Gianni Mura è capitato quando doveva capitare, quando avevo bisogno di maestri. Al Tirreno arrivavo quasi sempre verso le dieci, leggevo i quotidiani e poi cominciavo il giro di nera, questura, caserma, misericordie, pubbliche assistenze, tutte le fonti: “È successo qualcosa? Come è andata la notte? Novità?”. Il primo quotidiano che leggevo era Repubblica, il primo pezzo che leggevo di Repubblica era il suo. Nei suoi pezzi c’era la notizia, la cronaca, la narrativa e la poesia insieme. Parlava sempre della stessa cosa: di vita e romanzo. Lo sport era una scusa. Quanto si vede se qualcuno ha letto Mura o non l’ha letto, quando leggi i pezzi sui giornali o sui siti o sulle riviste. Oggi si sente che sempre di meno di quelli che scrivono lo hanno letto.
Un giorno vidi che era uno degli ospiti di un evento a Firenze e pensai che non potevo non andarci. Quella sera ascoltai tutta la conferenza e poi notai che stava scendendo dal palco per uscire, probabilmente per fumare. Lo rincorsi. Lo fermai. È stata l’unica volta nella mia vita che ho balbettato, che non sapevo cosa dire. Mi disse lui: “scrivimi” e mi diede il suo numero. Ma non avevo carta e penna, recuperai un libro, una penna, ma la penna non funzionava. Presi il cellulare, mi segnai le cifre che mi dettò ma le sbagliai. Fine. Non mi sentivo alla sua altezza. Mi sentivo piccolo e inadeguato. Non l’ho più visto né sentito. Ho continuato a leggerlo. Ogni domenica la sua rubrica Sette giorni di cattivi pensieri me la bevevo e ribevevo: calcio, riflessioni, storie e letteratura. L’ho letta fino a qualche anno fa e anche nella mia scrittura, questa mancanza, si è sentita.
Veniva dalla scuola di Gianni Brera, che oggi nessuno sa più chi sia, ma è stato il più grande narratore giornalista che l’Italia ricorderà. Sul sito di Repubblica qualcuno ha raccontato che la prima volta che Mura andò a trovarlo, Brera lo mise a raccogliere le uova nell’aia della sua casa al lago. Il mestiere di scrivere è nelle piccole cose. Il mestiere di scrivere è ovunque. Chi non capisce queste cose non sa scrivere.
Gianni Mura è morto esattamente un anno fa. Mi mancherà, come mi manca Giuseppe D’Avanzo, anche lui giornalista di Repubblica ma D’Avanzo di cronaca giudiziaria, di mafia, di intrighi politici. Loro sono stati una scuola e non ci sono più. Qualcuno resta: Romagnoli, l’Audisio, altri giornalisti anche di altri quotidiani. Ma ogni volta che chiedo ai miei studenti se i quotidiani li leggono sono sempre meno le mani che si alzano. Quest’anno nemmeno una. I maestri hanno bisogno di allievi all'altezza e di allievi ce ne sono troppo pochi: le probabilità che siano pure all’altezza diminuiscono. Quando morì Brera si parló dei “senza Brera”. Un anno fa qualcuno parlò dei “senza Mura”. La verità è che senza Mura lo eravamo già da un po’. Per colpa nostra. Anzi, da quando è morto forse lo siamo un po’ meno.