Le Converse ai piedi, il sorriso contagioso, i colori che non la identificano, né bianca né nera, in un mondo che cerca di chiudere tutto dentro a una scatola, per definire ciò che non conosce e dargli un nome. Ma a Kamala Harris le convenzioni e i confini non sono mai piaciuti. E come potrebbero piacere, a una bambina dal sangue misto, cresciuta in ambiente progressista, le etichette di un'America incapace di comprenderla?
Forse è stata proprio questa consapevolezza a portarla fino alle porte della Casa Bianca. Al fianco di un uomo che, da suo avversario politico, non ha mai avuto paura di attaccare aspramente.
Questa è la prima lezione di Kamala Harris: sii coerente con te stesso. Sapeva, fin dai tempi delle primarie statunitensi, che il dream team per la corsa dei Dem alla Casa Bianca sarebbe stato composto da Joe Biden, per la presidenza, e da lei, come prima vicepresidente donna della storia degli Stati Uniti.
Ma Kamala era in corsa per la vittoria delle primarie, era lei quella in gioco, lei e le sue idee. Parole che rimarranno, anche in una sua futura corsa politica per la presidenza. Così non si è mai tirata indietro nei confronti diretti, distruggendo pubblicamente anche lo stesso Biden, nel loro primissimo scontro televisivo. Lei, così brava con le parole e lui, così traballante come oratore. Una scelta che chissà, con un uomo dalla personalità diversa rispetto a Biden, avrebbe potuto bloccare la sua scalata alla vicepresidenza.
Ma la Harris è sempre stata così: coerente con se stessa, prima di esserlo con le scelte politiche del suo Partito o con quelle che l'avrebbero portata a raggiungere più facilmente la vetta della montagna della politica statunitense. Tra le sue frasi più famose, per chi negli anni ha criticato il polso duro contro il crimine avuto nei suoi anni da procuratore generale in California, Kamala risponde "Non è da progressista essere morbidi con il crimine."
Ci vuole intelligenza, e duro lavoro.
Ecco quindi la seconda lezione della vicepresidente americana: lavorare duramente, più degli altri e meglio degli altri. La storia di Kamala Harris non è un film sulle opportunità, sul sogno americano o sul femminismo. Poca retorica, tantissimo lavoro. Due lauree, una in economia e una in scienze politiche, un dottorato in giurisprudenza, e una scelta che per chiunque altro - soprattutto in quegli anni - sarebbe stata folle: lanciarsi nella magistratura, tentando di diventare procuratrice distrettuale, in un ambiente dominato quasi esclusivamente dagli uomini, e dai bianchi.
Ma la Harris ci riuscì, non senza compromessi, non senza problemi, non facilmente. Ma ci riuscì. Ancora oggi la accusano di aver fatto carriera grazie a una relazione con Willie Brown, speaker della camera statale in California. O la accusano di non essere abbastanza nera per definirsi nera, di non essere afroamericana in quanto figlia di un giamaicano e di un'indiana, di appropriarsi di una identità etnica che non sarebbe la sua.
Ma ciò che ha portato davvero Kamala dov'è oggi è il lavoro duro, nient'altro. In un'intervista al New York Post, rispondendo alle solite domande sul femminismo disse: "Sì è vero, una donna deve lavorare il doppio per ottenere la metà. E' giusto? Ovviamente no. Ma servirebbe a qualcosa stare qui e lamentarsi? Ovviamente no. L'unico modo per cambiare la situazione è avere donne che non hanno paura di lavorare il doppio, mostrando che si può tutto, con la volontà".
Bambine di tutto il mondo, avere sentito? Volete diventare come Kamala Harris? Volete essere le "prime donne" a fare qualcosa? Dovete mettercela tutta. Basta lamentele, basta grandi discorsi motivazionali sul femminismo, basta scuse. Bisogna rimboccarsi le maniche e prendersi il proprio sogno sulle spalle. Si può fare, lei ce lo insegna.
La terza lezione riguarda un tailleur. Quando Kamala Harris era procuratrice distrettuale a San Francisco c'erano tante cose che non andavano nella giustizia, nei carceri e nell'applicazione delle leggi. La Three-strikes law spediva in prigione a vita chiunque avesse commesso tre crimini, anche minori, la pena di morte era diffusa e ben vista dalla maggior parte degli elettori, la politica di tolleranza zero nei confronti dei criminali era l'unico mezzo che si conosceva per cercare di far diminuire il numero di reati.
Kamala cambiò il punto di vista. Non fu perfetta, ancora oggi non lo è. Ma per prima capì che l'approccio ideologico non era la soluzione. Non si può solo essere "duri con il crimine o morbidi con il crimine" si può anche essere "smart on crime", intelligenti nel giudicare, capire, migliorare e cambiare il panorama giudiziario.
Dall'aprire il proprio studio nella zona più degradata del distretto, a porsi stoicamente contro la pena di morte, al prestare maggiore attenzione al rendimento scolastico dei ragazzi, e alle loro assenze, per cercare di prevenire la crescita di futuri criminali.
Qui, il tailleur. Perché a volte l'intelligenza, l'essere smart, il saper vedere oltre, non sta solo nelle grandi opere. Kamala notò molto presto che i suoi collaboratori erano soliti vestirsi in base ai luoghi in cui erano chiamati ad operare: se in ambienti più rispettabili, si vestivano più eleganti, se in zone più malfamate del distretto, più casual e meno istituzionali.
C'era già qualcosa di sbagliato, in questo approccio. Un diverso modo di trattare le persone fin da casa propria quando, davanti allo specchio, si decideva come vestirsi per andare al lavoro. La Harris prese così una delle sue sottoposte da parte, le spiegò cosa non andava, e le regalò un tailleur.
Saper andare oltre, cogliere ciò che è più difficile notare, in se stessi e negli altri, perché dalle piccole cose parte sempre il cambiamento più straordinario. E' questa l'ultima grande lezione di Kamala Harris. Prima vicepresidente donna degli Stati Uniti d'America.