C’era un tempo in cui la parola “sfigato” era una condanna. Bastava avere una passione per le enciclopedie, un maglione con i gomiti lisi o la postura incerta di chi ha letto troppi libri e vissuto troppo poco per essere bollati come “perdenti”. I film ce lo dicevano chiaro: se non avevi il six pack, la battuta pronta o il giubbotto di pelle, eri carne da bullismo. Gli anni 2000 erano l’epoca del liceo americano in Technicolor, del culto per il quarterback e la cheerleader. Il nerd lo trovavi chiuso in biblioteca, non certo immortalato come main inspo di una collezione di Balenciaga. Ma nel 2025 tutto ha la pretesa di diventare il contrario di tutto, e i side character che ci piaceva tanto ignorare oggi diventano i nuovi protagonisti. E non per pietismo, non per tokenismo estetico, ma perché la perfezione, nella sua reiterazione digitale, ci ha nauseati.

I social inneggiano al “losercore”, ennesima estetica preconfezionata per l’algoritmo che si prende la briga di celebrare la quotidianità più goffa, tra t-shirt slavate di Spongebob e pantaloncini in triacetato di qualche taglia di troppo. “My culture is not your costume” grida l’orda di Gen Z che estende l’appropriazione culturale perfino alle tendenze più becere di TikTok, ma non basta una punchline per nascondere la vile verità: tutto è costume, anche la cultura. E le star - della musica, dei social, del cinema e della televisione - ce lo confermano senza vergogna. Basti pensare a Lucio Corsi, che con l’aria da cantautore in dad perenne ha fatto innamorare l’Italia. Smilzo, pallido, con uno stile da glam rock in quarantena e la grazia emaciata di chi non ha mai fatto mezz’ora di palestra, è l’anti-idolo per eccellenza. Non parla per slogan, racconta favole. È un po’ come se David Bowie, Angelo Branduardi e un pastore maremmano avessero fatto un threesome su Marte, da cui è nato un figlio cresciuto tra le betulle della nostalgia.

Accanto a lui, in questo nuovo Olimpo degli imperfetti, troviamo figure come Edoardo Prati, giovane “intellettuale” con i suoi occhiali da ottuagenario, i maglioni infeltriti e la parlantina da prof di Filosofia prossimo alla pensione. Uno stream of consciousness in digitale in cui si passa da Byung-Chul Han alle analisi sulla contemporaneità con una disinvoltura sbalorditiva. In un’epoca in cui ogni influencer è diventato uno spot ambulante, questa noncuranza estetica si trasforma in magnetismo puro, ed è proprio lì che scatta l’attrazione: nell’incapacità di performare il desiderabile. Ed ecco che la figura dell’outsider si riprende il centro della scena non perché qualcuno gliel’abbia concesso, ma perché il glamour, svuotato e inflazionato, non riesce più a reggere il peso delle proprie bugie. Il perdente è il nuovo sex symbol. E anche la moda, come sempre, ha fiutato il cambiamento dando forma ai nostri desideri più inconfessabili.

Basta grossolanamente dare uno sguardo alla sfilata FW25 di Balenciaga, con i suoi completi da impiegato stravolto, le valigette consunte e le posture da anime in pena, un manifesto postmoderno del burnout - o una riunione di condominio sotto acidi - che, proprio perché reale, risulta dannatamente rilevante. Allo stesso modo, da Prada e Miu Miu vince ancora quell’estetica da ragazza introversa che legge Sylvia Plath mentre si trucca male. Miuccia continua a coltivare con feroce coerenza la poetica dell’“ugly chic”, dove ogni capo sembra raccontare non solo una storia, ma una crisi identitaria, un inciampo, un tentativo di sottrarsi al diktat dell’armonia a tutti i costi. Del resto, se negli anni 2000 il nerd era ancora un’anomalia da correggere a suon di makeover, oggi il loser ha capito che l’intero sistema premiante era truccato fin dall’inizio. Personaggi come Mark, Irving e Dylan di “Scissione”, con la loro goffaggine disarmante, sono diventati improbabili sex symbol, perché parlano a una generazione che si riconosce nell’assenza di patina, nella frattura e nella stanchezza. O a posteriori, Sheldon Cooper, Sid Jenkins di “Skins”, Paulie Bleeker di “Juno”, e così via.
E così, anche chi da adolescente è stato bullizzato per i brufoli, la timidezza o la camicia a quadri ora si prende la sua rivincita dopo anni di sforzi per dissimulare. E se questo significa tornare a sembrare un personaggio di un film indie girato con 12 euro, meglio così. Perché l’alternativa è diventare l’ennesimo manichino levigato, e onestamente, che noia.
