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Mario Adinolfi sospeso da Clubhouse:
“Prove generali di bavaglio
della legge Zan”

  • di Andrea Spadoni

17 aprile 2021

Il social solo vocale doveva essere la nuova frontiera della libertà di espressione, invece dopo alcuni dibattiti il politico è stato sospeso – come ci racconta il giornalista che aveva creato la room insieme a lui – per essersi espresso in contrapposizione a chi chiedeva l’approvazione del ddl Zan. Adinolfi ne è certo: “Componenti della comunità Lgbt si sono organizzati per escludermi ed impedirmi di parlare a causa del cosiddetto hateful speech, in un social dove non ho rivolto un solo insulto, ma li ho sempre e solo subiti”

di Andrea Spadoni

Si era presentato come il social network della voce, della parola. Uno strumento rivoluzionario senza gerarchie, e, come si dice in gergo tech, orizzontale. Un luogo in cui incontrarsi, condividere opinioni, racconti ed esperienze, in uno spazio chiamato stanza. Tutti dentro con il microfono dell’Iphone, per esprimersi alla pari e in presa diretta e non più seguendo le live dell’imbonitore di turno o dell’influencer che, attraverso un video, cerca di spiegarti come devi vivere per essere felice.

Questo era ClubHouse agli albori, quando ci si sorprendeva ascoltando voci e non refreshando la home del nostro telefono tra duck face, vacanze a Dubai in solitaria e lezioni di ginnastica casalinga di un qualsiasi Lou Ferrigno de noantri. Parlavamo di valore, di autenticità, ed è bastato poco (due mesi) perché questo social network cosi democraticamente libero, togliesse la maschera alla società in cui stiamo vivendo. Una profonda lotta tra chi sostiene di combattere per i diritti civili e chi chiede sia rispettata la libertà di espressione.

Il primo a farne le spese (per ora) è stato il giornalista, personaggio televisivo e politico, presidente del Popolo della famiglia, Mario Adinolfi. Ma da poche ore è arrivata la notizia della sospensione del suo account di ClubHouse, reo, a quanto appreso dalla ricostruzione dei fatti, di essersi espresso in contrapposizione a chi chiedeva l’approvazione del ddl Zan. Adinolfi è certo: “Ci troviamo di fronte alla prova generale di bavaglio dell’utilizzo del ddl Zan. Componenti della comunità Lgbt si sono organizzati per escludermi ed impedirmi di parlare a causa del cosiddetto hateful speech, in un social dove non ho rivolto un solo insulto, ma li ho sempre e solo subiti. Chiunque più testimoniarlo”.

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Oggi, la cosiddetta “azione bavaglio” ha colpito anche me, in modo diverso: esisto ancora su ClubHouse, ma non posso più aprire stanze perché non avrei rispettato il regolamento sulla sicurezza.

Il caso è davvero un precedente che ci fa riflettere su molti aspetti. Adinolfi, con il quale ho costruito la room quotidiana “Boomers commentano…”, ha posizioni precise su famiglia, religione, matrimoni gay e, in questo caso specifico, rivendica il diritto di potersi dichiarare contrario alla trasformazione in legge della proposta dell’Onorevole Alessandro Zan. Questo però, a conferma anche delle sue dichiarazioni, non gli ha mai impedito di aprirsi, insieme a me, alla possibilità di un dibattito, anche vivace, ma sempre rispettoso. Senza parole di odio, senza discriminazione, senza che sia uscita un’espressione volgare dal suo lato conversazione. È capitato, invece, che qualcuno si sia detto indignato addirittura della sua presenza, come se Mario Adinolfi dovesse poter esprimere le sue posizioni politiche e sociali, solo a tavola insieme alla moglie. “Insulti, anche gravi, me li sono presi io - prosegue Adinolfi - e queste persone che si dichiarano portatori di un mondo migliore, hanno segnalato in massa il mio account, facendo scattare l’algoritmo per la sospensione”.

Perché ClubHouse permette questo? Non esiste una verifica sull’attendibilità di tali segnalazioni di massa? Probabilmente no. Perché Adinolfi non ha instigato odio, non ha mortificato le posizioni di nessuno, non ha praticato la violenza.  C’ero anche in quelle room di ClubHouse, ne sono direttamente coinvolto. Ha praticato solo il dibattito, la preparazione, il ragionamento che, molto spesso, dall’altra parte non era così ricco di dettagli, di elementi precisi, ma zeppo di slogan, frasi fatte, parole in codice social.

Però da oggi Mario Adinolfi non può più parlare, perlomeno in quello spazio virtuale e qualcuno, alla notizia del profilo oscurato ha reagito con l’espressione “giustizia è fatta”. Quindi è lui il mostro da abbattere? È quel tipo di impostazione di valori che vogliamo destrutturare? Se qualcuno ti parla di famiglia tradizionale, di uomo e donna, di chiesa, non può esprimersi? Siamo sicuri che non sia quello il Medioevo e quello dei bavagli sia il futuro? Siamo sicuri che giocare a fare i fluidi perché oggi un po’ fa figo, basti per costruire una società migliore? Si combattono le idee, e quelle di Adinolfi si possono anche non condividere, ma perché silenziarle? Se crediamo che il DDL sia una svolta civile del nostro paese, è legittimo che esista anche qualcuno che non sia d’accordo. Lo diceva anche Benjamin Franklin: “Chiunque voglia togliere la libertà di una nazione deve iniziare a proibire la libertà di parola”. Tutto questo, in sostanza, si chiama Democrazia ed è ciò per cui molti nostri connazionali hanno combattuto dopo la dittatura e la guerra. Altra gente, altra pasta. Oggi, al massimo, si combatte per un like in più su Instagram.

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