È finita così, con le ferite, la rissa, il vetro dell’ambulanza sfondato, le manette e le urla. Io c’ero, ero lì. Appena mi hanno avvertito che Fabrizio Corona si stava autolesionando via social ho capito. Il tribunale di sorveglianza, tramite pec, gli aveva revocato i domiciliari. Doveva tornare in carcere. Ed era da diversi giorni che diceva: “Se succede faccio qualcosa di eclatante”. Tutto si può dire a Corona tranne che se si mette in testa una idea poi non la porta a compimento. Abitiamo a pochi isolati di distanza, siamo diventati amici, molto, in questi ultimi mesi, così mi sono preparato e sono andato a vedere di persona cosa stava succedendo prima che venisse arrestato e trasferito al Niguarda, prima che (notizia di ieri) annunciasse lo sciopero della fame e della sete e che partisse la petizione per riportarlo ai domiciliari.
Qualcuno si sarà chiesto: com’è che sono diventato amico di Fabrizio Corona? Semplice, l’ho intervistato. Un’intervista che ha fatto il giro del web, ne hanno parlato in tv, nei giornali. Molti mi hanno detto: stanne alla larga, chi gli sta troppo vicino finisce male. Ma io ho imparato una cosa in tutti questi anni. Che non avere segreti conviene. E in questo modo mi sono approcciato a lui. Senza aver niente da nascondere. Dopo quell’intervista Fabrizio per me oltre che un amico è diventato una fonte: mi parlava di storie di cui sapeva, abbiamo concordato l’intervista alle due ragazze che accusavano Genovese (e che dal gip sono state ritenute inattendibili ma, attenzione, in gergo legale non significa che sono delle bugiarde), adesso stavamo parlando di altri servizi su cui collaborare. È un reato collaborare con Corona? Se sì, dovrebbero arrestare quasi tutti i giornalisti d'Italia, compresi quelli che hanno gioito del suo ultimo arresto. È un reato avere Corona come fonte? Per piacere, da che mondo e mondo i giornalisti hanno fonti discutibili, ammesso e non concesso che lui discutibile lo sia, e per me - udite udite - non lo è. In questi mesi sono stato diverse volte a casa sua, ho conosciuto i suoi collaboratori, il suo mondo delirante. È qualcosa (molto) ho capito di lui.
Ma prima racconto quello che ho visto ieri, non smentibile perché l’ho visto con i miei occhi (qui il video). Perché è decisivo per chi vuole o pretende di giudicarlo sapere come sono andate effettivamente le cose. Quando sono arrivato, davanti a casa sua c’erano un’ambulanza, tre macchine della Polizia e un’auto medica. Dentro l’abitazione, 6 poliziotti, infermieri, la mamma di Fabrizio, la sua collaboratrice Francesca Persi, il suo personal Nathan, il suo autista Josè, i suoi avvocati - Ivano Chiesa e Cristina Morrone - e altre persone che non conosco. La prima cosa che ho notato è stata l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza abbandonata sulla sella della Vespa di Corona fuori dall’ingresso.
Fabrizio era in camera sua, quando è uscito mi ha visto e mi ha fatto cenno di andare da lui. Siamo ritornati in camera e siamo rimasti solo io, Francesca e sua mamma. Era agitato ma fingeva tranquillità, di avere tutto sotto controllo. Gli ho chiesto cosa si fosse fatto davvero. Su Dago qualcuno ha ipotizzato si fosse cosparso addirittura di pomodoro. Non lo so, mi pare assurdo, non ho controllato. Mi ha risposto: stai tranquillo. Tranquillizzava anche la madre e continuava a dare indicazioni. Quando siamo tornati in sala ho notato il sangue per terra, sul tavolo, il sangue ce l’aveva pure addosso e sulle scarpe. Sono arrivati altri poliziotti in borghese. Corona gli ha chiesto in modo molto duro: “Voi chi siete? Siete della stazione di Moscova?”.
- No, hanno risposto.
- E cosa siete venuti a fare?
- Perché non possiamo?
I toni sono diventati più forti.
- Siete contenti? Siete contenti adesso? Fabrizio si riferiva all’ultima informativa che aveva ricevuto, nella quale Marco Calì della Mobile di Milano scriveva ai magistrati di revocargli i domiciliari per comportamenti poco consoni tenuti sui social, per la denuncia ricevuta dalla ex moglie Nina Moric, per la frequentazione in casa sua di personaggi pregiudicati (che io, a onor del vero, non ho mai visto) e per essere dietro a una serie di servizi giornalistici, soprattutto quelli mandati in onda da Giletti a Non è l’Arena sul caso Genovese. I poliziotti in borghese non hanno risposto, Corona si è cambiato ed è rimasto in tshirt. È uscito scortato dai poliziotti, destinazione Niguarda per una visita di controllo e poi il carcere di Bollate (adesso pare che finirà a Opera). Prima però ha abbracciato la madre, che si lamentava e soffriva. Poi ha abbracciato un altro amico e si è incamminato verso l’esterno del palazzo.
Fuori oramai c’erano una folla di gente, delle telecamere, altri giornalisti. Fabrizio è montato sull’ambulanza senza problemi. Ha chiesto soltanto di avere il suo zaino, che aveva lasciato a José. Nel frattempo qualcuno ha posto la domanda: ma dove è il cellulare di Fabrizio? L’avvocato Cristina Morrone è andata dal poliziotto in borghese. I toni sono stati subito diretti.
- Mi dia il cellulare, ha detto l’avvocato.
- L’abbiamo preso noi.
- E perché?
- Signora, ha detto il poliziotto...
La Morrone l’ha interrotto subito: “Innanzitutto mi chiami avvocato”.
Il poliziotto si è scusato ma ha continuato: “Il cellulare lo portiamo noi in ospedale”.
La Morrone ha insistito: “Questo è un sequestro e non potete farlo. Fatemi vedere il decreto di sequestro del cellulare”.
Il decreto non c’era. Ed è stato in questo momento che Corona è sceso dall’ambulanza e ha chiesto: “Cosa sta succedendo? Dove è il mio telefono? L’ha preso lui!”. E ha indicato un poliziotto. Nel frattempo è arrivato l’avvocato Chiesa e in strada sono arrivati anche tutti quelli che erano nell’appartamento. L’avvocato Chiesa ha fatto valere la sua autorevolezza, si è rivolto ai poliziotti e ha detto: “Datemi il cellulare, subito”. Tra i poliziotti c’è stato un momento di imbarazzo. Corona ha alzato la voce: “Che cazzo state facendo? Non potete farlo? Cosa volete ancora?”. Non si è calmato nemmeno quando il suo telefono è stato restituito. Anzi, si è agitato ancora di più, perché a tirarlo fuori dalla propria tasca è stato proprio il poliziotto di cui aveva sospettato. Corona l’ha rincorso: “Che cazzo fai oh? Che cazzo faiiii?”. Il poliziotto è stato allontanato dai suoi colleghi. Corona ha perso la testa: con un cazzotto ha sfondato il vetro dell’ambulanza bestemmiando e urlando all’ingiustizia. Gli altri poliziotti lo hanno bloccato. È iniziata una colluttazione. Corona, bloccato da dietro, si è slanciato e ha preso a calci lo stesso vetro che aveva spaccato. Altri poliziotti sono arrivati, lo hanno circondato, buttato a terra e ammanettato. La madre di Fabrizio gridava: “Le manette no, le manette no, me lo state ammazzando, è malato”. Mentre Corona era a terra uno dei poliziotti gli ha detto: “Smettila di fare il giullare”. Corona si è agitato ancora di più. Poi, lentamente, la situazione si è calmata. Lo hanno fatto rialzare, Corona si è rivolto ai suoi avvocati, è rientrato sull’ambulanza. La Persi lo ha seguito al Niguarda, gli agenti pure, e mentre l’ambulanza partiva qualcuno affacciato dai balconi ha urlato: “Vai Fabrizio”. La madre è rientrata dentro e ha cominciato a piangere, consolata da Nathan e da altri collaboratori di Fabrizio arrivati da poco. Dopo un po’ si è sentita male ed è stata soccorso da altri medici. A casa di Corona la donna delle pulizie ha cominciato a togliere il sangue rappreso sul parquet e sui tavoli. Nell’appartamento, il silenzio, mentre Corona al Niguarda veniva sedato e curato.
I magistrati dovrebbero capire che con soggetti del genere il muro contro muro non porta a niente, solo a far reiterare gli errori e a perpetrare il dolore
Quello che ho capito, a maggior ragione dopo tutto quello che ho visto ieri, è che su Fabrizio Corona c’è un accanimento e che lui fa poco o niente per evitarlo, figlio vittima e cantore di una estetica del ribelle che ha i suoi lati affascinanti ma anche quelli deleteri. Però un conto è commettere degli errori, un altro dei reati. Probabilmente, per parte della magistratura (e non solo), il problema di Corona è che si continui a parlare di Corona e che lui sia bravo (e molto, questo è innegabile) a far parlare di lui. Il problema - per molti - è che si è fatto pubblicità con la sua autobiografia, che utilizzava i social, che continuava a lavorare gestendo ospiti di alcuni programmi televisivi. Facendo queste cose ha commesso degli errori, appunto: ha postato la foto della diciottenne che ha denunciato di stupro Genovese in una storia, cancellata dopo tre minuti (ragazza che ha sostenuto di non aver ricevuto alcun danno da questo sbaglio e che io stesso ho visto a casa di Corona dopo l’accaduto); si è mostrato troppe volte in tv e sui giornali attirando su di sé critiche e invidie; ha giostrato fin troppo ospiti e programmi quasi a suo piacimento (ma perché lui è molto bravo a fare questo tipo di lavoro e tanti autori televisivi se ne approfittano); si è reso attaccabile da Nina Moric in una telefonata registrata a sua insaputa e con al centro della questione il figlio Carlos e dopo è andato a sfogarsi in modo esagerato dalla D’Urso.
Ecco, Carlos. Carlos ha bisogno di assistenza, ha criticità di cui non voglio parlare perché non ne ho il diritto, ma chi deve giudicare del destino di Fabrizio Corona non può non tenerne conto. Così come non può non tenere conto che Fabrizio, per quanto possa essere sicuro di sé e arrogante, ha una serie di problematiche che vanno curate e monitorate. Anni di carcere e processi lasciano il segno. Nel suo libro racconta tutto, anche le violenze della polizia penitenziaria. Sicuramente Corona è narciso, sicuramente ha un ego enorme, sicuramente utilizza le persone per i suoi fini, ma essere un personaggio ingombrante non è un reato. È stato in galera prima due mesi, poi 5 anni, sta continuando a pagare ciò per cui è stato condannato, era ai domiciliari da 15 mesi. In questo periodo è rimasto in casa e ha continuato a fare il suo lavoro, anche il sabato e la domenica, durante la settimana fino a orari improbabili. Chi gli vuole bene (me compreso) gli ha ripetuto di farsi da parte, di non mostrarsi più, di diventare invisibile. Un po’ ci è riuscito. E da diverso tempo aveva ridotto le storie social, azzerato le comparsate televisive e le polemiche. Credeva bastasse per non tornare in carcere ma i tempi della giustizia sono lenti e gli errori che ha commesso prima di questa sua conversione verso uno pseudo silenzio hanno pesato e pesato tanto.
Così quando ha ricevuto la pec che gli comunicava il ritorno in carcere è tornato sulla linea dura, dello scontro faccia a faccia. Con l’aggravante che i suoi disturbi psichici non sono facilmente controllabili e capire dove finisce la spettacolarizzazione e comincia la follia è davvero difficile, anche per lui. Ma quello che ha fatto non è stata una sceneggiata, come ha scritto Gramellini sul Corriere della Sera, è stato un gesto esasperato di chi sente che contro di lui c'è un accanimento basato non sui fatti ma sul pregiudizio. Il discorso è che se ti comporti come si è comportato lui due giorni fa, con la magistratura non c’è molto da guadagnarci. Anzi, hai tutto da perdere. E ieri, guardando dal vivo tutto il caos dell’arresto, una cosa è stata chiara: hanno perso tutti. Hanno perso i magistrati che dovrebbero capire che con soggetti del genere il muro contro muro non porta a niente, solo a far reiterare gli errori e a perpetrare il dolore, che non hanno compreso cosa si nasconde dietro ai suoi atteggiamenti da spavaldo e che hanno ignorato le relazioni del centro di recupero a cui era stato affidato Corona; hanno perso i poliziotti che gli hanno preso il cellulare senza averne il permesso; ha perso chi vuole bene a Fabrizio a partire dalla madre e dal figlio Carlos, che continueranno a soffrire per la sua assenza. E ha perso Fabrizio stesso. Che, ripeto, per quanto il suo carattere gli imponga di essere per forza un protagonista della vita mediatica italiana, non merita l'accanimento, come non lo meriterebbe nessuno. Adesso ha chiesto udienza al giudice del Tribunale di Sorveglianza e fin quando non l'avrà non vuole né mangiare né bere. Tutto questo non mi pare che abbia a che fare con la rieducazione né, tantomeno, con la giustizia.