Perché mi seguiate nel mio ragionamento, parto da un disclaimer.
L’assist per il titolo del pezzo viene da un post comparso il 20 novembre sulla timeline di Chiara Ferragni, che rimanda a un contenuto IgTv che, nel momento in cui scrivo, ha 7,5 milioni di views. Nel video in questione Essere Donna nel 2020, Chiara Ferragni parla per 10 minuti di slut shaming, victim blaming e porn revenge, ovvero comportamenti umani e prassi politiche lesivi della dignità personale e giuridica di una donna. Ci muoviamo nel contesto delle violenze di genere e do per scontato che tutti i lettori sappiano di cosa stiamo parlando. Se così non fosse offro una traduzione quasi letterale dei tre termini oggetto del Ferragni-discorso, traduzione sufficientemente esplicativa di per sé. Fai vergognare la troia, colpevolizza la vittima, divulga a sua insaputa le foto erotiche della (tua) donna.
Nella diretta Chiara è tenerissima. Il maglioncino rosa, il filo di perle, gli occhi stanchi e qualche capello fuori posto. Mi ricorda Jacqueline Kennedy, l’outfit di ispirazione e la stessa aria severa ma giusta; perché quando Chiara Ferragni scende in politica, significa che la questione è seria quanto un omicidio presidenziale.
Davanti a sé, Chiara ha tre fogli fitti di appunti in bella grafia. Parla in modo leggero ma efficace di: maschilismo, patriarcato, strumentalizzazione dell’immagine femminile, narrazione distorta della violenza sessuale, misoginia dei media, assenza di solidarietà e giustizia per la vittime di maltrattamenti e stupri. Chiara Ferragni sottolinea i punti salienti del discorso battendosi il ciak con le mani, e consegna agli ultimi tre minuti del video lo statement definitivo per le Sisters in ascolto. Ragazze, almeno tra di noi, smettiamola di darci delle troie - dice in sostanza. “Ci stiamo giudicando tra di noi, non siamo unite, siamo pronte a puntare il dito, pronte a dire che noi avremmo agito in modo diverso. E questo non va bene. Questo è il momento di incazzarsi, di prendere posizione, di dire la propria, di cercare alleati fra di noi donne, e fra gli uomini che la pensano come noi. Questo è il momento di cambiare le cose”.
Amen, Sorella. Anche se quello che dici mi annoia, apprezzo l’impegno. Supporta e resisti; ma non riesco a non guardare i tuoi appunti senza pensare che - tu quoque! - è come se avessi fatto i compiti di retorica a casa. E non riesco nemmeno a staccare lo sguardo da quelle parole scritte in maiuscolo, inchiostro blu su carta bianca: “Non parliamo di troie”.
Ora facciamo un passo indietro per capire il perché dell’intervento di Chiara Ferragni. Il 9 novembre Il Sole 24 Ore pubblica un articolo di approfondimento sulla carriera e gli affari dell’uomo accusato di un brutale stupro nel contesto di un festino a luci rosse e polveri bianche: Alberto Genovese. La storia del quotidiano inizia così: “Un vulcano di idee che, per il momento, è stato spento. Alberto Genovese, 43 anni, brillante imprenditore napoletano, lombardo di adozione, dopo la laurea in Economia alla Bocconi non si è fermato un attimo. Sarà ora costretto a fermarsi, in prima persona e almeno per un po’, in attesa degli sviluppi giudiziari dopo il fermo per abuso e violenza sessuale”. La romanticizzazione della figura di Genovese, beautiful mind e instancabile lavoratore, ha fatto incazzare parecchia gente e una shistorm dalla lunga coda si è abbattuta sul Sole via social.
L’articolo è stato rettificato e ripubblicato qualche giorno dopo, ma la questione Genovese continua a polarizzare il dibattito: da un lato gli sticazzisti, dall’altro tutta quella fetta di opinione pubblica che non può esimersi dal prendere parte ai polverosi dibattiti del bar sociale. Nel frattempo emergono sempre più sordidi dettagli sulla fattispecie di reato. Caro stupratore, non avrai la nostra assoluzione. Nessuna compassione per i tuoi vizi, niente tenerezza per la Sodoma che chiami Terrazza Sentimento, nessuna pietà per l’albero che crolla sotto il peso dei suoi succulenti frutti. Sequestro di persona, lesioni e violenza carnale con aggravante di spaccio, istigazione a delinquere e induzione alla prostituzione, tra le ipotesi dei capi d’accusa. Non c’è doppio standard che tenga, né nei media come in terra. Le tue ospiti non sono cose di cui puoi disporre a tuo piacimento, senza clausole né conseguenze. Non se la sono cercata.
Troie, le chiamavano. Ragazze spregiudicate, arrampicatrici sociali, carne da macello capitalista. Troie, ci chiamano. Perché vogliamo uscire, frequentare party esclusivi, drogarci, divertirci senza per questo dover essere abusate. Perché vogliamo interagire con i maschi senza dovercene pentire. Perché siamo esseri sessuali che non dovrebbero vergognarsi di desiderare di essere desiderate. Perché sappiamo di avere un corpo che può essere un’arma per farci spazio quando serve. Perché è dal tempo delle caverne che ci fate incazzare, Uomini; che ci offendete e non ascoltate quello che abbiamo da dire, perché il vostro livello di analisi e comprensione si ferma sulla soglia che da sempre e per sempre segna l’inevitabile separazione tra i sessi.
Nella Giornata contro la violenza sulle donne proviamo a riflettere almeno su questo. Su quanto le donne siano fraintese. Su quanto noi stesse ci fraintendiamo, continuando a battere il pugno su questioni di massima, su aporie che potrebbero paradossalmente essere risolte spostando l’accento dalla questione femminile ai diritti umani. È questo il tema di questa ennesima giornata commemorativa: Signori, noi donne siamo semplicemente esseri viventi, che hanno il diritto di vivere, respirare, godere. Di essere corpo. E se voi potete comportarvi da stronzi, nella logica del libero arbitrio, noi possiamo agire da troie.
C’è un racconto di Leopold Von-Sacher Masoch, La Zarina Nera (pubblicato nella raccolta “L’Amore Crudele”, n.d.r.) in cui l’imperatore di un protettorato russo, ebbro di desiderio, delega per un giorno pieni poteri alla sua amante: una concubina, una schiava, una mistress che tolto il piede dalle sue carni e calpestato il trono, prima lo rovina, poi lo fa giustiziare e prende il comando del regno. Lo scrittore che ha battezzato il sadomasochismo, ci insegna una cosa importante: col sesso ti puoi fare molto male. È uno strumento potente e chi si trova nella posizione dominante ha modi, mezzi e occasioni per perpetrare l’abuso.
Ecco qui: potete ancora farci male solo perché mentre noi ci preoccupavamo di supportarvi, garantendovi cure e assistenza, un piatto in tavola e carne calda nel letto, voi vi siete presi i posti migliori in società. Ma anche la ruota più arrugginita, con un po' di lavoro, può tornare a girare. I fatti li vedremo, il resto sono solo parole.
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