La vicenda Genovese continua a catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica e, a destare ulteriore scalpore, si sono aggiunte le dichiarazioni di Daniele Leali, l’organizzatore delle feste che si tenevano a casa dell'imprenditore ora indagato. Leali, infatti, ospite di Mattino 5, lo scorso lunedì 16 novembre, ha ricostruito la vicenda che ha portato al presunto stupro con toni che sono parsi, ad alcuni commentatori, troppo indulgenti nei confronti di Genovese e connotati da un pregiudizio che tenderebbe a ricondurre la colpa di quanto accaduto - secondo una dinamica molto comune nei casi di violenza sessuale - dal presunto violentatore, alla vittima dell’abuso.
Ora, è evidente - e dal nostro punto di vista, abbastanza scontata - l’assoluta necessità di condannare qualsiasi forma di violenza: nessun comportamento, da parte di nessuna vittima, può in alcun modo giustificare alcuna prevaricazione. Un principio la cui portata può essere compresa ancor meglio facendo riferimento ad alcune delle sentenze emesse in materia dalla Corte di Cassazione. Basti pensare che i giudici della Suprema Corte sono arrivati ad affermare che il reato di violenza sessuale possa configurarsi anche nel caso in cui una prostituta neghi il proprio consenso a un bacio sulla guancia. O che, perfino ad amplesso iniziato, il sopraggiungere di un pianto improvviso obblighi il partner ad accertarsi che esso non equivalga a un’opposizione al rapporto sessuale. Insomma, il consenso serve sempre e può sempre essere negato. Non ci sono abbigliamenti, o comportamenti o contesti che tengano.
Fatta questa doverosa premessa, una certa perplessità ha suscitato, in chi scrive, la descrizione che indirettamente è stata fatta della vittima della violenza, da parte di Selvaggia Lucarelli. La giornalista di The Post Internazionale, ha riportato quanto dichiarato da Leali, a Mattino 5, in questi termini:
Ma le cose più interessanti le dice in seguito: “La ragazza l’ho vista il giorno dopo e ci ho parlato. Era in uno stato visibilmente alterato, mi ha detto che non ricordava nulla e io ho le ho detto ‘bimba mia, tu sei andata con le tue gambe in camera con una persona, io non ero dentro con te, se non ti ricordi sarà perché avete condiviso qualche eccesso insieme, vi sarete drogati!’”.
“Bimba mia”, la chiama. Col tono di chi conosce già la verità, di chi la tratta con la sufficienza che si riserva alle adulte, maggiorenni, consenzienti. Diciottenni - dunque ragazzine - che a queste festicciole così sobrie invitava quasi sempre lo stesso Leali.
La sufficienza che si riserva alle adulte, alle maggiorenni, alle consenzienti, e quindi non alle diciottenni, perché ragazzine.
La presunta assenza delle condizioni a cui allude Selvaggia Lucarelli (l’assenza della maggiore età e dell’essere adulti) pone due ordini di problemi.
Il primo ha a che fare con una pericolosa, quanto immotivata equazione: se la vittima fosse stata effettivamente adulta e si fosse trovata in quella situazione, Leali avrebbe ragione - la mancanza di consenso non avrebbe potuto essere opposta, stante l’assunzione di sostanze stupefacenti. Sappiamo, tuttavia, che non è così: anche se in camera con Genovese ci fosse stata una trentenne, la sua libertà di sottrarsi a un approccio sessuale, sarebbe stata sacrosanta anche e soprattutto nel caso in cui non fosse stata pienamente in grado di intendere e di volere.
Il secondo problema ha a che fare con la narrazione di questo tipo di vicende. Perché se, al di là del caso specifico, quello che si vuole fare è ridurre il più possibile la frequenza di episodi di questo tipo, sovvertendo una mentalità tanto radicata, quanto profondamente sbagliata, ebbene, i fatti bisogna raccontarli per quello che sono. È necessario poter comprendere le cose, poter capire i fenomeni, per poterli contrastare. E semplificare, appiattire tutto, banalizzare le cose, non aiuta. Affermare, in altre parole, che una donna di diciotto anni sia una non-maggiorenne, sia una ragazzina, sia un soggetto che non possa coscientemente relazionarsi al mondo che la circonda, alle situazioni in cui si viene a trovare, equipara indirettamente chi si trova davvero in questa condizione alle donne adulte e fa il gioco di chi, questo tipo di situazioni, tende a minimizzarle colpevolmente.
È per avere un punto di vista differente sull’accaduto, che ci siamo rivolti a uno dei personaggi femminili più anticonvenzionali e sovversivi degli ultimi anni, colei che si è definita come la più femminista di tutte le femministe: Paolina Saulino.
Paolina, cosa ne pensi di questo modo di descrivere le protagoniste delle vicende che hanno avuto luogo a casa di Genovese? Non è giusto considerare le ragazze che partecipavano a queste feste come adulte a tutti gli effetti? Credi faccia bene a loro o alla causa femminista questo tono commiserevole?
Decisamente no. Non abbiamo bisogno di alcuna commiserazione. Questo perché noi siamo quello che facciamo. Possiamo dire quello che vogliamo ma siamo quello che facciamo. Poco buonismo, la violenza è da recriminare sempre, ma al netto dei cambiamenti e delle maturazioni inevitabili dai 18 ai 30 anni, se vuoi avere la libertà di passare il tempo con persone che ti fanno fare la bella vita, se vuoi fare sesso liberamente, drogarti e frequentare certi ambienti, devi allo stesso tempo assumerti la responsabilità che deriva da questa libertà. Non si può essere adulti a metà! Non puoi essere adulta per bere, scopare e fare festini, e smettere di essere adulta quando davanti hai persone che vogliono approfittarsene.
Detta così sembra che, secondo te, le ragazze che prendevano parte a queste feste sapessero a cosa andavano incontro…
È così e tocca dirlo in maniera cruda. Inutile fare i perbenisti: se eri brutta e non eri disposta a concederti, in quei festini non ti ci ritrovavi, poi puoi frequentarli per poco ed allontanarti successivamente, puoi ritrovartici per caso e allora, una volta capito dove ti trovi, alzi i tacchi e te ne vai. Puoi farlo con consapevolezza per una o più volte, magari perché ti diverte... tutto è lecito. Ma chi va per certi mari, certi pesci trova. Punto.
Non credi sia necessario difendere la libertà di poter negare il proprio consenso in qualsiasi condizione?
È chiaro che chiunque cerchi di prevaricare un’altra persona con la violenza fisica, o anche con quella mentale, è un pezzo di merda, maschio o femmina che sia. Ma non credo che questa presunta violenza sia più grave perché la vittima aveva 18 anni. Se avesse avuto 30 anni, la violenza avrebbe avuto un valore minore? Non credo proprio sia così. Pensiamo agli episodi di violenza che si sono verificati nei confronti di donne anziane. Se una donna viene violentata a 70 anni ha meno dignità? Non è proprio una questione d’età. La violenza va sempre punita in quanto tale e non perché la si pratichi nei confronti di un soggetto di sesso maschile o femminile o di età minore o superiore ai 36 anni. Evidentemente, oggi, sono più consapevole di me stessa e dei messaggi che comunico coi miei comportamenti. Io so che se mi comporto in quel modo, arriva un certo messaggio. Purtroppo le intenzioni non contano. La gente non sarà mai in grado di comprendere il tuo mondo interiore. Siamo solo noi a doverci prendere cura di noi stessi e delle nostre decisioni. Dobbiamo conoscere noi stesse per capire fin dove ci vogliamo spingere, anche ai limiti della libertà, anche ai limiti del rischio ma dobbiamo essere consapevoli di chi siamo e di quello che vogliamo. Anche se quello che vogliamo è relativo e contingente a una sola serata. Perché il fatto che io mi faccia una striscia o che pratichi del sesso occasionale, non definisce me stessa. Ma devo assumermene la responsabilità.
Valentina Nappi sostiene che il fatto di considerare le donne come esseri indifesi, da proteggere sempre, sia una delle espressioni della cultura patriarcale e uno dei motivi per cui questa cultura continua a perpetrarsi. Credi che abbia ragione?
L’educazione e la formazione delle bambine e delle giovani ragazze deve consegnare loro gli strumenti per capire che una donna può scegliere liberamente di fare sesso in cambio di droga, di soldi, per semplice confusione - e io sono stata una donna molto molto confusa e rivendico il diritto alla confusione - ma che non può neppure scappare davanti all’evidenza di un principio molto semplice: ad ogni azione corrisponde una reazione. Ogni gesto, ogni comportamento, ha una conseguenza. Da una grande libertà, deriva una grande responsabilità. Il problema vero è che non tutti sono in grado di gestire tutta questa libertà. La gente non è abbastanza intelligente per essere libera. Devi capire cosa stai andando a fare ed essere pronta a gestirne le conseguenze. Tendenzialmente, se giri in quel mercato, vendi quella merce. O comunque questo è quello che penserà di te la gente che lì si trova. Non c’è un giudizio di merito in questo, eh! Tu puoi fare quello che vuoi nella tua vita, puoi anche cambiare idea successivamente, ma devi essere in grado di mettere distanze, confini. È un problema di formazione.
In che senso?
Hai presente cosa dice Sweet Dreams? La canzone degli Eurythmics?
No, non ce l’ho presente.
Dice: “Some of them want to use you / Some of them want to get used by you / Some of them want to abuse you / Some of them want to be abused”. Il punto è proprio questo secondo me: tutti, là fuori, vogliono in qualche maniera usarti. E tu devi essere cosciente di questa cosa. Le giovani donne devono essere rese consapevoli di questo ma anche del fatto che loro, a loro volta, possono decidere di lasciarsi usare per arrivare a un secondo fine. È necessario che questo tipo di dinamiche, che a volte avvengono in maniera inconscia, siano spiegate e rese evidenti e governabili, da parte di chi viene educato. Devi capire che qualcuno ti sta usando ma che tu, se sei molto intelligente, ti puoi lasciar usare per ottenere un vantaggio più grande.
Non ti sembra una visione un po’ utilitaristica dei rapporti umani?
Trovare qualcuno che ti ami in maniera completamente disinteressata è molto molto difficile. È necessario essere consapevoli che questo potrebbe non accadere mai nell’arco di una vita. Ed è necessario comprendere che tutto il resto dei rapporti, tutto ciò che non ha a che fare con l’amore incondizionato, è frutto di enormi compromessi.
Se un uomo di 18 anni avesse violentato una donna di 30, alluderemmo al fatto che non sia propriamente un adulto?
Ma certo che no. Non diremmo che un ragazzo di 18 anni è un povero inconsapevole “quasi-adulto”, in un caso del genere. Nessuno avrebbe pietà di lui e non l’avrebbe neppure se ne avesse 15.
Com’eri tu a 18 anni?
Io a 18 anni avevo vissuto già la metà, almeno, delle cose più brutte che mi sono capitate nella vita. A 18 anni ero spericolata, anche se forse lo sono stata ancora di più successivamente, attorno ai 23-24 anni. È molto bello essere adulti ed è molto bello sentirsi adulti anche a 18 anni. Molta gente non è adulta neanche a 40 anni. È bello avere la libertà di uscire, di fare tardi, di tornare il giorno dopo. È bello poter fare sesso con chi ti pare e non per forza per amore. Ma essere adulti non vuol dire avere solo grandi libertà. Essere adulti vuol dire anche essere responsabili delle proprie azioni, saper valutare le situazioni in cui ci ritroviamo per quello che sono.