Attraverso i suoi occhi per più di quattro anni abbiamo conosciuto l’amministrazione Trump, vissuto le elezioni di medio termine e l’ascesa del ticket Biden – Harris. Abbiamo incontrato persone, scoperto storie e ci siamo immersi nell’America più profonda, quella più vera. L’avventura professionale negli Stati Uniti di Giovanna Pancheri è al termine, ma lei ha già annunciato che nuove avventure (sempre su Sky) l’attendono in Italia. In un incastro tra ultimi impegni di lavoro, scatole per il trasloco e fuso orario la raggiungo telefonicamente per parlare di USA e del suo ultimo libro “Rinascita Americana” (SEM). Ovviamente non possiamo non iniziare da Donald Trump.
Garry Trudeau, il creatore della striscia a fumetti Doonesbury, ha detto che “Disegnare Trump è un viaggio, non una meta”. Partiamo da qui: il tuo raccontare Trump è stato un viaggio o una meta?
È stato assolutamente un viaggio e credo si percepisca anche nel libro. Quella di Trump è stata una presidenza particolare che ha richiesto, per essere raccontata, di girare tanto gli States e io l’ho fatto. È stato un viaggio di conoscenza in questo paese che prima guardavo con gli occhi della turista o della persona che ha amici qui e che magari aveva fatto in passato delle piccole esperienze di lavoro. Andare in giro per il Paese mi ha dato la possibilità di aprire completamente la mia visione sull’America e di poterla arricchire.
Nel 2016 USA Today disse che il linguaggio di Trump equivaleva a quello di un bambino di quarta elementare. Che America troviamo tra le pagine del tuo libro? Quale paese elegge un Presidente che parla come un bambino di quarta elementare?
Un paese che ha tante problematiche, ma prima di tutto è opportuno sottolineare come Trump fu votato da persone molto diverse. Bisogna analizzare il momento in cui è arrivato: la crisi del 2008 continuava a far sentire i suoi morsi, che si erano tradotti in passi indietro dell’economia reale e le persone che prima magari avevano anche votato Obama per due mandati di fila, penso al Midwest, si sono ritrovati poveri e a non poter più vivere il sogno americano.
Come si è inserito Trump nel sogno americano?
In questo Paese il peggior insulto che puoi fare a qualcuno è “looser”, perdente. Perché in America tu hai tutti gli strumenti per diventare un vincente e per realizzarti. E se non ci riesci è colpa tua. Questa prospettiva però è cambiata con la crisi del 2008 e molte persone hanno iniziato a non poter più vivere l’american dream, si sentivano ai margini, non più in grado di essere ciò che la vita o la posizione ricoperta imponeva loro di essere. Trump ha avuto la capacità di intercettare questa cosa e di ribaltare il paradigma. Ha parlato agli americani dicendo che non era colpa loro, che non erano loro ad essere sbagliati, ma era il sistema ad avere qualcosa che non funzionava e che gli impediva di essere dei vincenti. Trump nel 2016 ha promesso di eliminare gli ostacoli che si frapponevano tra l’americano e il successo. Questo cambio di prospettiva, questo nuovo messaggio, gli ha fatto prendere tanti voti.
Quindi quattro anni fa Trump ha riportato in alto il concetto di quell’America reaganiana che abbiamo imparato a conoscere al cinema? Penso ai film di Michael J. Fox dove se lavori sodo puoi ottenere tutto…
E non solo. Ha anche detto: se non riuscite a fare questo percorso non è colpa vostra. Ed è questo switch che ha fatto la differenza ed è stato il segreto del suo successo. Trump ha detto: se vi impegnate io vi eliminerò gli ostacoli che fino ad oggi vi hanno impedito di raggiungere i vostri obiettivi.
Quali ostacoli?
La “palude” di Washington come la chiamava lui, o l’immigrazione, o le regolamentazioni sull’ambiente per dirne alcune.
Ma Trump, ha fatto anche qualcosa di buono?
Assolutamente sì. Penso alla politica estera e mi vengono in mente gli accordi di Abramo; anche sulla Cina - per quanto con modi e termini esagerati - ha acceso un faro importante su Pechino che credo abbia poi dato il coraggio anche all’Europa di iniziare a guardare con altri occhi cosa accadeva lì.
Sul tavolo dell’economia invece?
I successi roboanti che lui millantava erano appunto… millantati. Nei primi tre anni del mandato, prima della pandemia, l’amministrazione Trump aveva creato 6 milioni di posti di lavoro, mentre Obama negli ultimi tre anni del suo ne aveva creati 8 milioni. Questo ci dice che Trump si è inserito in una scia che adesso sta rallentando. Aveva anche promesso che avrebbe portato gli USA a una crescita del 3% e nel 2018 siamo quasi arrivati a quella soglia, ma nel 2019 – sempre prima della pandemia - siamo di nuovo scesi dal 2,9 al 2,4. Insomma può anche aver fatto cose positive, ma il problema è che quando fai una simile uscita di scena rischi di far dimenticare anche quel buono.
A proposito di uscita di scena… Nel tuo libro c’è anche quell’America che abbiamo visto a Capitol Hill. Li hai conosciuti, li hai visti da vicino, puoi raccontarceli meglio?
È una popolazione variegata. Ci sono anime più raffinate e sovversive ideologicamente e c’è un mondo di persone che ha dei chiari problemi. Non è un caso che tra i manifestanti e assalitori ci fossero molti veterani dell’esercito. Qui se ti arruoli non finisci in caserma, ma spesso ti ritrovi in teatri di guerra e quando torni non hai un’assistenza adeguata al disturbo da stress post traumatico. E questo è un problema reale. Ne ho incontrati molti che ne soffrono.
Chi c’era quel 6 gennaio?
La parte più estrema dell’elettorato di Trump, da chi ha dei problemi - come detto - a chi ci crede ideologicamente non solo in Trump, ma proprio nel sovvertire la democrazia. Questi si sono sentiti legittimati a compiere determinate azioni e la responsabilità è di Trump che non ha condannato certi movimenti. L’unica condanna fatta negli anni è stata per il Ku Klux Klan e lo ha fatto comunque in una dichiarazione in cui ha condannato anche i movimenti Antifa. Ma capisci che oltre al KKK ci sono migliaia di movimenti simili in America. Lo scorso ottobre il dipartimento degli interni americano ha dichiarato che il terrorismo interno di matrice suprematista bianca di estrema destra rappresenta la maggior minaccia per la sicurezza nazionale. La domanda allora è: da ottobre al 6 gennaio cosa è stato fatto davanti a quell’allerta?
Nel 2024 Biden avrà 82 anni. È ragionevole pensare che non farà un secondo mandato. Che ruolo può giocare in questo senso Kamala Harris? Potrebbe essere lei a impersonificare la “Rinascita americana”?
Ci tengo prima a dirti però che il titolo del libro non è legato alla vittoria di Biden (ride ndr). Io tutti giorni ricevo l’agenda del presidente e Kamala Harris è presente in tutti gli appuntamenti di Biden, anche nel briefing dell’intelligence che il presidente riceve ogni mattina. La si sta preparando. La stanno mettendo in prima linea, non sarà un Vice che dovrà tagliare qualche nastro, ma sarà profondamente operativa con il pensiero al 2024.
Più che Vice, direi Presidente ombra…
Diciamo di peso! Ne sentiremo parlare di sicuro.
Biden non ha telefonato a Conte… che percezione c’è dell’Italia negli USA?
In generale in Italia si crede che l’America pensi tanto a noi, ma non è così. Secondo me in questo momento ci sono altre preoccupazioni rispetto all’Italia. La mancata chiamata è legata alla crisi di governo italiana. C’è stato comunque un contatto diplomatico con una telefonata tra pari livello tra Di Maio e Blinken.
Il tuo periodo da inviata negli Stati Uniti è terminato. Cosa ti porti indietro di questa lunga esperienza?
Mi porterò via tante belle conoscenze. Tanti incontri che mi hanno aiutato a capire meglio questo Paese che rimane un polo di attrazione per le eccellenze di tutto il mondo. Mi porterò dietro anche la forza e l’energia che si respirano nell’aria e un grande insegnamento: cercare e circondarsi di persone più brave, per avere degli stimoli, per capire come poterci collaborare, per imparare dalle loro esperienze. C’è una cosa che mi sorprende sempre in una nazione piena di individualismi e in cui tutti cercano il loro successo personale: quando ti chiedono come posso aiutarti? Che cosa posso fare per te? Perché anche per eccellere singolarmente è importante la collaborazione, il gruppo, il mettere insieme tante teste per arrivare al risultato migliore. Anche questo metterò nella valigia per l’Italia.