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Valencia, terra di viaggio al termine della notte

Emanuele Pieroni

4 novembre 2022

Al Ricardo Tormo di Valencia, inevitabilmente e ormai da un sacco di tempo, vanno in scena gli “addio”. Lo dirà Suzuki al motomondiale, lo diranno Alex Rins e Joan Mir ai compagni di viaggio e di sogni. Lo dirà Enea Bastianini alla famiglia Gresini e lo dirà Jack Miller a quella Ducati che ha amato da matti ma con cui non è riuscito a godere abbastanza. E lo diranno anche Pol Espargarò e Alex Marquez a una Honda che, invece, non li ha fatti sentire abbastanza amati…

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Addio. E’ la più “senza cura” delle parole. Perché è definitiva e, appunto, non si cura, se non in un ipotetico dopo che forse neanche c’è; e perché spesso, quasi sempre, non è accompagnata dalla dovuta e doverosa cura. Addio è la parola che fa male, da dire e da sentirsi dire, contiene dolore, a volte pure rabbia, e non tiene mai abbastanza conto della sofferenza che si porta dietro. Di quanto andrebbe spiegata. Di quanto sporco lascia. Addio è un piromane che incendia e scappa, senza neanche restare a guardare se brucerà. Quanto brucerà. Fino a dove brucerà. Addio è pure vigliacca speranza (di un dopo più che di un rincontrarsi dentro quel dopo) e potentissima consapevolezza della paura di finire col ripensarci. Fa male sempre, pure quando c’è dolcezza e nessun risentimento, perché miseria e abiezione sono la costante di ogni addio. Però l’addio è come i cazzotti quando ti butti dentro il ring: sai che ne darai, ma sai pure che ne prenderai. Nella storia recente delle corse in moto, il ring di quasi ogni addio è il Ricardo Tormo di Valencia. Un circuito piccolo e un po’ affossato, come un ring appunto: lo vedi tutto da qualsiasi tribuna. E’  lì che da un po’ di tempo si corre l’ultima di ogni stagione e è lì che ci si saluta.

E’ stato lì, al Ricardo Tormo di Valencia, che è andato in scena quello che probabilmente è stato l’addio più potente delle corse in moto: Loris Capirossi che proprio quel giorno diceva addio alle corse con il 58 sul cupolino,  il numero di Marco Simoncelli - a cui avevamo dovuto dare addio appena pochi giorni prima -  e Michele Pirro che andava a vincere in classe intermedia con il Team Gresini, dichiarando a fine gara: “Ho chiesto a Marco di stare con me a ogni curva”. Quel giorno Fausto Gresini – un altro a cui nel frattempo abbiamo detto addio – ha insegnato a tutti noi appassionati di corse che il dopo, se lo vuoi, arriva anche in seguito al più atroce degli addio. Era il 2011, era al Ricardo Tormo di Valencia. Lo stesso posto in cui qualche anno dopo c’è venuto da dire addio al sogno del decimo, vedendo Valentino Rossi risalire dall’ultima posizione e Jorge Lorenzo andare a prendersi il mondiale scortato dai suoi connazionali, mentre qualcun altro diceva addio alle corse, o alla sua squadra, o a una categoria. Al Ricardo Tormo di Valencia, l’anno scorso, abbiamo detto addio a Valentino Rossi dopo 26 anni nel motomondiale, per rivederlo ancora in pista, sempre al Ricardo Tormo di Valencia, appena pochi giorni dopo, ma al volante di una macchina da corsa.

E’ a Valencia che si finisce e è al Ricardo Tormo che tocca l’ingrato compito di ospitare ogni addio, dopo aver girato il mondo come dei Ferdinand Bardamu di “Viaggio al termine della notte”, ma con il casco in testa e la tuta addosso, come divise di soldati chiamati a valorizzare se stessi anche passando attraverso la sconfitta, o le sfortune, degli avversari. E’ così che funzionano le corse, è così che funzionano le guerre, è così che funzionano le umane competizioni. Ciniche e spietate, le corse. Ciniche e spietate le trame. Ritrovandosi, però, umani veramente. Dannatamente umani alla fine di tanto girare, di tanto competere, di tanto correre, magari mentre si ascolta o si pronuncia la parola “addio”. Con le tasche più o meno vuote, gli obiettivi centrati o falliti e i co**ioni quasi sempre pieni, non dalle corse, ma di tutto quello che le corse hanno intorno.  Quest’anno, al Ricardo Tormo di Valencia, addio lo dirà Suzuki, togliendo definitivamente la sua S dal motomondiale, lo diranno Alex Rins e Joan Mir alle persone con cui hanno condiviso il box e pure i sogni. Addio lo dirà Enea Bastianini a quella squadra, la famiglia Gresini, con cui ha sfiorato il miracolo e da cui, nel gioco delle umanità che devono crescere, dovrà separarsi. Come dovrà separarsi anche da “Pigiamino”, quel capomeccanico che, a detta di tutti, è stato il suo segreto. Sarà addio anche tra Jack Miller e Ducati, due che si sono amati da matti, ma che non sono riusciti a godere abbastanza da restare insieme e lo diranno anche Pol Espargarò e Alex Marquez a Honda, che invece, probabilmente, non vedevano l’ora che arrivasse Valencia.  Addio dovrà dirlo, proprio alla MotoGP, anche Remy Gardner, un ragazzino buttato nella mischia un po' troppo presto e finito nel tritacarne di un mondo che non ti aspetta.

Inseguirsi, provare a superarsi, mettersi alla prova e, quando è ora, dirsi addio.  In tutti i modi degli addio e una sola costante: senza abbastanza cura. E senza abbastanza tempo per apprezzare veramente  l’intensità di un’altra stagione che è andata come “una scheggia di luce che finisce nella notte”. E che è stata spettacolare, appassionante, potente, anche se Valentino Rossi ha detto addio, anche se Marc Marquez ha rischiato di farlo, anche se abbiamo sempre guardato a tutto ciò che non è stato più lo stesso.

                                      "Alla fine siamo tutti seduti su una grande galera, remiamo tutti da schiattare, puoi mica venirmi a dire il contrario... Seduti su 'ste trappole a sfangarcela tutta noialtri! (L.F:Celine)"

 

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