Oronzo Canà è il santo protettore di questi europei, dal porca puttèna urlato da Immobile a Insigne alla dichiarazione di Mancini che lo ha definito: “il numero uno, avanti anni luce con il sul 5-5-5 molto offensivo”. Più di un personaggio fittizio, è la rappresentazione di un modo di essere, un modo di vivere. Oronzo Canà è Lino Banfi o meglio, Lino Banfi è Oronzo Canà. L’allenatore che nel film L’allenatore nel pallone ha portato alla vittoria la Longobarda con l’attore che oggi compie 85 anni, non condivide solo l’accento pugliese, ma soprattutto il carattere e la determinazione. Una storia di riscatto quella de L’allenatore nel pallone come di riscatto è stata la vita e la carriera di Lino Banfi.
Prima di diventare Lino Banfi era Pasquale Zagaria, originario di Canosa di Puglia dove il padre coltivava semi di cipolle e lo avrebbe voluto all’università. Lui invece era di tutt’altro avviso, recitare era una questione di vita o di morte. Non un modo di dire ma un’intenzione reale, una sera dopo uno spettacolo andato male provò a suicidarsi impiccandosi alla corda dietro le quinte ma fallì per “per mancanza di professionalità suicida”.
Tentò la fortuna a Milano dove raccattava spicci come cantante girovago nelle osterie. Una sera non riuscì a racimolare nulla così, dietro consiglio di un mendicante, buttò giù un pacco di sale con un cappuccino e si fece ricoverare in ospedale per farsi togliere le tonsille e assicurarsi un pasto caldo.
Per diversi anni continuò ad arrancare, lavoricchiava qua e la ma i soldi non bastavano mai, la prima figlia si ammalò di rachitismo perché il cibo scarseggiava. Erano altri tempi certo, di fame in Italia si poteva ancora morire ma a sentire la storia di Lino Banfi ci si rende conto del vero significato di gavetta. Arrivò al punto di indebitarsi con gli usurai che a Roma si chiamano cravattai ("perché a prima vista una cravatta è una cosa bella, che quando la indossi ti fa sembrare un signore; ma se stringi il nodo ti ci puoi impiccare”).
E poi? Poi quando non ebbe più nulla da perdere arrivò IL momento.
L’incontro con Lando Fiorini fu determinante, il proprietario del locale Puff, andò da lui alla fine di uno spettacolo per ingaggiarlo per il suo cabaret: "Solo parecchi anni dopo seppi com’era andata davvero. Per non so quali motivi, Enrico Montesano e Lando Fiorini avevano litigato, e nella foga Lando gli aveva lanciato una sfida: ”Fai la prima donna? Con me che t’ho tirato su dar gnente? Dar gnente, sissignore, caro er mio divo de la televisione! Devi sape’ che è er Puff che fa li personaggi, no i personaggi che fanno er Puff! Ah, nun ce credi? E mo’ domani vado a l’Ambra Jovinelli, prendo er primo srtonzo che trovo, lo metto la posto tuo, e te faccio vede’”. Quel primo stronzo ero io".
La prima serata al Puff cambiò tutto. Per anni aveva cercato di perdere il suo accento pugliese "L’accento pugliese non aveva tradizione scenica. I tre dialetti che avevano diritto di cittadinanza sulla scena, a quei tempi, erano il napoletano, il siciliano e il romanesco”, ma quella sera al Puff torna a parlare la sua lingua e fu un successo. Da lì l’esclusiva con Dino De Laurentiis, il cinema, i film, Oronzo Canà, nonno Libero e il resto è storia.
"La mia carriera è stata così: fatica, stenti, illusioni, mezze gioie e delusioni intere, fino a una svolta netta, alla celebrità, ai guadagni, alla fama… Per essere un altro, sono scappato di casa, dalla mia terra, dalla mia lingua; e più scappavo e mi allontanavo da quel che ero stato e non volevo più essere, più la povertà, i fallimenti, le umiliazioni mi afferravano per la giacca e mi riportavano indietro. Come al gioco dell’oca, quando fai un tiro sfortunato: ”Tornare alla casella di partenza. Poi, quando non ci credevo quasi più; quando avevo tutto da perdere – che è come dire avere niente da perdere – d’istinto o per caso, ecco che comincio a recitare la parte di me stesso. Il me stesso che parla la lingua da ignorante dei pugliesi…: ed ecco che per magia, la salita diventa una discesa, i sogni realtà, la povertà ricchezza, una folla che ti ride in faccia un pubblico che ti rende omaggio, che si ricorda il tuo nome, che ti dà il pane quotidiano".