Come un'ombra che si fa spazio dentro ad un pezzo di storia, il fotografo Jonathan Danko Kielkowski, a quattro anni dal naufragio della Costa Concordia, è riuscito a intrufolarsi nel relitto della nave prima del suo smantellamento definitivo. Sono immagini di bruttezza interiore, quelle che pubblica nel 2016. La vera fotografia di una tragedia che da fuori non può essere compresa. Sale da pranzo ricoperte di melma, teatri a pezzi, sedie rovesciate, materassi, bicchieri, vestiti e giocattoli. Tutto ciò che rendeva grande la Costa Concordia e orgoglioso il suo Capitano, giace rovesciato, vomitato, a terra. Lo stomaco sottosopra di un relitto che è lo specchio della sua tragedia.
Fotografie che rappresentano alla perfezione una storia raccontata da Pablo Trincia e Debora Campanella in "Il dito di Dio - voci dalla Concordia", un podcast di Chora Media pubblicato in occasione del decimo anniversario del naufragio.
I racconti dei sopravvissuti, dei protagonisti di quel 12 gennaio 2012, si trasformano in acufene difficile da sopportare per chi fin dal primo ascolto comprende l'inutilità di un dramma che si sarebbe potuto facilmente evitare.
Come un romanzo, agghiacciante nella trama ma perfetto nei colpi di scena distribuiti con sapienza, il podcast di Trincia srotola le gioie di chi si concede una vacanza dopo anni di duro lavoro, famiglie ritrovate, compleanni importanti, occasioni da non sprecare; per poi colpirti con la realtà di un evento indelebile nella memoria collettiva italiana.
Lo ascolti e quasi non ci credi, al finale che sai di dover affrontare. Non puoi pensare a una nave così immensa, un ingranaggio perfetto, che semplicemente si mette di traverso, lasciando entrare il mare. Non puoi credere a quelle persone, gente normale, felice, che indossa tacchi e vestiti eleganti per andare a teatro e poche ore dopo si ritrova a correre sulle pareti bagnate di una prigione galleggiante completamente inclinata.
Correre sulle pareti, capite? Cadere dentro porte e volare per quattro metri fino al pavimento, scivolare per colpa del mare, che però piove dal cielo.
E, più di ogni altra cosa a cui non puoi credere, è che non puoi accettare la bruttezza umana. Perché non ha senso, dall'inizio alla fine di questa tragedia, ma forse la realtà è che nella paura niente ha davvero coerenza. Perché "Il dito di Dio" racconta la storia di una città galleggiante che cambia rotta, e si avvicina pericolosamente all'Isola del Giglio dove troverà la sua fine, per una richiesta personale: fare il famoso "inchino" all'isola, passando vicino alla finestra della casa della madre del maitre Antonello Tievoli. Una richiesta oggi incomprensibile ma accordata, quella sera, dal comandante Francesco Schettino.
Un errore umano da cui parte tutto. Pablo Trincia inizia da lontano, raccontando dettagli e percorsi, incastri di vite, dai camerieri indiani che cercano fortuna lavorando sulle navi da crociera ai passeggeri, spettatori ignari di un dramma che segnerà per sempre le loro esistenze.
Parte da lontano per arrivare lì, al momento in cui ogni decisione da prendere è stata presa nel modo e nei tempi sbagliati: la negligenza di un comandante che non ha dato l'allarme, non ha ordinato l'abbandono nave dei passeggeri, ha mentito a tutti, forse anche a se stesso, continuando a minimizzare il problema, parlando per minuti fondamentali di un semplice blackout a bordo. E poi, come il degno finale di una storia disgraziata, ha abbandonato la nave prima dei suoi passeggeri.
La celebre telefonata di Gregorio De Falco, nella quale intimava al comandante di fare ritorno sulla nave, al grido di "Salga a bordo, cazzo", è solo la punta dell'iceberg di questa tragedia dell'animo umano. Non solo Schettino infatti, lasciò la Concordia senza onore.
Uomini, ufficiali, addetti alla sicurezza ma anche passeggeri troppo spaventati per ricordarsi, inclinati e bagnati, di avere ancora un'anima sotto ai vestiti. I sopravvissuti raccontano di uomini che saltarono sulle scialuppe prima di donne e bambini, spintoni, risse tra disperati. Addirittura un trolley, portato in salvo prima di 32 persone che da quella nave non si salvarono mai.
La ricostruzione a ritroso del podcast ci permette di capire prima di disperarci, di mettere insieme i pezzi prima di conoscere l'immagine finale del puzzle. Tra le registrazioni di quella notte (premonitoria una bambina che ancora a bordo della nave, dopo pochi minuti dal blackout, piangendo dice: "Era proprio bellina questa nave") e le decine e decine di testimonianze, "Il dito di Dio" mette in fila rabbia e disperazione, bruttezza e casualità.
Concedendoci però anche il lusso di un po' di amore: le storie di chi invece ha messo davanti alla propria, la vita degli altri. Padri, madri, fratelli e sorelle, telefoni prestati per chiamare a casa, dire addio, coperte per asciugare i bambini, case aperte, al Giglio, per accogliere chiunque e in qualsiasi momento.
Come uno spiraglio di sole sul relitto terribile di questa tragedia italiana, che a 10 anni dal naufragio continua a colpirci, il bello tenta di curare il brutto o, almeno, prova a comprenderlo: "Hanno solo paura, cerca di capirli", dirà il dottor Cinquini, medico di bordo, a un passeggero arrabbiato per la mancanza di empatia delle persone in fuga dalla Concordia.
E la paura cambia ogni cosa, permette di trovare la forza necessaria a camminare sulle pareti e non annegare mentre a piovere è il mare, ma tira fuori anche il peggio delle persone. Codarde, insensibili, piccole e umane al cospetto di qualcosa che non sembra alla loro portata ma solo spostata, con un dito, da Dio.