Non esistono due Alberto Genovese: di giorno un imprenditore geniale che ha rivoluzionato il mondo delle startup, di notte un consumatore seriale di cocaina e stupratore di ragazze. È sempre lo stesso Alberto Genovese, solo che c’è un prima e un dopo rispetto alla disponibilità economica e soprattutto a come lui ha reagito a questo propulsore delle possibilità (e dei sogni) personali.
Non ha dubbi Gabriele Parpiglia, giornalista e scrittore - informato sul mondo dello spettacolo e ciò che gli ruota attorno - che sta seguendo questo caso facendo emergere ogni giorno particolari inquietanti, sia sul protagonista di questa tragica vicenda (prima di tutto per la vittima), ma anche su tutta una fauna che ruotava attorno ai party di Terrazza Sentimento, ma non solo.
Anche per questo, se Genovese era fondamentalmente “un bimbominkia che fino a 6-7 anni fa non aveva per nulla lo stile di vita emerso in queste settimane” è anche vero che in seguito intorno ha avuto una schiera di persone che gli procuravano la droga, le ragazze, che lo assecondavano e lo coprivano per ogni sua azione, fino a quella sera in cui provò anche a distruggere le prove ordinando a un tecnico informatico: “Pialla tutto, passa un distruttore di file” per i filmati delle telecamere di sicurezza presenti in ogni parte della casa, così come nella “camera degli orrori”.
Dalla cessione di Facile.it (2014), che gli fece guadagnare 100 milioni di euro, alla nascita di Prima Assicurazioni - due dei progetti che venivano presentati come case history nel mondo digital – alle pesantissime accuse di stupro, sequestro di persona, lesioni e cessione di stupefacenti, il passo è breve e non bisogna perdere di vista il punto: la violenza non può mai essere giustificata.
Gabriele, intanto che idea ti sei fatto della personalità di Alberto Genovese, descritto come un genio delle startup e subito dopo quella sera come un mostro?
Che non esistono due aspetti della sua personalità, ma una unica personalità che a un certo punto ha avuto la possibilità di esprimersi senza freni. Dalle testimonianze che ho raccolto, che sono moltissime anche se preferiscono rimanere anonime, Genovese viene descritto in un unico modo: fino a 6-7 anni fa era un genio del digital, ma fondamentalmente un bimbominkia come persona, che aveva una fidanzata storica, che non è Sarah come è stato scritto, e non aveva nulla a che fare con droghe, serate e ragazze. Era anche diverso fisicamente, non ci teneva all’estetica. Il problema è che a un certo punto ha conosciuto l’odore dei soldi e quando sono i soldi che iniziano a comandare nella tua vita ti portano a degli eccessi a catena, dei quali tu,comunque, sei sempre il primo responsabile. In questo modo si è perso, ma è sempre lo stesso Alberto Genovese.
C’è un particolare che ti ha colpito della notte incriminata, di quelle 20 ore di follia che hanno portato una ragazza in fin di vita all’ospedale?
Sì e non è legato tanto alla violenza, perché dello stupro si occuperanno gli investigatori, quando a un particolare che può far comprendere a che livello psicofisico si trovasse. Durante quella follia, infatti, Genovese si mette a bruciare dei soldi. Mi sembra indicativo dello stadio a cui era arrivato.
Viene in mente la scena di Narcos in cui Pablo Escobar brucia i soldi nel camino per scaldare moglie e figlie.
Non vorrei fare paragoni, perché ogni storia è a sé, però mi sembra una sfumatura collaterale in grado di dare un sentore più ampio del suo stato in quel momento. Senza dimenticare, di quando chiama “il distruttore”, cioè il tecnico informatico, e gli ordina di “piallare” tutti i nastri video che possono incastrarlo. Per fortuna quella persona o si è fermata o non è riuscita a farli sparire completamente. Ma c’è anche un contorno che inquieta.
A cosa ti riferisci?
Ai tanti che ho sentito e mi dicono: “Io quella sera non c’ero”. Però magari c’erano altre sere. Perché il punto è che Genovese non è impazzito quella sera, ma pare che ci siano state altre sere simili e credo che scopriremo ancora tanto di quello che è accaduto in passato in quei party. Per questo il dire “quella sera non c’ero” e magari erano presenti altre sere, non li rende al riparo dalle responsabilità.
Pare che Genovese stesso, o qualcuno a lui vicino, abbia anche cercato di mettere a tacere possibili informatori.
Dalla mia esperienza personale, posso dire che molte persone che mi avevano dato l’ok per una intervista o per una testimonianza, magicamente sono sparite nel nulla. Oppure hanno ritrattato dopo avermi parlato. Ora molte ragazze che conosco, visualizzano i messaggi su Instagram o Whatsapp e non rispondono o dicono di non voler più parlare. Purtroppo, non dobbiamo riferirci solo a quella sera, ma a un lunghissimo periodo. Questo mi porta a ragionare: non parlano per paura, per voglia di non esporsi e non rischiare? Comunque, le indagini vanno avanti e alla fine dovranno risponderne agli inquirenti.
Credi che siano molte le persone coinvolte?
In questi giorni sto discutendo con molti di questa vicenda, perché erano presenti ai party. E io, che vivo a Milano da tempo, non ne sapevo niente, per cui era presente una fitta cortina intorno a Genovese. Però in generale non penso sia diffuso questo modus operandi, perché se così fosse di casi simili ne sarebbero emersi tanti altri. Ormai con gli smartphone sarebbe molto facile far uscire qualche foto o video. Anche per quello Genovese faceva lasciare i cellulari all’ingresso. Per fortuna, le telecamere di sicurezza hanno registrato e il tecnico non ha cancellato le immagini.
Ha fatto discutere un articolo di Vittorio Feltri in cui dice che la diciottenne avrebbe dovuto saperlo: «Pensava che entrando nella camera da letto del facoltoso ospite avrebbe recitato il rosario? Non ha sospettato che a un certo punto avrebbe dovuto togliersi le mutandine senza sapere quando poteva rimettersele?».
Questo significa voler fare un processo mediatico a qualcosa che non ha nulla a che vedere con il processo vero e proprio. Io mi fermo al processo vero e proprio, che si basa sulla violenza di Genovese verso una ragazza. Lei poteva essere bella o brutta, fare le feste o meno, ma la violenza non ha mai una giustificazione, deve essere chiaro.
C’è anche chi dice che, essendo Genovese molto ricco e facendo leva sulla tossicodipendenza, potrà avere una pena più lieve.
Sì, le persone lo pensano ma è un ragionamento da ignoranti. Non bisogna dimenticarsi che la legge non ammette ignoranza. Inoltre, non stiamo parlando di un solo reato, ma di una serie di reati che potrebbero riguardare anche altri momenti. Chi gli portava le droghe’ Chi le ragazze? Quali erano compiacenti e quali a pagamento? Quante violenze ci sono state in passato? E ancora, come pagava Genovese tutto questo? Non credo emettesse fattura. Per non contare che, siamo proprio sicuri che le sue società siano tutte in salute o che ora non rischi di vedersi tutti i capitali congelati? Credo che i capi di accusa, nei suoi confronti e in generale, aumenteranno e quando chiuderanno le indagini ne vedremo delle brutte. Non penso che pagherà solo Genovese in questa brutta storia.
Infine, ho visto che hai intervistato Matteo Cambi, altro imprenditore che dalle stelle è caduto nella polvere qualche anno fa a causa dell’abuso di cocaina. Però ci hai tenuto a precisare, insieme a lui, che si tratta di un caso assolutamente diverso rispetto a quello di Genovese.
Ma certo, l’ho intervistato per questo. Già c’era chi faceva dei parallelismi. Ma come si può pensare a una cosa simile? Non è che tutti quelli che fanno uso di cocaina sono uguali. Con Genovese siamo di fronte ad accuse gravissime, di violenza, sequestro e lesioni, per cui paragonare il suo caso a quello di Matteo è vergognoso.
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