“L’abbiamo fatto tutti, molti di noi sono stati miracolati, il povero Christian Donzello no” – E’ il primo pensiero dopo aver visto e letto quanto accaduto a Biassono appena tre giorni fa. Ragazzini in sella alle loro centoventicinque, uno, Christian, che parte a ruota alzata e il botto con una macchina, fino a quel suono – inconfondibile per chi suo malgrado s’è ritrovato protagonista o spettatore di un incidente in moto – del motore che sale di giri e comincia a urlare restando a gas aperto. Quello lì per molti di noi è stato il suono del miracolo, uno strillo disperato che però, per qualcun altro, è stato il suono della morte. Un suono che dovrebbe bastare a se stesso quando va a finire così e invece non è mai così che vai. Perché cominciano sempre le polemiche. I dibattiti. I sermoni.
Funziona così e alla fine ci si abitua. Come ci si abitua pure, purtroppo, a darsi la giustificazione che fa meno male di tutte e che magari ci fa risalire sulle nostre moto e continuare a fare il nostro mestiere senza stare troppo a pensarci: “L’abbiamo fatto tutti e a qualcuno è andata male”. Però è una spiegazione che funziona per qualche ora, a caldo. Perché siamo tutti padri, zii, fratelli o comunque abbiamo tutti un qualche ragazzino che ha lo stesso sacro fuoco delle motociclette che avevamo noi quando avevamo quell’età lì. Quando avevamo quell’età lì e facevamo quelle cazzate lì. Solo che poi, provando a approfondire ancora di più il pensiero, ci si rende conto che adesso è tutto diverso e che non è la solita frase fatta del cavolo. Perché ai nostri tempi, magari, i pessimi esempi c’erano lo stesso, ma adesso è un bombardamento. Basta aprire Youtube o un qualsiasi social per vedere che c’è gente che s’è fatta ricca a suon di cretinate e manovre da squilibrati totali, divenendo anche esempio per una generazione che rischia di rompersi l’osso del collo senza aver prima rischiato di sbucciarsi le ginocchia. E senza capire, quindi, quanto fa male. Non è, sia inteso, un giudizio per Christian e mai e poi mai ci permetteremmo di lasciarci scappare anche mezza parola fuori posto verso un ragazzo che voleva solo impennare e invece è morto. E’, piuttosto, una necessità interiore di provare a capire perché certe cose succedono ancora e per quale motivo, a quanto pare, succedono ancora più di prima, nonostante adesso la percentuale di ragazzi giovani che vanno in moto sia inferiore rispetto al passato.
Ok la sfortuna, ok il destino che quando decide decide, ma siamo sicuri che più della moto a uccidere non siano i pessimi esempi? Perché ormai è un bombardamento davvero e quasi mai in tutti quei video, in tutte quelle rappresentazioni della follia, c’è la passione vera per le motociclette e per ciò che con una motocicletta si può fare, ma semplicemente c’è la spettacolarizzazione di gesti che saranno anche compiuti da gente che ha un più che discreto manico, ma che sono assolutamente da “non rifare a casa”. Senza contare, poi, che per strada ci sono ormai anche tanti più pericoli, tra traffico assurdo, asfalti che fanno schifo e automobilisti che guardano molto più lo smartphone di quanto si guardi la strada. Solo qualche giorno fa, scrollando i social, è comparso un video brevissimo di un ragazzo che dopo aver fatto salire una ragazza sul sellino partiva impennando, facendo grattare a terra il casco di lei. Un bravo motociclista? Certo! Una coraggiosa passeggera lei? Certo! Ma il video? Il video è il male.
Il male, però, sono anche i giudizi, perché anche riflettere e arrivare alla conclusione che tutta questa esposizione sia deleteria non serve assolutamente a niente. Non ci restituirà Christian, che magari quei video non li guardava neanche, e non risparmierà altre tragedie almeno fino a quando alle riflessioni non si proverà a far seguire una qualche soluzione. Che non può essere, e lo diciamo subito, quella di vietare. Ma quella di educare – che poi educare è la soluzione sempre – non tanto chi realizza i video o chi è incline a esagerare e spettacolarizzare, quanto tutti quei ragazzi che si avvicinano alle motociclette. Spiegare e rispiegare che sì, la moto a volte te la fa tappare la vena, ma che a quell’impulso bisogna imparare a resistere – come si può e fin quando si può – perché anche una semplice impennata può trasformarsi in una vita che finisce e in un contorno di lacrime. Magari partendo da una vecchia massima che è tipica di chiunque abbia avuto un po’ di esperienza sulle moto: la moto va dove guardi! Ecco, è alla vita che bisogna guardare…sempre! E a tutta la vita che si può respirare ancora sopra una motocicletta! Magari andandolo a dire, esattamente così e esattamente adesso, ognuno di noi, a quel ragazzino – che ci vive in casa, o vicino casa, o semplicemente nel cuore - che ha quel sacro fuoco lì delle motociclette e che ognuno di noi conoscerà sicuramente.