Mentre l’Italia si accapiglia sulla costituzionalità del Green Pass, sulla potenziale pericolosità dei vaccini e grida alla Dittatura Sanitaria, succede un fatto che sta rischiando di passare in sordina, come un flebile rumore di fondo rispetto al mercato del pesce che è, oramai, il bieco opinionismo tuttologista nostrano che si sveglia ogni mattina con l’unico scopo di sprintare su un trending topic di Twitter, prodursi in una boiata colossale e sperare di averla sparata abbastanza grossa per finire su qualche testata a caccia di clickbaiting facilissimo punto croce. Il fatto che rischiamo di perderci in questo pot-pourri di ego prêt-à-porter è tanto semplice quanto allucinante: Alberto Genovese, il guru delle start up milanesi colpevole di (almeno) uno degli stupri più brutali degli ultimi anni, esce dal carcere dopo poco più di 8 mesi di detenzione a San Vittore. Sarà spedito in una clinica privata del varesotto per riabilitarsi dalle sue dipendenze da sostanze stupefacenti. Campi da pallavolo, da tennis e pallacanestro lo attendono, immersi nel verde della paciosa e isolata provincia lombarda. Ricordate, Alberto Genovese? Non si è parlato che di lui da metà ottobre a fine 2020, poi il caso mediatico ha fatto il suo tempo, come se fosse passato di moda. Siamo qui per ricordare, umilmente, che un’atrocità del genere in un Paese normale e civile non può e non deve “passare di moda”. E che se proprio c’è da svegliarsi ogni mattina con la bramosia di indignarsi per qualche cosa, bisognerebbe almeno fare in modo di trovarne una per cui valga la pena. Eccola, che Twitter ci perdoni.
La cronaca che riguarda Alberto Genovese sembra la sceneggiatura di un film splatter di Tarantino. Solo che è tutto reale. Ricchissimo e con un’incontrollabile dipendenza da cocaina, l’imprenditore nella sua Terrazza Sentimento, sontuosa dimora vista Duomo di Milano, avrebbe segregato e violentato per 20 ore di fila una 18enne, rea di aver partecipato la notte dell’11 ottobre 2020, a una festa in quella prestigiosa location piena di polvere bianca (e di così tante altre sostanze che perfino le testate più accurate e morbose ne hanno perso il conto). Esiste un filmato di quello che sembra un orrendo e perpetrato crimine. La stampa italiana tutta (tv comprese) ha attinto a pieni pixel da queste registrazioni per pubblicare dettagli osceni sulla mattanza che la giovane, in balia dell’imprenditore strafatto e delirante, si è trovata costretta - legata mani e piedi, stordita da stupefacenti assunti con la forza - a subire per, lo ribadiamo, 20 lunghissime ore. Adesso, dopo soli 8 mesi di carcere, un maldestro tentativo di fuga poco prima delle manette e almeno un’altra accusa di stupro (a Villa Lolita, la magione ibizenca dello startupper), Genovese fa il suo primo passo verso una qualche forma di libertà. Vediamo come. E soprattutto dove.
Il gip Tommaso Perna ha stabilito di accogliere l’ennesima istanza degli avvocati difensori dell’imprenditore, Luigi Isolabella e Davide Ferrari, che fin dal momento dell’arresto del loro assistito, chiedevano che Genovese potesse andare a curare le proprie dipendenze da stupefacenti in una clinica ad hoc. La clinica ad hoc designata è la Comunità Terapeutica di Cuveglio, nel varesotto. Già dalle foto disponibili sul sito, la location non dà certo vibes da spiaggia di Ibiza, ma si presenta comunque come un luogo ameno, immerso nel verde con tanto di campi da pallavolo, tennis, basket, palestra compresa. La struttura ospita fino a 30 pazienti, sia uomini che donne, e ha regole terapeutiche piuttosto ferree (che, in ogni caso, mai saranno pari a quelle imposte da un regime carcerario). L’obiettivo del centro è di trattare le tossicodipendenze con particolare attenzione all’area clinica dei Disturbi di Personalità. Considerato che la dipendenza fisica, perfino da eroina, ha scientificamente la durata di sei settimane, ci si chiede, dopo 8 mesi, quanto Genovese possa ancora soffrire di questo problema. Ma se, come da tesi difensiva, facciamo scendere in campo i disturbi di personalità, magari con comportamenti autolesionistici, beh, ecco concretizzarsi il rehab privato in amena location come validissima e opportuna alternativa alla gattabuia.
La retta è di 120 euro al giorno (cifra risibile se si considera che Genovese fosse abituato a spendere fino a 5000 euro in vizi per serata) e la struttura offre molteplici opportunità: in primis quella di qualche gita fuori porta. Il ricco milanese potrebbe quindi fare dei giretti per il varesotto, certo non in solitaria, godendosi l’estate come un cassaintegrato qualunque che non ha grattato il Turista per la Vita buono. Dovrà essere ordinato, Genovese, e vivere con poco: nello specifico avrà in dotazione schiuma da barba, sapone, shampoo, dentifricio, deodorante non contenente alcol, pinzette per sopracciglia, una spazzola e un pettine, due paia di scarpe, una giacca, due magliette e due paia di pantaloni. Dev’essere uno stile di vita durissimo per uno che era abituato a lanciare dalla terrazza del suo attico in centro a Milano banconote da 100 euro ma tant’è, considerando che il suo sbocco naturale dovrebbe essere il carcere, capirà bene anche lui di non potersi lamentare più di troppo, anzichenò.
La durata massima del soggiorno rigenerante è di 36 mesi, salvo comportamenti che impongano la sospensione del paziente. Quindi se Genovese righerà dritto (senza ricadere nell’abuso di sostanze o prodursi in atti sessuali) potrebbe non rivedere i cancelli di San Vittore per i prossimi tre anni almeno. Tre anni in cui, oltre a intense sessioni di terapia individuale e di gruppo, gli verrà insegnato come interagire correttamente con gli altri, i modi più adeguati per gestire lo stress (non vorremmo mai che si stressasse, povera stella) e tante pratiche manuali che ricordano molto da vicino il mondo del lavoro non digital: lavare piatti, pulire macchine, tenere in ordine gli spazi comuni e personali, piegar magliette e così via. Gli verrà spiegato perfino, nell’ottica di un futuro reinserimento in società, come scrivere un curriculum vitae efficace. Da milionario a Cenerentola nel giro di uno stupro (o due?).
Il trattamento offerto dalla Comunità Terapeutica di Cuveglio è assolutamente encomiabile, sia chiaro, e siamo certi che tanti pazienti ne abbiano tratto e ne trarranno benefici totalizzanti e di vitale rilevanza. Il nostro smarrimento deriva solo dal fatto che un soggetto pericoloso e instabile come Alberto Genovese ha dimostrato di essere, possa “cavarsela” così, dopo solo 8 mesi di carcere, godendo di vantaggi come farsi un giro all’aria aperta, se ritiene, e con una scappatoia già bella pronta, almeno sulla carta: se non starà alle regole, si legge sul sito della struttura che ciò vale per ogni paziente, verrà sospeso e ricollocato in un’altra comunità. Lo stesso vale a fine percorso. Quindi allo scadere dei fatidici tre anni di permanenza, nel caso in cui dovesse avere una ricaduta con le droghe, nessun problema: verrà ricollocato in un altro centro. Riuscite a visualizzare le prospettive che si stanno potenzialmente aprendo per lui, al posto dei cancelli di San Vittore?
Non sappiamo come andrà, non siamo in grado di prevedere il futuro. Il presente, però, quello sì che possiamo vederlo. E, attualmente, ci limitiamo a dire che la giustizia per il reato commesso e forse addirittura perpetrato da Genovese sia come l’ossigeno sulla luna: non esiste. Possiamo almeno indignarci, di grazia?