Io sono nato e cresciuto per larga parte dei miei 45 anni a Milano. Beppe Sala è il mio sindaco. L’ho votato con convinzione e, in generale, a parte qualche uscita discutibile dato il carattere passionale (per il quale ha, bisogna dire, poi sempre chiesto scusa o perlomeno corretto il tiro) mi è più o meno sempre piaciuto. Fin da quando ho visto, su YouTube, il suo primo singolo “Milano, Sushi & Coca”, ho provato un’instantanea simpatia per Myss Keta, la misteriosa rapper mascherata ambasciatrice di Porta Venezia. Stesso dicasi per il tenero Ghali, italo tunisino onorario di Baggio che mi stregò con “Wily Wily”, mescolando nel suo flow italiano e arabo (avendo vissuto tre anni in Arabia Saudita da ragazzino sono sempre stato affascinato dalla lingua e dalle sonorità locali).
E allora perché, guardando il video di YesMilano diffuso da qualche ora su tutte le piattaforme social, con una parata di volti noti legati alla capitale lombarda (tra cui appunto Keta e Ghali) mi girano vorticosamente i coglioni? È una domanda a cui sinceramente non so dare una risposta precisa ma ci provo lo stesso. Mi pare che il video, realizzato in modo tecnicamente ineccepibile dall’agenzia Wunderman Thompson, riprenda il discorso su Milano proprio da dove si era fermata (diciamo pure: da dove era stata costretta a fermarsi) a causa del lockdown.
Il 27 Febbraio era circolato il video “Milano non si ferma”, in cui alcuni dei luoghi più caratteristici della metropoli si susseguivano in un veloce montaggio mentre delle scritte in caratteri cubitali informavano il resto d’Italia che noi milanesi “facciamo miracoli ogni giorno” (ma chiaramente non conosciamo la modestia), “abbiamo ritmi impensabili ogni giorno” (a me sembra più il presupposto per andare in analisi che non un motivo di vanto) “portiamo a casa risultati importanti ogni giorno” (questo può essere, ovviamente manca il “rispetto a chi”) “perché ogni giorno non abbiamo paura” (affermazione discutibile: conosco tantissima gente che ha paura a Milano, soprattutto a Rogoredo, di notte, ma vabbè). Ma al di là del carattere sborone che trasuda dal video di una città che in un paese senza termini di paragone effettivi da dopo l’Expo passa gli anni a misurarsi l’uccello (=la torre Unicredit), il problema di quel video è stato soprattutto il tragico bad timing. Sappiamo tutti com’è andata. Solo pochi giorni dopo, la rapida diffusione del virus ha costretto il governo a varare le prime misure restrittive e poi, visto che nessuno le rispettava, a dichiarare il lockdown. Milano si è fermata, i ritmi impensabili pure e Sala ha ammesso da Fazio che “Milano Non si Ferma” è stato un errore.
Milano è raccontata ancora e sempre nello stesso modo di quando era la culla dell’egemonia Craxiana negli anni 80
Ora, in questo nuovo clima post-covid (che post non è visto che mentre scrivo si registra l’ennesimo aumento di positivi in Lombardia e Veneto) ecco questo nuovo video, nato, mi sembra di aver letto da qualche parte, per rilanciare il turismo della città. Mi pare giusto, e capisco che Sala sia un sindaco ma anche un manager con un occhio sempre attento al fatturato e ai bilanci. Quello che mi provoca un principio di orchite appena schiaccio play è il fatto che la mia città (che amo, con tutti i grandi pregi e gli enormi difetti che ha) venga raccontata ancora e sempre nello stesso modo di quando era la culla dell’egemonia Craxiana negli anni 80, quando era una città da bere (e quando, soprattutto, c’erano i soldi veri, non come oggi): cambiano le inquadrature, le transizioni grafiche e i filtri, ma non quell’accozzaglia di cliché che ormai sono stantii e tristi come quei tramezzini di polistirolo che ti vendono in treno. I grattacieli, il divertimento, la movida, la cultura ma anche lo street style, gli skate, i rapper, la periferia recuperata che adesso è cool, Cracco, la moda, il fatturato, tutto colorato, dinamico, figo, yeah. Tutto come se la più grande tragedia dal dopoguerra (di cui Milano è stato un focolaio) non fosse mai esistita.
Lambrooklyn diosanto? Perché i Milanesi pensano di vivere in una succursale di NY? Perché hanno “ritmi impensabili”? Perché hanno una linea di metrò che funziona?
Non so se succeda ad altri ma a me, dopo l’arrivo del covid-19 sembra che questi codici comunicativi suonino vecchi come il termine “cucador” per definire un uomo che ha successo con le donne o “sfitinzia” per identificare una giovane ragazza piacente. È questo il massimo che i più illuminati copy milanesi sono riusciti a partorire? Durante gli eterni e difficili mesi di segregazione domestica in tantissimi avevano teorizzato e auspicato un cambiamento, una nuova sensibilità che ci facesse riscoprire l’importanza di rallentare, di essere più sostenibili e di aiutare le fasce più deboli della popolazione come gli anziani, gli emarginati, gli immigrati con famiglie numerose che fanno a pieno titolo parte integrante del variegato tessuto sociale di molti quartieri (penso a Nolo ma anche a Corvetto e Calvairate, dove sono cresciuto). Nel video di Yesmilano non vedo nulla di tutto ciò. Certo, è una pubblicità: la finalità è vendere un’idea di Milano avvolgente, appagante, sfaccettata e tutta da scoprire, dove convivono armoniosamente tante realtà diverse e dove ogni giorno ci si reinventa e si riparte. Non è che puoi far vedere le osterie, la mala di Scerbanenco e gli operai con le mani che sembrano di ghisa. Ma perché non raccontare in modo più empatico una città capace di accogliere, di rialzarsi e ripartire nonostante tutto, un luogo che può essere aspro ma anche ricco di belle storie e occasioni che nascono dalle macerie di una tragedia recente e tutt’ora in corso?
Questo video è vecchio, vecchissimo, perché tratta Milano come se il virus che ha sconvolto il paese e il mondo non fosse mai esistito. E non basta metterci dentro due icone di integrazione sociale e del mondo LGBT che erano hip qualche stagione fa per sembrare attuali. Ma non è finita. Per dare un’idea delle sfaccettature di una città in costante mutamento vengono velocemente passati in rassegna i vari quartieri simbolo della città. È un elenco inutile: criptico per chi non è di Milano, poco rappresentativo della città reale (mancano diversi quartieri, meno fighi, come la Barona, Giambellino e Corvetto… però c’è Baggio perché Ghali è di Baggio) e sinceramente mi sembra poco attrattivo per i “turisti” a cui sarebbe indirizzato il video: faccio fatica a immaginarmi un giovane siciliano che decide di andare a Milano per scoprire le meraviglie nascoste di Baggio.
Sono codici comunicativi vecchi come il termine “cucador” per definire un uomo che ha successo con le donne
Menzione speciale per Lambrate, che nel video viene ribattezzata, facendomi istantaneamente uscire del liquido spinale dal naso, Lambrooklyn. A parte la volontà di gentrificare pesantemente il quartiere mi sfugge il senso di questo neologismo che indica il parallelismo continuo, forzoso e provinciale con New York. Già quando era stato coniato “Nolo” mi era girata la testa, ma almeno in quel caso la sigla celava una vaga motivazione semantico/geografica (il quartiere era in effetti a nord di Loreto). Ma Lambrooklyn diosanto? Perché i Milanesi pensano di vivere in una succursale della Grande Mela? Perché hanno “ritmi impensabili”? Perché hanno una linea di metrò che funziona? Una risposta l’ha data Justine Mattera, nata a New York ma milanese d’adozione, a Il Giorno in febbraio: “New York è la città che non dorme mai, ma Milano si sveglia presto. La metropoli si muove a un ritmo veloce, è frenetica, sempre in evoluzione”. Sarà. Ma intanto, come scrive Zoe De Luca su Facebook, Milano ad agosto si prepara a “sgomberare Lambretta, Cascina Torchiera e Ri-Make, vero volto delle realtà culturali e sociali di quartiere che durante la quarantena hanno aiutato oltre 10000 famiglie milanesi dimenticate dallo stato, da voi e da regione Lombardia e che adesso che hanno fatto il vostro lavoro non vi servono più”.
Sempre su Facebook, Costantino Della Gherardesca posta una foto di Enzo Braschi nei panni del Paninaro del Drive In, con la didascalia: “ho trovato un personaggio perfetto per YesMilano”. Lo scrittore Simone Tempia invece definisce il video come una pubblicità di un SUV e, a mio modestissimo parere, centra il punto scrivendo in un commento al video: “Non funziona. Non invoglia. Non spiega. Non ti fa capire niente. È una clip con epicità applicata a casaccio. La pubblicità funziona quando racconta, quando colpisce e a volte anche quando disturba. Non quando è allineata alla retorica di regime standard”. Non posso che essere d’accordo.
La Milano che vedo in quel video non la riconosco. La mia città è molto di più di un’antologia di luoghi comuni vecchi di decenni shakerati con un filtro Instagram. E giuro che se sento qualcuno dire “lambrooklyn” in una conversazione mi trasferisco in Laos.