E’ freddo, piove pure, e là fuori c’è una guerra. Lucio Dalla ne avrebbe fatti 80 oggi, russi e ucraini si ammazzano da uno o già di lì senza promettere niente di buono, la figlia di Vale fa un anno e per le corse in moto c’è da aspettare ancora un po’, perché quelli veri della MotoGP non hanno ancora cominciato e per gli spari del fine settimana è ancora troppo presto, tra assicurazioni sospese e asfalto ancora troppo balordo. E’ un 4 marzo. E’ il 4 marzo. E’, o almeno lo è stato per chi scrive, la giusta notte insonne per rivedersi con più calma e migliore attenzione All In Marc Marquez, il docufilm prodotto dal fenomeno di Cervera per raccontare gli anni della sua guerra. Ma è, appunto, anche il 4 marzo, con quella musichetta lì che in questa data finisce per trapanarti la testa accompagnando parole che sono poesia e identità: “Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare…”
Però che c’entrano gli 80 di Lucio Dalla e quella canzone lì con Marc Marquez? Magari niente, magari c’entrano solo il blu e il rosso che sono di Marc Marquez e della Bologna di Dalla. O magari di canzoni ce ne entrano altre due, scritte proprio da Dalla, che parlano di modi e di dolore, di essere uomini – umani - con un orgoglio tale da contrapporsi persino a Dio: d’amore, di guerra appunto, e pure di santa strafottenza. Una è Henna, una preghiera scritta quando la Guerra era nei Balcani e che racconta una sofferenza che sembra quasi senza speranza, proprio come quella che Marquez racconta nella prima parte del suo docufilm. Piange, Marc Marquez, quando ricorda di aver pensato persino di smettere e lascia che le lacrime gli escano di nuovo solo quando tira in mezzo suo nonno: il riferimento, la voce autorevole, che gli dice proprio di farsela finita con questa storia delle corse. Quelle corse, però, che sono per il 93 la stessa cosa dell’amore cantato dai poeti e dallo stesso Dalla in Henna. Un amore che, alla fine dei giochi, finisce per essere amorevole pure con il dolore. “Troppo sangue qua e là sotto i cieli di lucide stelle / Nei silenzi dell'immensità / Ma chissà se cambierà, non so / Se in questo futuro nero buio / Forse c'è qualcosa che ci cambierà / Io credo che il dolore, è il dolore che ci cambierà / Oh ma oh il dolore che ci cambierà” - canta Dalla, 80 anni oggi senza esserci più, in quella preghiera che è Henna. Come se la guerra, odiosa e terribile sempre, fosse però qualcosa di dannatamente inevitabile, perché produttrice di quel dolore che è radice di ogni cambiamento e figlia, ignobile ma pur sempre umana, del desiderio di conquista. E’ stato così anche per la guerra di Marquez in un giorno di luglio a Jerez, durante una rimonta forsennata, in quello stato di gloria e onnipotenza che ti fa provare la velocità quando senti che stai andando forte davvero: imprendibile, tanto da ignorare tutte le avvisaglie. Fino alla prima esplosione. Che, nel caso di Marquez, è stata proprio in quella stessa gara: la caduta e la moto che gli piomba su un braccio. Il resto è Marquez a raccontarlo: “Ho voluto correre di nuovo, subito, e ho sbagliato”.
Come se le ferite di quell’esplosione, come se il dolore generato, non fosse stato considerato come avrebbe meritato. Come se a quel dolore non avesse permesso di trasformarsi in origine di un cambiamento. E alla fine la mano ce l’ha messa il destino, che ce la mette sempre un po’ anche per chi nel destino non ci crede e ai segni preferisce non farci caso.
S’è fatto più grande quel dolore. S’è fatto calvario. S’è fatto bivio e domanda: smetto o vado avanti? La risposta poteva essere una sola, nonostante il combattimento interiore e un nonno da non deludere. E è la stessa risposta che chiude Henna: “Sotto un cielo senza pietà / io ti cercherò anche da così lontano, ti telefonerò / In una sera buia sporca fredda / Brutta come questa / Forse ti chiamerò perché vedi / Io credo che l'amore è l'amore che ci salverà”. L’amore che risolve le guerre, l’amore che per Marc Marquez è correre e provare a vincere. Che poi è il concetto che ripete come una ossessione in tutto il suo docufilm. Ammettendo d’aver vissuto una guerra, riconoscendo che il terreno adesso è segnato dal dolore e pure da qualche orrore, scommettendo, però, nell’unica certezza su cui vale la pena scommettere davvero: la propria persona.
Marc Marquez lo ha fatto rispondendo al dolore con una strafottenza che non porta cicatrici, ma che non ha nemmeno la pretesa di nascondere quelle che invece segnano il suo braccio. La sua anima. Anzi, le ostenta come il simbolo di quel dolore che ti cambia. Ma non ti fiacca. Come una minaccia per dire a Honda: “Lo vedete questo? Io ho sopportato questo perché voglio vincere, voi siete disposti a tanto?”. Non ti fa dire “basta” anche se tutto e tutti, tuo nonno compreso, ti dicono che invece dovrebbe bastare. “Ancora una volta nonno, voglio vincere ancora una volta” – dice Marc in All In. C’è desiderio che arde, c’è consapevolezza e sogno insieme, c’è spinta potente e pervasione. C’è bellezza, iniettata a dosi quasi pericolose dentro un tentativo. Tanto da sembrare quasi strafottenza a chi non riesce a tenere conto di quanta umanità, orgogliosa umanità, c’è dentro la capacità di conoscere il dolore, scarnicciandolo fino ad arrivare ad amarlo per poterlo trasformare, allora sì, in cambiamento. E è lì, nella seconda parte di All In Marc Marquez, rivisto in questo 4 marzo 2023, che viene in mente l’altra canzone (poesia) di Lucio Dalla: Siamo Dèi. Che non è una preghiera come Henna, ma quasi una sfida a Dio o a quegli uomini che dietro Dio si nascondono sapendo di non essere abbastanza uomini. Ricorda un po’ il “Dialogo tra un moribondo e un prete” di De Sade, ma con più garbo, quasi una certa grazia della strafottenza, e con un po’ di quell’ironia in più che è ingrediente (che ci piaccia o no) anche di Marc Marquez. “Noi siamo dei e la tua vita è un inferno / O qualcosa di più atroce / Potresti vivere anche tu in eterno / Se ti pentissi e se abbassassi un po' la voce” – scrive Dalla in una parte di quella canzone, simulando, appunto, un dialogo tra divinità e uomo. E è nella risposta che c’è Marc Marquez proprio così come si è raccontato in All In e come si sta raccontando ultimamente: “Oh, oh, oh, brutta specie di un aeroplano / Ma non ti accorgi che stando in alto / Vedi il mondo da lontano? / Per che cosa mi dovrei pentire? Di giocare con la vita / E di prenderla per la coda? Tanto un giorno dovrà finire / e poi, all'eterno ci ho già pensato: è eterno anche un minuto”. Già, Marc Marquez all’eterno ci ha già pensato perché le pagine scritte, sportivamente parlando, fanno ormai parte della storia del motor sport. Ma è il prossimo minuto di eterno ciò che gli interessa davvero e ce lo sta dicendo in ogni modo possibile. Forse, senza rendersene conto, ce lo sta anche insegnando… Persino in questo 4 marzo in cui Lucio Dalla ne avrebbe fatti 80.