Omar Edoardo Pedrini da Brescia (ma milanese da tanti anni, nelle “mie” zone natie) compie oggi 55 anni. “Chi l’avrebbe mai detto”, ha esordito l’altra sera sul palco, a chi, conoscendo la sua storia, e che sa che ha forse più punti lui del suo amato Brescia calcio in tutta la storia della serie A. La cicatrice immortalata da Giovanni Gastel rende molto bene l’idea. Credo sia morto e risorto, è stato “sia aldilà che aldiquà” più volte, spiritualmente e fisicamente spesso per colpe non sue come raccontato nella sua biografia, ma si è sempre rialzato, ritornando a correre, magari non più forte di prima, ma meglio di prima quello si, direi di si.
Frontman dei Timoria negli anni 90 e 2000, capostipiti di quel movimento rock italiano che poi ebbe come altri protagonisti i Litfiba, i Marlene Kuntz, gli Afterhours, Ritmo Tribale… La lista è lunga e, spesso, mancante di qualche pezzo. Testi forbiti ma educati, che richiamano all’approfondimento in maniera quasi naturale.
Stasera su Sky Arte alle 21.15 verrà proposta la versione integrale del concerto tenutosi al Fabrique a Milano il 2 dicembre 2019 (ero presente, come sempre) per ripercorrere i 25 anni dell’album “Senza vento”.
Gruppo magico i Timoria, mi hanno accompagnato dalla mia maggiore età, con “Milano non è l’America”, nel cui video compariva un certo Wim Wenders mentre io stavo lasciando Milano per fare il militare in aeronautica a Taranto, e poi a Montichiari, salvo poi ritrovarmi nella caserma a fianco, a Ghedi, il mio adorato e sfortunato bassista Carlo Alberto “Illorca” Pellegrini, ad oggi, dove i messaggi di amicizia ed affetto che mi legano a quest’omone che ama stare e muoversi nelle “zone d’ombra”, come le descrive metaforicamente mutuandole dal rugby del quale è grandissimo fan, non solo non mancano mai, ma sono e saranno sempre fonte di sorpresa e brividi per me.
Per fare un paragone a lui caro, amante degli Who o di Paul Weller (roba fina qui, ma venerato in UK, giustamente, dico io), è come se Pete Townshend mi scrivesse di tanto in tanto, facendolo con un’attenzione e sincerità struggenti. E pur conoscendo tutti gli altri Timoria, con i quali ho rapporti magari più frequenti e più “semplici”, è l’unico che mi fa questo effetto, e per il quale ho ancora oggi una soggezione pazzesca. Li ho sentiti tutti, gli altri rockettari anni 80-90-2000, edotti, bravi, grandi personaggi sicuramente importanti del rock italico: Agnelli, Godano, Ligabue...
Sentire però parlare il Pedro (come lo chiamo io, o Omar Edoardo, perché mi ricorda il fatto che anche io abbia due nomi, Luca Marzio), però, è sempre una esperienza formativa, degna di spunti, facile e veloce da comprendere. Parla di una canzone, di un libro e…tac! Ti viene voglia di ascoltare quella canzone o di comprare il libro di cui ha parlato. Ha sempre la presunzione di poter imparare e di diffondere, mai di insegnare per forza.
E’ coinvolgente dal basso, mai dall’alto. La mia soggezione non è dettata dalla differenza di sapere, ma dal carisma che in lui è tangibile da metri di distanza. Poter entrare a fine concerto nel camerino a mangiare pane e salame, e bere un bicchiere di buon vino, cosa che succedeva anche ai tempi dei Timoria, i cui si giocava anche a biliardo durante i tour del 1993, parlare di orti, di contadini e di mani nella terra e di cose semplici credo sia una esperienza unica. Se è per la sua origine umile e contadina, beh, dovremmo tutti ricordarci da dove siamo partiti, e quanto le cose semplici siano sempre le migliori, per poter apprezzare poi il resto.
Per cui, in alto il calice di vino, magari di un buon rosso scoperto dal tuo padrino Veronelli, e tanti auguri, zio rock!