Tumulto. E’ la più arrapante delle parole, perché esprime una situazione di caos che però ha una causa e pure un effetto ben definiti e perché suona di altezza. Una fase di alta concitazione, ma più elegante della rivolta, più strutturata della ribellione, più mossa dal pensiero che scalcia che dalla pancia che borbotta. Tumulto è domanda (di cambiamento prima di tutto) e risposta (all’irrequietudine che percepisci), mantiene un ordine anche nel disordine di quello che esprime. Il dramma di ogni tumulto, però, è di finire confuso con ciò che non ha lo scopo di costruire, ma solo di rivoltare. O, peggio ancora, di sbattersene.
Gli occhi del tumulto, in MotoGP, ce li ha Franco Morbidelli, ormai da un bel po’ di tempo, insieme a una gamba rotta e il cuore spezzato. Spezzato da chi il suo tumulto, appunto, ha voluto confonderlo. Lo hanno dato per perso. Sopravvalutato. Arreso. “Certi commenti – ha detto – toccano il cuore, ma devi scartarli subito per igiene mentale”.
La gamba riparata e il cuore ancora lì: a provarci senza riuscirci, mentre quella moto che aveva gli stessi colori del sogno somiglia sempre di più a un incubo. Franco Morbidelli, però, quella moto non ha smesso di amarla, forse adesso che è il suo incubo è arrivato a amarla ancora di più, perché ora è pure una sfida. La sfida di essere per quella moto, piuttosto che pretendere il contrario. A fare male, invece, sono le conclusioni tirate in fretta, le ipotesi buttate là. Franco Morbidelli sta pensando di smettere. Qualcuno l’ha raccontata così. Altri, invece, l’hanno messa più morbida, provando a dire che tra il pilota italobrasiliano e Yamaha si sarebbe potuti arrivare a un accordo per la rescissione del contratto, magari per lasciare libera la sella a Toprak Ratzgatlioglu. Come se Franco Morbidelli fosse uno che molla. Come se il vero sport di Yamaha non fosse la MotoGP, ma la rescissione dei contratti. Non è successo e non succederà: Yamaha ha provato a dirlo già mesi fa. Lui, Franco Morbidelli, invece, è rimasto in silenzio, con quell’aria lì di chi sembra eternamente convinto che quasi sempre il silenzio sia la miglior risposta. Recentemente gli hanno chiesto ancora quanto ci fosse di vero e la sua replica sembra una riga di Bernanos (un altro che la moto l’ha avuta per musa, tra l’altro): “Ho vissuto situazioni ben più difficili nella mia vita, anche se ho 27 anni. Però in 27 anni non ho mai rinunciato a arrivare a destinazione, non ho mai lasciato niente a metà”. Fede cieca e fiducia che ci vede benissimo.
Reazionario senza reagire. Perché il pilota romano trapiantato a Tavullia ha una storia speciale (l'abbiamo raccontata qui), di bastonate atroci e rinascite feroci, che gli ha insegnato esattamente questo: il tumulto è meraviglioso sempre, ma non necessariamente è pubblico. Anzi, quando sta dentro te lo vivi tutto, lo senti di quella potenza che fa pure male parecchio, ma te lo coccoli perché è tuo e basta, ricorrendo all’esercizio principe dell’essere umano: il pensiero.
E’ dentro che sta cercando il setting giusto e è dentro che lo troverà, come ha fatto sempre (sua mamma Cristina ce lo aveva spiegato in occasione della sua prima vittoria a Misano). Come ha anche dovuto imparare a fare. Il tumulto a Franco Morbidelli glielo vedi negli occhi, quasi sempre scazzati quando c’è da andare a dire banalità (perché più di quelle non si può mica dire) davanti ai giornalisti della MotoGP; glielo vedi in un modo di guardare che ricerca un oltre; glielo vedi nelle espressioni che sembrano di timidezza, ma sono di sorpresa. E la sorpresa, per uno così e con quella storia lì, è dover scoprire ogni volta che anche tra chi gioca con la vita può esserci superficialità. “Correre in moto è quello che so fare” – aveva detto tempo fa in una intervista. Come a dimostrare la consapevolezza che c’è pure altro, ma con la sfrontatezza di ammettere che altro, almeno per adesso, non gli interessa. Nuotare, insomma, resta il verbo che lo accomuna a tutti gli altri e al mondo a cui appartiene, ma di nuotare a pelo d’acqua e due bracciate dalla riva non gli va. E non lo farà. Vuole la profondità, quella in cui nuotano i rari. Pur sapendo che di tempo ce ne vuole di più, che sparare su una moto che oggettivamente è inferiore sarebbe stato più facile, che prendersela con una squadra che lo considera “quell’altro” (e ce lo ha considerato anche da vicecampione del mondo, dandogli una moto vecchia per lasciare quella migliore a Valentino Rossi) gli avrebbe garantito pure un po’ di popolarità in più.
“Rimango concentrato – ha detto ancora nella recente intervista – Non voglio sprecare energie pensando a quello che succede fuori o che dovrebbe succedere e questo può far sembrare che io sia perso, ma non è così. Sto solo lavorando a quello che voglio fare”. E quello che vuole fare è vincere, tornare a vincere. Pretendendo da se stesso l’adattamento alla moto e non dagli altri l’adattamento della moto.
C’è quella rabbia che ha l’eleganza di vestirsi di garbo e di grazia nelle sue parole, per dire qualcosa che sulla bocca di un pilota suona di rara poesia: penso a trovare il mio setting e lascio che alla moto ci pensi chi di dovere, fidandomi. E’ quella rarità che hanno solo quelli con una storia come la sua sulla schiena, insieme ai segni che quella storia ha lasciato e insieme a un grande insegnamento: ciò che fa male potrà anche fare male a lungo, o per sempre, ma rimane comunque dietro per chi ha la forza di andare avanti. Tenendo pure, nel suo caso, quel taglio differente di rifiuto della banalità, di pilota che quando si fa fare un casco ci mette dentro le battaglie sociali e non te lo può spiegare in due secondi come se lo avesse dedicato a un qualche altro sportivo del passato. Di pilota che sul caso Assange non ha paura di far sapere come la pensa. Di pilota che, quando si dimentica che si possono dire solo banalità, se ne esce citandoti G.D.Roberts e il suo Shantaram. Nella vita di ognuno di noi – scrive proprio G.D.Roberts in Shantaram - nulla porta più conoscenza del fallimento e più chiarezza del dolore. E, nella minuscola ma preziosa saggezza che otteniamo, quei nemici temuti e odiati, dolore e fallimento, hanno diritto e ragione di esistere . I giudizi affrettati, le conclusioni superficiali, invece, quel diritto non lo hanno mai, nemmeno in MotoGP e soprattutto se si sta parlando di Franco Morbidelli.