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Ma quanto sono brutte le pubblicità? E lo spot della Tim riesce persino a trasformare Victoria dei Måneskin in una massaia in*azzata a causa della “forza delle connessioni”...

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

7 luglio 2024

Ma quanto sono brutte le pubblicità? E lo spot della Tim riesce persino a trasformare Victoria dei Måneskin in una massaia in*azzata a causa della “forza delle connessioni”...
Non vogliamo tornare al Carosello, però avete notato quanta poca creatività c’è nelle pubblicità di oggi? Zero idee, zero innovazione, zero sguardo verso il futuro. Lo dimostra, tra gli altri, lo spot della Tim dove a causa della “forza delle connessioni” la bassista dei Måneskin, icona sexy della musica rock, si trasforma in una massaia in*azzata che cammina con passo marziale in un tunnel di cemento illuminato da neon. Ma chi l’ha pensata? Ve lo diciamo noi...

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

Ma cosa sta succedendo nel mondo delle pubblicità? Nessuno sembra accorgersene ma diventano sempre più imbarazzanti. Prendiamo lo spot della Tim, testimonial Victoria De Angelis, e che termina con il claim: “La forza delle connessioni”. Con questo po’ po’ di slogan uno si aspetterebbe Victoria che si connette a qualcosa, a qualcuno, a un amplificatore. Niente. Cosa fa Victoria? Cammina. Ah, dice, cammina tra la folla, sorridente, allegra, tipo le pubblicità della Coca Cola? No, cammina sola. Allegra? Incazzata come una biscia. Perché è incazzata? Bho, forse non le prende il cellulare. Ma dove cammina? In una piazza? In mezzo alle persone con le quali si vuole connettere, giusto? No, cammina in un tunnel. In un tunnel? Sì un tunnel di cemento armato. Al buio. Cioè ci mettiamo giusto qualche neon, ché il neon col cemento armato mette allegria. Sì, allegria come in un garage quando sta per arrivar il serial killer.

Victoria De Angelis dei Maneskin nello spot di Tim "La forza delle connessioni"
Victoria De Angelis dei Maneskin nello spot di Tim

Quindi Victoria, per pubblicizzare le connessione tra le genti cammina incazzata in un tunnel di cemento armato con i neon. Perché non li fate pure lampeggiare i neon, così sembra proprio un horror slasher. Ehm. Ehm cosa? In realtà lampeggiano. E tipo qualche fascio di luce inqueitante tipo un fantasma che la segue no? Ehm: c’è anche il fascio di luce che la segue. Non ci facciamo mancare proprio niente. Ma il buio in fondo al tunnel almeno? Quello c’è? Victoria è incazzata, cammina in un tunnel con i neon lampeggianti, ci sono presenze fantasma che la seguono, ma alla fine viene fuori in una piazza allegra, con le persone festanti che si connettono, giusto? No, finisce su un telo. Però azzurro. In che senso un telo azzurro? Un telo azzurro per terra. Cioè, come quello che usano Patrick Bateman di American Psycho o Dexter quando devono ammazzare qualcuno e poi farla a pezzi e non vogliono sporcare i tappeti? Esatto. Ma azzurro. Per pensare al tunnel di cemento armato col neon hanno avuto bisogno di: Casa di Produzione: Armosia Italia; General Manager - Executive Producer: Emanuele Cadeddu; Regia: Davide Vicari; Dop: Leonardo Mirabilia; Post Produzione: Frame by Frame; Agenzia: Havas Italia.

A questo punto lo vogliamo vedere questo spot. Lo cerchiamo sullo smartphone. La colonna sonora è, ma guarda il caso beffardo a volte, “Don’t wanna sleep” dei Maneskin, la canzone dove si dice: “Venite a prendere il mio corpo/questa è la festa più schifosa della mia vita”, dove si può agilmente cambiare “la festa” con “lo spot”. È vero, c’è il tunnel di cemento armato, ci sono i neon che lampeggiano, c’è il fantasma sottoforma di luce colorata azzurrina in stile ghostbuster, e c’è Victoria che cammina come una massaia inferocita che sta andando all’osteria a recuperare il marito ubriaco. Butta i piedi di qua e di là con una grazia ippopotamesca e dalle ripresa, omg!, ha pure le spallazze da massaia verace, di quelle che impastano chili e chili di pane a mano ogni giorno dopo avere sfornato una decina di marmocchi nella casa rurale con le galline nel cortile. In effetti sembra anche che le galline l’abbiano aggredita, perché ha la gonna tutta strappata e ha gli stivali perché probabilmente quel giorno pioveva anche. Sembra una massaia in versione serial killer perché quell’ubriacone del marito sarà di nuovo all’osteria, caduto dalla sedia, con i piedi puntati al soffitto, cantando “don’t wanna sleep at all” e ordinandone un altro litro. E infine, passeggia sul telo azzurro che l’oste mette per terra per non sporcare il pavimento di svomitazzate, guarda in macchina, sempre più incazzata, e dice “Tim”, che è il nome del marito, “la forza delle connessioni”. E lo mena.

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