Ostinazione. E’ la più straziata delle parole, un po’ perché non suona neanche bene – con quella durezza lì nel principio – e un po’ perché fa pensare a una lamina. Una lamina di quelle d’oro, che impreziosiscono anche il più banale degli oggetti, ma anche una lamina che taglia e fa male su tutti e due i lati: dentro e fuori. Nonostante sia sottile, così sottile da ritrovarsi spesso confusa con l’illusione, con l’essere sognatori, col non saper calibrare gli obiettivi in base alle possibilità. A volte persino – e qui è quasi una bestemmia – con la pervasione. Ostinazione è caratteristica e valore, però con le mani bucate, visto che sottintende lo spendersi oltre ogni limite umano e il non risparmiare nulla. Figuriamoci il risparmiarsi. Pure il vocabolario è severo con l’ostinazione: persistenza spesso irragionevole o inopportuna, riconducibile al carattere.
Ha una sua potenza, l’ostinazione, che però si misura solo in fallimenti o, a volte ma solo a volte, successi. Chi ne ha tanta vorrebbe averne un po’ di meno, anche se la verità è che gli piace così, chi non ne ha la snobba, finendo per confonderla con le sue stesse sfumature. Alla fine dei conti, però, anche l’ostinazione è un talento. Anzi, è il talento di chi magari sul talento vero e proprio non ci può contare.
Nel motorsport, l'ostinazione è ingrediente della ricetta che ha fatto ogni pilota, ma in MotoGP ce ne è uno che probabilmente la faccia dell’ostinazione ce l’ha più di altri. Si chiama Luca Marini, è nato a Tavullia e non è il figlio di nessuno. Perché è il figlio della stessa mamma di un certo Valentino Rossi e quindi è cresciuto con una leggenda per fratello. Tra l’altro con un bel po’ di anni di differenza. Roba da sentirsi in ombra per sempre. Roba da programmare il proprio futuro pensando a qualunque sbocco, tranne quello delle motociclette, perché un fallimento peserebbe il doppio e ogni successo varrebbe la metà. Invece Luca Marini da Tavullia ha un talento che probabilmente non è quello della velocità nel sangue, del polso destro che ruota di più e della fame feroce che di solito hanno tutti i piloti. Lui, Luca Marini da Tavullia, ha il talento dell’ostinazione.
Ha voluto provarci con le motociclette. Nonostante tutto. Nonostante la consapevolezza che tanto non gli sarebbe stato mai riconosciuto abbastanza. Attenzione, non stiamo dicendo che Luca Marini il talento quello vero non ce l’ha, perché altrimenti in MotoGP non ci arrivi nemmeno se sei il più ostinato tra gli ostinati e tutto il tuo albero genealogico ha scritto la storia delle motociclette, ma la sua storia racconta di un ragazzo che ha dovuto imparare a mandare avanti la ragione, il pensiero, il lavoro. Come quelli normali, insomma, solo che con il peso di non potersi permettere nemmeno d’essere normale. Ha seguito tutto il percorso, ha fatto la sua bella gavetta fino al mondiale, ma quando è arrivato a giocarsela con i migliori non aveva neanche un nome e un cognome: era il fratello di Valentino Rossi. Punto. S’è messo giù in barba a tutto, soffrendo le delusioni delle corse e crescendo ogni anno. Fino a meritarsi una Moto2. Ma anche lì giù coi giudizi pesanti, nonostante un titolo mondiale sfiorato. Poi è arrivata la MotoGP con Mooney VR46 e Ducati e la trafila è stata la stessa: fatica all’inizio e poi sempre una crescita, ma con il mondo pronto a sottolineare quello che manca ancora.
Tanto che a Sepang, dopo aver chiuso al primo posto i tre giorni di test, Luca Marini da Tavullia, l’ostinato della MotoGP, ha dovuto ribadire al mondo che se la sorpresa c’è stata per tutti, lui non se la sente affatto di chiamarla sorpresa. “Certo che me l’aspettavo – ha spiegato – A Valencia avevo chiuso primo e volevo farlo anche a Sepang. Alla fine la moto è quella, gli uomini sono quelli, la squadra è quella e io sono io”. Certo, sono solo test e verosimilmente il titolo mondiale non sarà l’obiettivo del Maro, ma magari è arrivato il momento di togliergli la targa da “beneficiato” per riconoscergli quella molto più preziosa e lucente di “ostinato”. Il resto, come sempre, sarà la pista a dirlo, con Marini che, però, sembra essere assolutamente certo che il lavoro fatto, seminando sempre a testa bassa, potrebbe dare qualche frutto importante proprio in questa stagione alle porte. “Siamo tutti molto vicini e la Ducati .è ancora la migliore che c’è, speriamo possa continuare ad esserlo anche a fine stagione. Certo, vedo tutti molto agguerriti, ma lo sono anche io”