo due ruote. Per loro significa perdere tutto, la vita. La speranza”.
In questi giorni la cronaca riporta la notizia dell’aggressione al rider a Roma, in zona Prenestina. A te è mai capitato di trovarti in situazioni non proprio piacevoli?
“Sì, qualche volta. Te ne racconto un paio, quelle che ricordo bene. Una sera è arrivata una chiamata per consegnare la cena a Castel Romano. Sono partito e dopo un po’ ho pensato di essermi perso. Arrivato in un piazzalone senza niente, senza luci, senza case, ho chiamato il numero di telefono che avevo, si sono avvicinate delle persone che mi hanno detto di seguirli. Sono finito in un campo rom. Sono stati gentili, mi hanno lasciato anche la mancia. Diverso è stato quando ho dovuto fare una consegna a Tor Bella Monaca. Arrivato con le mie pizze e mi sono reso conto di trovarmi in una piazza di spaccio nel pieno dell’attività. Due persone mi hanno piantonato fino a quando non si è presentata la persona che doveva pagare. Non è successo niente, ma ho avuto paura. La dinamica più assurda si è verificata però con un ragazzo, in centro a Roma. Quando sono arrivato con il pacco cena mi ha detto che non aveva soldi e nemmeno il bancomat. Così ha chiamato un amico. Mentre lo aspettavamo ha steso la cocaina sul tavolo e me l’ha offerta dicendomi “dai rilassati un attimo”. Ovviamente ho mantenuto un approccio professionale e quando ho riscosso la consegna, sono andato via”.
Dai tuoi racconti emerge un contesto di precarietà assoluta. È la fotografia di persone lasciate sole nella schizzofrenia di grandi città, nel tuo caso a Roma.
“Sì, ci vorrebbero più tutele e maggiore attenzione a una categoria di lavoratori oggi numerosa. Però perché lamentarsi? Sono abituato a farmi il mazzo e quando c’è da sacrificarsi, anche solo per un periodo della nostra vita, bisogna solo rimboccarsi le maniche e andare avanti, ma quando sento dire che questo è un lavoro da immigrati, mi arrabbio. Che significa? Chi ha deciso quali sono lavori più eletti? Qualsiasi lavoro ci dà dignità e futuro, il resto sono tutte chiacchiere e spesso giustificazioni, oppure una visione razzista che dobbiamo solo condannare. La vita non è il Grande Fratello, ci vuole volontà per uscirne vincitori. Prima di salutarti ti dico l’ultima: scrivete che i locali, anche se chiusi di sera, ci facciano accedere al bagno. È davvero diventato impossibile resistere per turni anche di dieci ore trattenendo qualsiasi cosa. Provateci voi e poi ditemi come si sta”.