L’ex direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, che mantiene comunque la firma come editorialista con il famoso “elefantino rosso”, è intervenuto in questi giorni sulla questione ambientale tirando in ballo anche le auto.
Nel suo editoriale, fa prima una lunga premessa altamente culturale: «Tutti sappiamo, basta un’infarinata, che le cause e gli effetti sono quasi sempre sfuggenti, che esistono fatti senza babbo né mamma, che il territorio della coscienza e quello dell’ethos e dell’epos, come la tessitura dei fatti, tradiscono sistematicamente idealità e intenzioni, sono un piano inclinato e scivoloso, che non controlliamo se non in minima parte. Rivendicare il farsi storico per un astratto ma personificato Noi è un modo di divinizzare un po’ goffamente l’impronta umana nel tempo. È un mettere da parte quella componente della vita misteriosa e poetica, inafferrabile, che Shakespeare conosceva così bene, il famoso racconto di un folle, pieno di rumore, di strepito, senza significato. Nella scelta della retorica, anche per le grandi occasioni, io mi atterrei al verso che da quattro secoli ci indica la strada illuminata della miscredenza razionale, il luogo preciso del nostro non conoscere. I giornali dovrebbero talvolta scegliere il colore rosso dell’imbarazzo, se non della vergogna, per tanti dei loro errori, ma la sicumera ambientalista spinta li induce al travestimento coloristico-ideologico light, li fa verdeggiare in nome di una lotta comune che parrebbe illuminata da un cenno dell’universo in forma di previsione scientifica. Anche qui servirebbe prudenza, sappiamo che l’unica funzione seria della profezia, in teologia e nelle scritture, consiste non già nella predizione ma nel giudizio sul presente proiettato su accadimenti ulteriori e di là da venire. Il profeta innanzitutto ti dice chi sei, non che cosa ti succederà, se non in seconda istanza. La scienza ha deciso di comunicarci che siamo in grave pericolo, ma di noi, di come siamo in quanto soggetti razionali, sa poco».
Detto questo (e vi sembra poco?) arriva al punto: «Non si può estrarre dalla scienza sperimentale il brocardo per cui l’ambiente siamo noi, come fanno i giornali rinverditi, perché è evidentemente una cosa illogica. La cultura contemporanea è figlia del darwinismo, e della sua osservazione decisiva sul fatto che l’ambiente e un complicato meccanismo di selezione ci determinano. Rovesciare il dogma nel suo opposto, che siamo noi a determinare l’ambiente, è delirio o mania religiosa. Tutto questo è evidente quando l’età della crisi che stiamo vivendo è stabilita da un vecchio geniale ma infantile come Chomsky sui 66 milioni di anni. Non è troppo per la puzza di cherosene dei jet, per l’uso degli idrocarburi, per le emissioni nocive? Parlare di estinzione è già in sé un esercizio spericolato, quando si tratti del destino di umanità e civilizzazione, ma è proprio follia quando si pensi che il rovesciamento dell’evoluzione, dell’adattamento all’ambiente, e altre dicerie osservazionali della migliore cultura dell’Ottocento, consiste nel presunto malfunzionamento dei diesel e di altri aggeggi termici di motorizzazione. Dopo 66 milioni di anni abbiamo inventato il motore a scoppio e la ciminiera, un bel cambiamento, ma su quell’arco di tempo, via, che sarà mai?».