Le domande che mi frullano in testa, mentre, dopo un’ora di metropolitana mi trovo a percorre il chilometro o poco più che divide la fermata di MM Rho Fiera Milano e l’area della fiera preposta a ospitare i concerti, sono quelle su cui ho ragionato nel pomeriggio, mentre provavo a recuperare un po’ di energie in vista della maratona che la serata mi avrebbe proposto, trentadue canzoni filate, di cui, confesso, conosco bene giusto qualcuna. Domande tipo “chissà che tipo di risposta darà Milano a Geolier, uno che non ha faticato a riempire per tre volte lo stadio Maradona, nella sua Napoli?”, o anche “chissà quali ospiti esibirà?”, perché Geolier è un rapper/trapper, e i concerti di rapper/trapper sono ormai una fiera dell’ospitata, come i loro dischi lo sono di featuring, e ancora “chissà che tipo di pubblico c’è a un concerto di un trapper che è comunque scivolato a piena ragione nel pop, il passaggio a Sanremo, il duetto con Ultimo, quello con Gigi D’Alessio”. Ecco, Gigi D’Alessio, lo so perché gliel’ho chiesto prima, non ci sarà, lui è alla sua seconda data al Velodromo di Palermo, stasera Chiagne Geolier se la canterà in solitaria, non come sul palco dell’Ariston, quando chiamò a raccolta Guè e Luché, Gigi appunto a intonare con lui la melodia di quella ballata così amata dai suoi fan. Un’ultima domanda è poco attinente a Geolier, più all’area che ci ospita, l’area concerti Rho Fiera Milano, questa: come cavolo si fa a lasciare così tanta immondizia a terra, sapendo che arriveranno in serata decine di migliaia di persone? Domanda, ovviamente, questa, cui non potrò rispondere. Alle altre invece conto di sì, del resto sono domande semplici, perché Geolier non rientra esattamente nel mio panorama ottico, domande anche un po’ dettate dalla stanchezza, siamo pur sempre in estate, è sabato e io stasera dovrò lavorare, e soprattutto nell’ultima settimana mi sono sparato cinque concerti. Nel frattempo Geolier ha annunciato il suo tour nei palasport per marzo 2025. Gli appuntamenti andranno ad aggiungersi al già noto live del 25 luglio 2025 all’Ippodromo di Agnano. I biglietti saranno in vendita a partire dalle 14 di lunedì 8 luglio su Ticketone.it.
Cinque concerti, uno di cantautrici nelle Marche, i Die Antwoord a Legnano, all’interno del Rugby Sound Festival, Max Pezzali e Zucchero a San Siro, nessuno dei quali a Rho Fiera, dove sono venuto poche volte in vita mia, mai a ascoltare musica. L’idea di andare a eventi dove si trova un pubblico molto alto, confesso, mi ha sempre fatto abbastanza cagare. Poi, certo, il fascino della messa cantata, della vicinanza di anime, tutto quel che vi pare, ma dover partire parecchio tempo prima da casa, in questo caso anche per coprire la distanza, ma sicuramente perché c’è troppa gente sui mezzi, c’è coda per andare in cassa, dove in realtà devo prendere un braccialetto per poter accedere, con me c’è sempre mio figlio Tommaso, all’area riservata a chi è qui per lavoro, appunto, poi caos nell’area del concerto, code anche al ritorno, la notte che in parte se ne va per fare ritorno a casa, a letto, ecco, tutto questo mi infastidisce. Anche dover stare in piedi per un concerto che ho letto durerà circa due ore e mezzo mi infastidisce. Sono invecchiato e qualcuno sosterrà che sono invecchiato male, magari anche a ragione, ma vuoi mettere un bel concerto a teatro, che arrivi quando sta per cominciare, hai il tuo bel posto numerato, comodo, e quando è finito in cinque minuti sei di nuovo alla macchina o ai mezzi. Certo, a teatro non c’è la folla, non c’è quell’effetto lì, ma a me che mi frega di quell’effetto lì, mica sono canzoni mie quelle che poi la gente canterà in coro. E a tal proposito, altra domanda, “chissà se i milanesi, sempre che ne esistano in natura, sapranno cantare le sue canzoni, in quel napoletano modernissimo la cui trascrizione ha fatto infervorare, prima di Sanremo, tanti puristi della lingua, scrittori, studiosi, letterati”. A tal proposito, non fosse altro perché oggi si chiudono le tanto discusse votazioni delle Targhe Tenco, Targhe Tenco dalle quali, stranamente viste le recenti vittorie di Madame o Ditonellapiaga, per fare un paio di nomi, Geolier non è parte di nessuna cinquina, ecco, chissà se mai la lingua delle sue canzoni sarebbe stata considerata, nel caso qualcuno lo avesse votato nella categoria Miglior album in dialetto, in napoletano, e non piuttosto in qualcosa di inventato, troppo singolare anche per essere considerata lingua minoritaria. Probabilmente lo avrebbe deciso il direttivo, composto di gente non di Napoli, come di gente non di Roma, e buonanotte ai suonatori. I suonatori. Ecco, al concerto di Geolier, di fronte a una folla composta, iniziamo a rispondere a qualche domanda, domanda che io stesso mi sono posto, eh, niente di fondamentale, al concerto di Geolier, di fronte a una folla composta in buona parte da giovani, ragazzi e ragazze, poi mi addentro su questo, ragazzi e ragazze, più che ragazzini e ragazzine, come avrei sospettato credo più per preconcetto, io che li pensavo a riempire a stento questo spazio ampio, i cui genitori stazionano nella parte più lontana dal palco dell’area, alcuni immagino anche fuori, per non spendere troppi soldi, al concerto di Geolier, di fronte a una folla spaventosamente imponente, trentasettemila persone, in buona parte, stando al boato con cui hanno risposto a precisa domanda, napoletani, di suonatori ce n’erano, e anche questa è una faccenda che mi ha sorpreso, io convinto che ci sarebbe stato solo Geolier col Dj. Non che il Dj non ci fosse, intendiamoci, ma c’era anche la sezione ritmica, spesso a pestare sopra basi e sequenze, c’era anche un tastierista, credo, la band Geolier non se l’è praticamente cagata di pezza e anche chi lavorava alle luci le ha dato poco rilevanza, oltre che appunto al DJ. Una band di suonatori, quindi, almeno stando a una definizione antica di suonatore, cioè un musicista che suona uno strumento. C’è lui, ovviamente, e di volta in volta i suoi ospiti, altra domanda cui andrò a rispondere a breve, il dj che lo accompagna, dominando i suoni, ma c’è anche la band, fatto che un tempo avrebbe sorpreso al concerto di un rapper/trapper, oggi meno. Evidentemente Geolier, come il Luca Carboni che oltre quaranta anni fa cantava il brano Sarà un uomo, quando probabilmente i genitori di Geolier facevano l’asilo, non si fida dei dj, preferisce le orchestre.
Ci sono suonatori ma, forse a parte me, sembra che nessuno ci faccia più di tanto caso, perché il pubblico è giovane, e quei pochi della mia età presenti, se ne vedono davvero pochissimi, sembrano più interessati a consultare gli smartphone, qualcuno immagino anche a seguire Olanda-Turchia, quindi manca loro l’esperienza di un concerto dove ci sia qualcuno che suona, a dirla tutta anche di qualcuno che canta senza l’ausilio dell’autotune, ma a me che un cantante usi l’aututune, la trap questo prevede, lascia abbastanza indifferente, sia messo agli atti. Anche io, confesso, ogni tanto butto l’occhio allo smartphone, e anche io per seguire la partita, perché le canzoni, confesso sempre, mi sembrano piuttosto simili a loro stesse, il fatto di non capire i testi di certo non aiuta, o chissà, magari me le fa semplicemente sembrare tutte uguali, non tutte uguali e con testi discutibili, vallo a sapere. I testi, mi chiedevo oggi, steso sul letto, maledicendo in qualche modo un lavoro che sì, mi concede un sacco di privilegi e di libertà, e che mi porta a vedere bei concerti senza dover pagare il biglietto, anzi, pagato per farlo, ma mi ha anche privato di una passione, perché lavorare quando si fa qualcosa che ci piace è pur sempre lavorare, un po’ come un attore nel campo del cinema per adulti che immagino a furia di sco*are e sco*are, sempre che si possa chiamare così quel prodigarsi in gesti iperatletici a beneficio di camera, poi ci tornerò su, immagino con continue interruzioni, finirà per considerare un po’ di sana astinenza assai più appagante di ritrovarsi di fronte una Valentina Nappi pronta a accoglierlo. Ecco, volessi dire che io stasera mi sento come un pornoattore stanco e disilluso, fossimo in un film avrei la faccia botulinizzata e i pettorali flaccidi dell’ultimo Mickey Rourke, immagino, direi forse qualcosa di eccessivo, e darei del mio raccontare il concerto di Geolier una versione ingenerosa nei confronti dell’artista napoletano, del suo repertorio e anche del suo pubblico. Perché, andiamo al cuore del discorso, a me il concerto di Geolier è anche piaciuto. Come mi piace, per intendersi, seguire in tv uno sport che non conosco, succede durante le Olimpiadi, a volte, specie quelle invernali, cercando di capire le regole fondamentali, gli assetti in campo, sempre che ci sia un campo, chi è più forte di chi. Chiaro che io stia esagerando, ho ascolto la discografia di Emanuele Palumbo, questo il vero nome di Geolier, nome che deriva dall’omonima parola francese, geolier, cioè “secondino”, nome col quale vengono chiamati in zona gli abitanti di Secondigliano. Ecco, dire il nome di battesimo e anche spiegare perché si faccia chiamare Geolier, magari sottolineando lo spirito di appartenenza alla sua comunità, forse messa un po’ a rischio dalla notizia di una megavilla acquistata in altra zona, di recente, tutto questo è stato un tentativo, questo sì stanco, da pornodivo sul viale del tramonto, due colpi e via, di dimostrare che qualcosa ne so, ma davvero in modo poco ricercato, da ipermercato. Posso fare di meglio, lo so, ma ho fatto un viaggio di un’ora in una metro piena che sembrava di essere dentro una di quelle scatolette di sardine che uno porta come ricordo in Italia quando torna dal Portogallo, da noi le sardine in scatola usano meno, carrozza della metropolitana piena come sardine di ragazze, tutte giovani, tutte in shorts che avrebbero mandato fuori di testa Marco Cubeddu, ai tempi, canotte che evidenziano due cose, nessuna porta il reggiseno e molte hanno il piercing, anche solo registrare questa informazione mi mette a disagio, al punto, qui sono tornato a parlare del fatto che la carrozza fosse tutta piena di ragazze, non parlo più degli shorts e delle canotte, al punto che sulle prime ho pensato che il pubblico di Geolier sarebbe stato tutto di ragazze, questo dopo aver pensato che sarebbe stato tutto di bambini, altro errore, stavolta non dettato dal pregiudizio, come nel primo caso, ma dall’aver elevato al grado di esperienza definitva quella particulare di un viaggio in metropolitana, non sono un bravo antropologo, credo, e dopo aver fatto un viaggio di un’ora di una carrozza della metropolitana piena di ragazze, per la gioia di mio figlio Tommaso che mi accompagna, e che è in realtà il vero motivo per cui vado a vedere Geolier, lo confesso, sono stato in piedi un numero decisamente troppo lungo di ore, decisamente troppo lungo per uno che ha cinquantacinque anni e il sabato sera sarebbe stato con piacere a casa a vedere la partita, e per uno che comunque stava qui per lavorare, e quindi prendere in qualche modo appunti, io a suon di vocali mandati al mio stesso numero su Whatsapp, e provateci voi a capire cosa vi siete detti su Whatsapp mentre intorno a voce c’è una folla di ragazzini milanesi, magari anche di origini meridionali, chissà, che cantano in un napoletano ritenuto spurio dai puristi napoletani, in compagnia del loro idolo Geolier, sul palco con una band di suonatori però sovrastati dal dj (dj che per altro ogni due per tre rovinava i pezzi lenti gridando al microfono “Milano”, come se qualcuno, nel mentre, si fosse perso). Neanche una parola, in pratica. Esattamente come neanche una parola ho capito di quel che Geolier ha rappato/trappato/cantato, tutto molto coerente. Ho invece capito quando Geolier, sempre con forte e evidenziata cadenza napoletana ha parlato al suo pubblico, dimostrandosi diverso da chi, penso recentemente a Sfera Ebbasta, che ha sfanculato chi è salito sul palco, o Tedua, che si è risentito per quanti lo hanno perculato per le sue effimere movenze alla Elsa di Frozen, ha col pubblico un rapporto evidentemente irrisolto. Una specie di Enrico Ruggeri che canta Sono io quello per strada rispondendo al Francesco De Gregori di Guarda che non sono io, e questa, suppongo, i fan di Geolier non la capiranno, contrapponendo una lingua poco inclusiva, nel caso specifico la mia, a una lingua poco inclusiva, quella di Geolier non tanto per chi non è napoletano, ma per chi non è abbastanza giovane per caprine le istanze musicali.
Geolier fa di tutto per passare per un bravo guaglione, e qui cito Neffa, sia chiaro, non faccio il verso al napoletano, non lo saprei fare e non mi permetterei mai di farlo (non per la ridicola faccenda dell’appropriazione culturale, sono a un concerto di rap, figuriamoci, ma perché non amo cimentarmi in situazioni che non so se riuscirò a portare a casa decentemente). Lo fa facendo discorsi di incoraggiamento, se ce l’ho fatta io eccetera eccetera, lo fa accogliendo a sé i bambini (non certo per citare il Bambini venite pargulos sempre di De Gregori, e il citare due volte nel giro di poche righe il Principe è forse troppo, lo so, chiedo scusa), non qui ma lo ha fatto a Napoli, lo fa dimostrandosi un ottimo padrone di casa per i suoi ospiti e con il pubblico accorso, due ore e mezzo di concerto, quaranta canzoni in scaletta, e parte un paio di medley, rispettivamente di due e tre canzoni, quaranta canzoni fatte nella loro interezza, è prova di grande generosità, mi sarei accontentato decisamente di molto meno, lo fa, infine, e qui si dimostra furbo oltre che buono, quando ci tiene a far passare certe sue pose come errori di gioventù, come quando intona Narcos, canzone che sta più dalle parti di Gomorra che di MareFuori, errori di gioventù di un artista che, classe 2000, coi suoi ventiquattro anni è ancora decisamente giovane, forse addirittura giovanissimo. Quindi, ricapitolando, il pubblico è di giovani uomini e donne, solo in metro potevo pensare fossero più le donne, in realtà credo sia 50 e 50, molte anche le coppie. Le canzoni sono cantate tutte in coro, dalla prima all’ultima, da un pubblico di suoi fan, molti anche di origini meridionali o direttamente napoletani. Le canzoni esibite sono quaranta, uno sproposito, ma ci torno alla fine. Gli ospiti sono stati quattro, meno di quanto pensassi, più di quanto prevederebbe un qualsiasi concerto di artisti di altra generazione. Ha aperto le danze, si fa per dire, Mahmood, chiamato a cantare, si fa per dire, Personale. Una interpretazione, la sua, imbarazzantissima, perché mentre Geolier ha cantato bene, certo aiutato dall’autotune, ma per tutta la durata del concerto, a lui l’autotune non è partito, e non ha azzeccato una nota della strofa neanche per sbaglio, facendo davvero una brutta figura. Poi è salito sil palco Lazza, che ha cantato con Geolier Nessuno, poi Idee chiare e infine Chiagne, dimostrandosi sportivo quando ha sottolineato che, pur essendo Milano casa sua e non di Geolier, Geolier ha fatto qui più spettatori di lui. Terzo ospite, parecchie canzoni dopo, soprattutto dopo la doppietta pop Ultima poesia, fatta senza Ultimo, e I p’ me, tu p’ te, Ernia, che ha cantato con il padrone di casa Acqua tonica. E infine Paky, unico a non dire una sola parola, né prima né dopo Extendo, con la voce registrata di Shiva, assente giustificato (lui è agli arresti domiciliari, credo). Tutti ospiti che hanno già duettato su disco, anche più volte, con Geolier. Tutti da lui chiamati fratello, o per meglio dire fratmo, vai poi a capire se per posa o per reale sentimento. Nell’insieme, quindi, un gran concerto. Cui non tornerei, probabilmente, neanche sotto minaccia, perché quaranta canzoni di un artista che conosco ma che non ascolto con frequenza sono decisamente troppe, un po’, e torno a un passaggio di prima, come certe scene muscolari dei porno, appunto, dimensioni eccessive, movimenti eccessivi e troppo spericolati, smorfie eccessive, anche finali troppo pirotecnici. E a proposito di pirotecnicismi, il concerto è stato tutto accompagnato da fiamme di fuoco, fumogeni, fuochi d’artificio e tutta una serie di visual assolutamente di prima grandezza, forse non raffinatissimi, certo, in buona linea con parte del parterre, ma comunque assolutamente top. Io e Tommaso, mio figlio, abbiamo assistito il concerto dalla terrazza che si trovava alla sinistra del palco, in buona compagnia di un buon numero di tiktoker e youtuber, Tommaso non ha mancato di volta in volta di dirmi “guarda, c’è Alessia Lanza”, oppure “guarda c’è la figlia di Luca Casadei” o ancora, guarda c’è Rovazzi. Di colleghi, colleghi miei, non c’era nessuno, un po’ perché molti immagino siano andati a seguire Geolier a Napoli, nelle tre date allo stadio Maradona, dove peraltro a giugno dell’anno prossimo andrà il mentore di Geolier, Gigi D’Alessio, un po’ perché di concerti a Milano in questi giorni ce ne sono decisamente troppi. Di fronte a me, poi, e considerate che su quella terrazza, come su tutto il resto dell’area concerti di Rho Fiera Milano, tutti cantavano in coro ogni singola parola di ogni singola canzone, c’era una coppia, lui piccoletto, lei bassa e abbastanza tarchiata, con una bambina di un anno e mezzo massimo. Bambina che dormiva, quando il concerto è iniziato, e che poi si è svegliata di soprassalto in una delle canzone veloci, perché di canzoni veloci ce ne sono state, e in quelle Geolire rappa a mitraglia come fosse un Eminem che però rappa in napoletano, davvero talentuoso. Provateci voi a svegliarvi di soprassalto mentre intorno a voi trentasettemila persone, meno due, io e Tommaso, stanno cantando in coro una qualche canzone di Geolier, con Geolier in persona a fare altrettanto dentro un microfono, la sua voce e la musica del suo DJ e della sua band sparata da casse molte potenti, ce n’è abbastanza per prenoratarsi una vita di visite dallo psicologo, nel caso decidesse di denunciare i genitori, da grande, sappia che io sono pronto a testimoniare. Quando il concerto sta per finire, constatando che oltre gli shorts, le ragazze presenti hanno una certa tendenza a indossare qualcosa di leopardato, gli uomini invece non disdegnano le maglie del Napoli, mancando forse un po’ in originalità, ce ne siamo andati, con noi anche una coppia di amici che abbiamo incontrato proprio lì sul terrazzo. Ci siamo lasciati l’arena alle spalle, dopo aver sentito Pibe de oro, ancora sei canzoni in scaletta, canzoni che ci hanno accompagnato fino a che, cercando a fatica di schivare cocci di bottiglie e altre immondizie abbiamo raggiunto la metropolitana. Come trentasettemila persone possano aver lasciato Rho Fiera Milano, sapendo che la metro chiuderà tra poco più di un’ora è un mistero, su cui, confesso, poco mi sono interrogato. Arrivato a Lotto, però, la metro su cui eravamo, va detto non troppo piena, perché appunto il concerto doveva ancora finire quando ci siamo incamminati, si è riempita di fan dei Queens of the Stone Age, in concerto agli I-Days all’Ippodromo. Così di colpo la fauna presente era per metà fatta di ragazze in short e canotta, non so per quale motivo ma questo è accaduto anche al ritorno, per metà di trenta-quarantenni con i capelli lunghetti, le barbe incolte, e t-shirt nere con su il logo della band di Josh Homme. In fondo, ho detto a mio figlio, molto divertito da tutta questa umanità, è solo una faccenda di divise, ogni genere e ogni artista ha il proprio esercito, e credo di poter scommettere a occhi chiusi su quale dei due eserciti abbia esercitato maggiore fascino ai suoi occhi. Mentre stiamo per scendere, pronti a correre per prendere la MM2 che ci porterà poi a casa, sento un gruppetto di ragazze, tutte piercingate eccetera eccetera, una con i pantaloncini cuciti addosso, credo, o forse è un’opera di body painting fatta molto bene, dire qualcosa che suona così, “Ho provato a parlarci, ma non ci sono riuscita”, ha detto una, parlando ho capito del suo ragazzo, “Eh, mica è facile capire cosa vogliano dire, in effetti,” ha risposto un’altra, finché una terza ha chiosato, “I ragazzi parlano poco, solo quando decidono di parlare”. I ragazzi, in genere, forse sì, ho pensato, Geolier, quaranta canzoni in scaletta, tutte fitte fitte di parole, incomprensibili, ma comunque parole, decisamente no. Lui è un rapper trapper che guarda al pop, è chiaro, fatto che lo esclude ormai dal novero degli artisti ribelli, ai ribelli, come direbbe Douglas Coupland, non possono voler piacere a tutti, è proprio contro la loro natura, inclusivo almeno nei confronti dei suoi coetanei, come direbbe lui stesso, di tutta Italia, a Napoli come a Milano. Il suo uno show ci dice questo, oltre che Mahmood senza autotune non sa cantare. Ci dice anche, ricordo bene i primi concerti rap anche di star americane, di passaggio qui in Italia, che i concerti rap nel mentre sono molto cresciuti da un punto di vista musicale e di suono, non più brutta, bruttissima copia di quello che accadeva in studio, a tratti proposto su base ma senza convinzione e con minima resa, ma un vero e proprio concerto, ripeto, se un difetto dobbiamo trovarci è quello di una certa omogeneità nelle canzoni e nell’eccessiva presenza di brani in scaletta. C’è un nuovo ragazzo in città, cantava anni fa, tanti anni fa, Glenn Frey coi suoi Eagles. Non il nuovo Pino Daniele, perché lui e Pino fanno proprio un mestiere diverso e metterli a confronto è un errore marchiano, ma indubbiamente un talento che farà strada ancora a lungo. Su le mani per Geolier.