Massima condivisione. Questa l’esortazione che girava sui social e soprattutto per i meandri di Telegram a corredo dell’invito al gigantesco sit-in, anzi all’occupazione delle stazioni ferroviarie che si sarebbe tenuta il primo settembre a partire dalle 15.30 su scala nazionale. “Non ci fanno partire? E allora non partiranno nemmeno loro!”, questo il claim. A organizzare la manifestazione, un sedicente “popolo autogestito” che prometteva, appunto, di fare casino ribellandosi contro il Green Pass (“Passaporto schiavitù”) e, naturalmente, la dittatura sanitaria, i vaccini, la pandemia (quella che “non ce lo dicono” ma non esiste sul serio, sveglia). Siamo stati alla stazione di Porta Garibaldi per assistere alla manifestazione. Solo che, praticamente, non c’è stata. Eccovi, dunque, il reportage di qualcosa che sarebbe dovuto succedere ma che ha assunto i contorni di un’eterna attesa di Godot (o del nuovo disco di Kanye West).
Ogni giorno un No Vax si sveglia e, dopo aver espresso un pensiero di sdegno nei confronti di Bill Gates, mentre puccia una macina nel caffèlatte, spera. Spera che qualcuno dei “suoi” non pesti un proverbial merdone nel corso della giornata e che Eleonora Brigliadori non incontri un microfono sul suo cammino. Quest’oggi, già la giornata era partita malissimo con la notizia del leader di Casa Pound Giuliano Castellini, tra i più ferventi osteggiatori del “passaporto di schiavitù”, pizzicato allo stadio in possesso di regolarissimo Green Pass. Punto per le forze del male, per “loro”, per il sistema e il Matrix. Ma un No Vax, abituato a lottare ogni giorno per affermare le proprie scomode idee, mica si arrende così facilmente. Soprattutto perché oggi sarebbe stato il grande giorno, quello del sit-in nazionale, quello dell’occupazione delle stazioni, di tutte le stazioni ferroviarie. Il sedicente “popolo autogestito” aveva finalmente scelto di far sentire la propria voce e niente avrebbe potuto fermare la sua pacifica manifestazione, le sue idee da “capobranco” per un mondo finalmente “libero”. Niente, a parte il fatto che, tanto per cominciare, alla stazione di Milano Garibaldi, fossero in quattro. Letteralmente, quattro persone.
“È perché su Telegram ci prendono per il culo, si inseriscono persone che non c’entrano niente solo per deriderci”, dice qualcuno, mentre una signora dal prepotente ombretto in crema blu elettrico la butta sull’organizzazione: “Eh, avremmo dovuto prendere il treno per venire qui”. Ma infatti. Mentre lo scarno gruppetto di dissidenti cerca una quadra per uscire dallo stallo in cui si trova, appaiono dei tizi di Forza Nuova: stanno cinque minuti, giusto il tempo di rendersi conto che la stazione fosse praticamente deserta, e telano. Svaniti in una nuvoletta di imbarazzo. E l’imbarazzo lo provano anche i tantissimi giornalisti accorsi, fotografi compresi. Più di una volta, all’incirca sette, chi scrive si è sentita rivolgere la domanda: “Sei qui per manifestare?”. Al no, la reazione media era: “Eh, che palle! Ma non c’è veramente nessuno!”. Quei pochi che c’erano, quei quattro, sono stati intervistati a tappeto: anzi, i giornalisti (alcuni con cameraman d’ordinanza al seguito), si mettevano ossequiosamente in fila per poter avere due battute con Giorgio (nome di fantasia), il mattatore della stazione Garibaldi, quello che “ho la terza media ma lo dicono tutti i telegiornali, anche se io non guardo i telegiornali”. Ed è già doc Netflix sulla vita di Giorgio (nome di fantasia). I suoi vaneggiamenti vengono di quando in quando interrotti dal “Paolini” di turno che passa dietro di lui e grida: “Gelati? Lupini?” perché in effetti mancava un tocco di bizzarria in questo pregevole scenario. Grazie, eroe sconosciuto.
Il sedicente “popolo autogestito”, insomma, aveva chiari problemi (soprattutto di densità), ma nel corso del pomeriggio è sopraggiunto qualche altro fulmine di guerra per unirsi alla lotta. Lotta del tutto inconsistente se si considera che mentre la ciurma di manifestanti inneggiava alla “Libertà” gridando “No Green Pass” la gente entrava regolarmente in stazione mostrando il biglietto ai controllori, senza fare un plissè. Con buona pace di quel “non partirà nessuno” che, a livello di intenzione, sarebbe stato lo scopo di tutta l’operazione. L’occupazione, quel mirabile progetto, non stava funzionando granché, anzi, non stava proprio succedendo. Ma, come dicevamo poco sopra, un No Vax non si arrende. E infatti è qui che scende in campo il genio.
Due ragazze, scortate da un altro tizio piuttosto agitato, vanno dalla polizia (in tenuta antisommossa) e chiedono di entrare in stazione. Curiosamente, non ne ottengono il permesso e a quel punto, si aprono siparietti di surrealismo puro, straordinario: il tizio piuttosto agitato decide di prendere in mano la situazione (e lo smartphone) per chiamare la polizia e denunciare il fatto che la (stessa) polizia non lo stesse lasciando accedere alla stazione. Ed è subito Inception. “Mi hanno lasciato in attesa, questa è omertà: siete peggio dei mafiosi”, commenta il giovane che poi, abbandonata l’operazione telefonata al 112, comincia a inquadrare i volti dei poliziotti in diretta Instagram: “Queste facce rappresentano lo Stato italiano, la dittatura che ci sta imponendo”. La polizia non reagisce, si trincera in un ostinato silenzio davanti alle provocazioni dei manifestanti, non pronuncia verbo nemmeno quando si sente dire: “Meglio essere disoccupati che pezzi di merda come voi, schiavi della Lamorgese”.
A quel punto, le due ragazze che avevano provato ad entrare dall’ingresso principale, hanno un’idea per sprintare definitivamente verso la “libertà”: accedono alla stazione dall’entrata della metropolitana, corrono giù per le scale inseguite da un’orda di giornalisti che, nonostante la concitazione del momento, hanno un unico pensiero stampato in faccia: quel progetto di trasferirsi in Siberia per vivere di pesca a mosca non suonava per niente male, dopotutto. Nel frattempo, le due Xena appena diciottenni, arrivano trionfanti alla macchinetta della metro, prendono due biglietti e si avvicinano ai tornelli. Qui c’è meno polizia ma, per quanto ormai blandamente, prova comunque a dissuaderle. Niente da fare, le ragazze vogliono assolutamente entrare in stazione, verso la “libertà”. Glielo fanno fare, ormai esausti. Una passa subito saltellando di gioia, la seconda invece rimane incastrata al tornello: “non sono capace di timbrare, qualcuno può aiutarmi?”. Un giornalista di buon cuore, le oblitera il ticket e via, sono entrambe “libere”. Cosa farsene, ora, di tutta questa “libertà” appena conquistata e così faticosamente? Nulla, ovvio: le giovani tornano indietro e risalgono in superficie, soddisfattissime: “Gliel’abbiamo fatta vedere a quei fascisti, ora anche questi pagliacci, questi giornalisti che hanno ripreso la scena, non potranno non rendere conto a tutta Italia di ciò che abbiamo appena dimostrato”. Ve ne stiamo, orgogliosamente, rendendo conto.
Da qui in poi, perfino la polizia abbandona gli scudi della tenuta antisommossa sulle pareti della stazione. Ormai, i pochissimi rimasti si sono ingabbiati da soli parlando di complotti e facendo a gara a chi ne sapesse di più, a chi fosse più informato “veramente”. Una specie di Trivial Pursuit dell’assurdo davvero gustoso da vedere, ma del tutto inoffensivo.
(Un paio di quarti d’ora dopo)
Epilogo: Giorgio (nome di fantasia), spossato dal tour de force di interviste che l’hanno tenuto impegnato per tutto il pomeriggio butta lì un: “Birretta?” e la combriccola ci sta. Dodici persone, dunque, si allontanano verso Gae Aulenti chiacchierando animatamente. Il loro lavoro lì, qualunque esso fosse, era compiuto.