La passione biliardistica si coniuga frequentemente con quella culinaria, a maggior ragione se, oltre a praticare lo sport dei 5 e 9 birilli e ad insegnarlo, risiedi nella città che diede i natali (e in cui parte passò la sua infanzia) a Gualtiero Marchesi, e a moltissimi altri grandi chef più o meno famosi. Ci sono svariati punti di incontro tra le due cose, perché così come nella cucina il biliardo è un mix di ingredienti che devono creare armonia, è la stessa immagine figurata per il gusto ed il sapore in un piatto cucinato di qualità. Il miglior modo per cucinare, però, come diceva Bocuse, è partire sempre da un’ottima materia prima, una cottura breve ed un ottimo condimento, oltre che da una buona base accademica ed una cucina attrezzata, pulita, con un locale accogliente per gli avventori. Lo stesso è per il biliardo: un buon ambiente, sano, un buon biliardo, una buona stecca, un buon istruttore. Savoir fare et fare savoir. Poi, come nella cucina, ogni biliardista aggiunge il suo “tocco”: chi con la forza e la potenza, chi con la fantasia, chi con la tattica, chi con l’avventatezza di scelte tecniche fuori dalle righe, chi ancora con un mix di tutto quanto, in equilibrio con la propria dispensa di conoscenza, attitudine e attrezzatura a propria disposizione.
Senza un buon biliardo non si può magari dare il massimo, ma bisogna saper ottenere il massimo con il biliardo che si ha a disposizione, senza strafare. Idem in cucina, il vero chef è quello che massimizza il risultato con i prodotti che ha a disposizione.
Come nella cucina il biliardo ha seguito le strade del rinnovamento e dell’espansione nel mondo, con la sperimentazione e l’uso di nuove tecnologie e nuovi canali, la conoscenza si è diffusa, i risultati e i miglioramenti in tutto il mondo sono arrivati con forza e numeriche che progrediscono.
Lo stesso avviene tra i fornelli, con le nuove tecniche (o meglio, rielaborate dal passato) come la Cbt, o per citare alcuni chef stellati la cucina sperimentale “pop” di Oldani (discepolo di Marchesi, peraltro), il “bollito non bollito” di Bottura, la coacervia contadino-marinara e simpaticamente burbera di Mauro Uliassi, o del mio amato e mentore culinario Tommaso Arrigoni di Innocenti Evasioni a Milano, pioniere di quella cucina senza sprechi che conferma uno dei vecchi detti del mio primo maestro di biliardo, Winkler Crotti, il quale affermava riguardo al buon giocatore di biliardo che è premiato colui il quale, “non butta via nemmeno il fumo della minestra”.
E, aggiungo io, la bellezza e la ricerca del buono vanno oltre il giudizio dei terzi, parafrasando la scelta di Marchesi di uscire dal giudizio della Guida Michelin. Non si ricerca il buono per gli altri a discapito, magari, dell’armonia del tutto. Del locale, dei collaboratori, di sé stessi. Lo si fa per l’amore della cucina ed il piacere di esserci “dentro” con anima e corpo. Come nel biliardo…dal filetto al filotto!
Come diceva infatti anche il Winkler, non importa l’uso che si fa del biliardo, ma è fondamentale soprattutto la soddisfazione e il divertimento, che ne scaturiscono dal praticarlo. Finché esiste, va praticato. Fine a sé stesso porta alla noia, alla ripetizione e, in alcuni casi all’abbandono.
È bello studiare per diventare padroni di una passione e della propria vita, tenendo sempre a mente che per quanto si voglia (e magari si possa o si pretenda) sempre essere migliori, non essere peggiori di ciò che si è già dovrebbe sempre essere il nostro punto di partenza.