baudismo s. m. Atteggiamento, comportamento, concezione dello spettacolo tipici di Pippo Baudo. (Vocabolario Treccani)
Quante persone ancora in vita possono vantare un neologismo derivato dal proprio cognome? Poche, pochissime se si pensa al mondo dello spettacolo. Pippo Baudo con i suoi 85 anni compiuti oggi può vantarsi non solo di essere un sostantivo ma probabilmente anche un aggettivo. Metro di paragone assoluto per presentatori e showman, Pippo Baudo non è solo un presentatore tv è IL presentatore tv; incarna la televisione italiana così bene che potrebbe quasi identificarsi con l’oggetto stesso: “Io mi ritengo un soprammobile. Faccio parte dell’arredo familiare italiano".
Ha letteralmente attraversato tutte le ere televisive: un solo canale, bianco e nero, colori, Rai, Mediaset, pubbliche, private e chi ne ha più ne metta.
Siciliano, di Catania, figlio unico di un avvocato e una casalinga, laureato in Giurisprudenza per far felice il padre ma con il cuore già nello spettacolo: “Mio padre voleva che continuassi la sua opera. Così avevo stabilito con lui un accordo: io mi laureo con il massimo dei voti in Giurisprudenza, poi però mi consenti di tentare la strada dello spettacolo”.
Niente scuole di teatro o insegnanti di dizione, per addolcire il marcato accento siciliano, nel dopoguerra bisognava ingegnarsi: “La radio fu il mio corso di dizione; altrimenti non avrei fatto questo mestiere. Mi esercitavo da solo, da autodidatta: la “e” chiusa, la “e” aperta…“. Poi il biglietto di terza classe per Roma: “io ero convinto che sarei tornato presto: a Roma non conoscevo nessuno. Sono andato davanti ai cancelli della Rai da mendicante”. Neanche una settimana dopo il primo provino: “Mi provinò Antonello Falqui, che mi fece simulare di essere a Sanremo e di presentare Mina. Una premonizione. Mi dichiararono abile e mi consegnarono un foglio che mi certificava “di buona presenza, ottima dizione, adatto a spettacoli minori”.
Dopo le prime comparsate in vari programmi la svolta con Settevoci: “Era una mia idea, registrammo le prime sei puntate, ma a un dirigente non piacquero, e le bobine del programma finirono in un magazzino. A quel punto io mi raccomandai con il magazziniere che, se ci fosse stato un buco di programmazione, avrebbero potuto ricorrere alla puntata pilota. Capitò, in effetti, che una copia doppiata del telefilm Rin Tin Tin non arrivò per tempo, e al suo posto trasmisero il mio programma. Ebbe un successo enorme. In pratica io devo la mia carriera a un cane…”.Da lì, come si dice, il resto è storia.
Arrivò il primo Sanremo quello del 1968, l’anno dopo la morte di Tenco, era il festival decisivo, quello del rilancio, un’edizione internazionale con ospiti e partecipanti da tutto il mondo “Dopo quel Festival, per dodici anni, sono tornato a Sanremo, realizzando un record, modestamente, difficilmente superabile». Non si può certo dire che i Festival di Pippo Baudo siano stati esenti da colpi di scena: “Quella volta che un poveretto voleva buttarsi giù dalla galleria del teatro: che cosa dovevo fare? L’ho fermato. E quella volta che gli operai protestavano davanti all’Ariston contro la chiusura di una fabbrica: che cosa dovevo fare? Tra una canzone e l’altra, li ho fatti salire in palcoscenico. Quella volta che Mario Appignani, detto Cavallo Pazzo, irruppe sul palco per dire che il Festival era truccato: che dovevo fare? L’ho affrontato”.
Un amore quello tra Pippo Baudo e la Rai, duraturo ma travagliato come tutti i grandi amori. Nel 1987 la rottura: Pippo Baudo se ne va dopo aver criticato aspramente il presidente della Rai Enrico Manca, che aveva accusato Baudo di fare programmi nazionalpopolari (“Il presidente Manca rilascia spesso interviste, anche troppe. Vorrà dire che d’ora in poi mi sforzerò di fare solo programmi regionali e impopolari”).
Alla rottura con la Rai seguirà un contratto stellare con Mediaset che però Baudo interromperà senza preavviso (pagando anche una penale salatissima) e rimanendo disoccupato: “Nel 1988 restai perciò senza lavoro. Il mio amico Ciriaco De Mita, che allora guidava sia governo sia Dc, mi rassicurò: vedrai, andrà tutto bene. Ma Biagio Agnes era irremovibile, voleva dare l’esempio a chi lasciava la Rai. Seguirono mesi di silenzio, terribili. Mi ritirai in eremitaggio nella mia casa di Morlupo. Passavo la giornata accanto a un telefono verde che non suonava mai. Il primo novembre Agnes andò al cimitero al paese natale, Serino. Fu affrontato da una vecchietta: “Avite a fa’ turna’ a Pippo Baudo”. “Se no?”. “Se no, morite”. Agnes chiamò il mattino del 2 novembre: “Adesso mi dici chi conosci a Serino!”. Fatto sta che mi riprese. All’1% di quel che mi avrebbe pagato Berlusconi; ma mi riprese”.
Tantissimi i talenti scovati da lui e la sua frase indimenticabile “L’ho inventato io”, unico rimpianto avere cannato Fiorello: «Fiorello ce l’ho sulla coscienza. Gli feci un provino e lo trovai debordante. Veniva dai villaggi turistici, era abituato a sproloquiare. Dissi al regista Gino Landi che era meglio aspettare che maturasse. Ho sbagliato. Andò a fare Karaoke su Italia 1 ed esplose. È un vero showman. Di lui mi spiace proprio non potere dire: “L’ho inventato io”»
In televisione da 50 anni pareva normale un proseguo in politica, più volte gli proposero di candidarsi, l’ultima quando Prodi, gli aveva proposto di provare a immaginare un suo ruolo da presidente della Regione Siciliana, la sua risposta? “Mi volete morto?”