Da outsider di successo a sconfitto che cerca redenzione e vendetta. Se Donald Trump, dopo le tante voci che si stanno rincorrendo in queste ultime settimane, confermerà la volontà di ricandidarsi alle elezioni americane del 2024, presentandosi alle Primarie del Partito Repubblicano, la sua posizione da candidato sarà completamente diversa rispetto a quella con cui vinse, a sorpresa, nel 2016.
Il tycoon negli anni da Presidente ha cambiato pelle, passando dall'immagine dell'imprenditore di successo che vuole ricostruire il paese a quella del politico sconfitto, uno dei pochi nella storia moderna degli Stati Uniti a non essersi dimostrato all'altezza di una rielezione. Si presenterebbe così con l'intento di diventare il Presidente più vecchio degli Stati Uniti (78 anni e qualche mese in più del tanto criticato Sleepy Joe) e con un'immagine totalmente da ricostruire.
Perché se da questa parte dell'Oceano ci piace pensare a un tycoon che non ha mai perso il suo carisma, negli Stati Uniti l'immagine di Trump è decisamente diversa: in molti fedelissimi, dopo i fatti di Capitol Hill dello scorso gennaio, hanno perso la fiducia nell'ex presidente, spostandosi verso repubblicani più moderati o, semplicemente, più affidabili. Il lancio del suo social network personale - una sorta di blog che sembrava uscito dal 2005 - non ha convinto il pubblico, ed è stato chiuso nel giro di qualche mese. I suoi attacchi personali alla presidenza Biden per la gestione, criticabilissima, della fine della guerra in Afghanistan non hanno retto il peso delle critiche avversarie, che gli hanno ricordato come fosse stata la sua amministrazione, nel 2020, ad aver firmato l'accordo di Doha con i talebani.
Un accorto che tanto rendeva orgoglioso il Trump di un anno fa, quello che dal 29 febbraio 2020 si è preso il merito di aver portato alla conclusione una guerra ventennale, ma che adesso non viene più citato dall'ex presidente che - al contrario - ha cancellato dal suo sito tutti i riferimenti a Doha o al ruolo della sua amministrazione in Afghanistan. Accordi presi con i talebani che sancivano i termini e i tempi del disastro afgano, oggi considerato invece una responsabilità del presidente in carica.
Questioni che continuano a non interessare all'elettorato più radicale di Trump, ridotto nel numero rispetto al passato ma sempre rumoroso agli occhi dei media, ma che invece preoccupano il partito repubblicano.
Per la fascia conservatrice della politica statunitense infatti trovare un ottimo candidato per le elezioni del 2024 sarà fondamentale per tentare di strappare la presidenza ai democratici, replicando la disfatta del tycoon del novembre 2020 e riprendendosi così la Casa Bianca dopo un solo mandato. Una possibilità che si fa più concreta pensando a un'improbabile ricandidatura dell'anziano Joe Biden, che lancerebbe la sua vice Kamala Harris alla corsa alla presidenza, aprendo le porte per un vero scontro diretto tra due sfidanti alla pari.
Questa sfida tra "facce nuove" (che nuove per la politica americana ovviamente non sono) potrebbe però subire un arresto per colpa proprio di Donald Trump: il tycoon non è mai piaciuto alla maggioranza del partito, che si è trovato costretto ad accettarlo come vincitore delle primarie del 2016 dopo l'enorme successo conquistato, e in seguito l'ultimo impeachment la popolarità di Trump tra i Rep è scesa ai minimi storici.
Una ricandidatura dell'ex presidente - quasi confermata dal deputato repubblicano Jim Jordan, grande amico di Trump - potrebbe quindi portare non pochi problemi all'interno di un partito già da tempo spaccato in due sezioni piuttosto nette, con una destra centrista e una fetta più radicale. L'idea del partito, per le primarie del 2024, dovrebbe quindi essere chiara: presentare candidati che rappresentino entrambe le anime dei repubblicani, lasciando al popolo la scelta di chi candidare alla Casa Bianca.
Trump si infilerebbe però in questo contesto, surclassando gli avversari con una popolarità neanche paragonabile, e lasciando il fianco scoperto a un partito che non vuole ritrovarsi al centro di una situazione già vissuta in passato.
Un grande regalo per i Democratici che userebbero il tycoon come specchietto per le allodole contro i nuovi candidati, tra i quali i temibili Mike Pence, da tempo vero leader dei repubblicani, Nikki Haley e Mike Pompeo.
"L'ex presidente oggi non aiuta il partito ma, al contrario, abbassa l'entusiasmo della grande base di elettori repubblicani, spingendo i candidati a dover prendere le distanze da Donald Trump - spiega Edward-Isaac Dovere sul The Atlantic - Distrugge gli elettori più indecisi, quelli che oscillano tra Rep e Dem, ricordando a tutti i recenti collegamenti con fatti drammatici di Capitol Hill. La vera mossa dei Democratici è quella di sperare, e puntare, su un ritorno di Trump".
Edward Dovere nel suo articolo si concentra sulle elezioni di questo autunno in Virginia e New Jersey dove, seppur a distanza di tre anni dalle primarie, l'ombra del ritorno di Trump potrebbe già danneggiare funzionari e candidati del partito.
Nell'attesa di scoprire se il tycoon deciderà davvero di buttarsi in questa nuova, folle, corsa alla presidenza, dalla parte dello scetticismo repubblicano c'è anche l'ex first lady Melania che, racconta il The Guardian, è la prima oppositrice del marito: per lei, tornare alla Casa Bianca per altri quattro anni, sarebbe un incubo da non ripetere.