Chi sceglie di correre vive nell’incubo di rincorrere. Ma di assoluto non c’è mai niente. Chissà se lo ha pensato anche Valentino Rossi, svegliandosi questa mattina e ricordandosi che oggi, proprio oggi, ne fa 44? Da due non corre più in moto, adesso lo fa in macchina ma con ritmi e dinamiche che non c’entrano niente con il passato, però è ancora un pilota da corsa e se c’è un verbo che anche lui avrà considerato maledetto è “rincorrere”. Tre letterine messe lì in principio a stravolgere del tutto un altro verbo che, invece, rappresenta l’essenza del piacere. Rincorrere suona pure un po’ d’affanno e disincanto, di fatica e amarezza, di occhi che devono per forza guardare avanti senza il gusto di controllare dietro solo per accertarsi che a rincorrere siano gli altri.
Ecco, rincorrere è essere dietro, è non essere primo, è ritrovarsi costretti a sputare sale per poter competere. E’ maledizione. Per un pilota, sia inteso, ma probabilmente lo è un po’ per tutti e in ogni terreno, non solo tra cordoli e asfalto. Considerazioni nel giorno di un compleanno. Che c’entrano poco o c’entrano zero se non fosse che qualche giorno fa ci siamo imbattuti in un video che gira sui social. C’è una bambina vestita di rosa che gattona e sembra voler scappare. E’ Giulietta Rossi, la figlia di Valentino, anche se a rincorrerla in quel video è il nonno materno. Lei tra pochi giorni, il 4 marzo, compirà un anno e probabilmente sta insegnando a suo padre Valentino, anni 44 oggi, che quel verbo maledetto, rincorrere, può essere di una dolcezza devastante.
Scappa, Giulietta, come scappavano via Loris Capirossi, Max Biaggi, Casey Stoner, Jorge Lorenzo, Marc Marquez e qualche volta pure Dani Pedrosa e Marco Melandri, in quel gioco a battere gli altri mentre si prova a battere se stessi che sono le corse. E anche mentre si scrive la storia di uno sport, facendo uscire matti milioni di ragazzini in tutto il mondo tra gag, botte di gas e di testa e rivoluzioni tecniche. Solo che senza neanche accorgersene, così impegnati a maledire non tanto gli avversari, ma la condizione del “rincorritore” in cui ci si è ritrovati. E senza accorgersi nemmeno che nel frattempo il tempo passa, i capelli cominciano a diventare da biondi a così particolarmente biondi da risultare bianchi, e una decisione si avvicina: smettere di correre e capire cosa si vuole fare da grandi.
Fino a che non succede qualcosa. Fino a che, anche se ti chiami Valentino Rossi, scopri che c’è un essere, un titolo, un ruolo, una definizione che è capace di scalzare via anche la parola che per tutta la tua vita è venuta prima di ogni altra: pilota. Perché pilota è niente, come è niente tutto, davanti alla parola padre. E’ scelta che segna dentro e incide fuori, ma in eterno equilibrio (e quasi sempre anche conflitto) tra la volontà e il non potere, tra il coraggio e la paura, tra il dover rincorrere e il non voler raggiungere. Figuriamoci il superare. E magari è proprio questo il regalo per Valentino Rossi oggi che ne fa 44: imparare, mentre insegna, che quando a scappare è qualcuno di così speciale, allora c’è un gran bel gusto anche a perdere. A rincorrere senza avere la minima intenzione di superare. Un regalo che, inevitabilmente, si mette dietro, lasciandoli a rincorrere, tutti gli altri regali, tutti gli auguri di mezzo mondo, i videomessaggi dei pilotini (li chiama così anche adesso che uno di loro è campione del mondo di MotoGP) dell’Academy e i titoli in tutte le lingue su questo 16 febbraio 2023: il giorno in cui il 46 ne ha fatti 44, il primo compleanno da padre dopo 43 da pilota.