Ricercare nei condizionatori d’aria la causa dei black out milanesi, che hanno lasciato una buona fetta della città senza corrente, è indubbiamente una risposta facile ad un problema di più ampia portata. Oggi, con le nuove tecnologie dei condizionatori d’aria e con la grande evoluzione tecnologica che ha coinvolto queste macchine, abbiamo a che fare con attrezzature dai consumi profondamente ridotti.
Va infatti ricordato che i nuovi condizionatori inverter di “Classe AAA+” consumano (a spanne) un quarto di energia elettrica rispetto ad un vecchissimo “Classe G” e c’è da dire inoltre che una buona parte della popolazione, grazie agli incentivi attraverso i quali si risparmia dal 55% al 65% della spesa totale, ha approfittato per sostituire, con più moderni impianti a basso consumo, i vecchi impianti energivori il cui utilizzo gravava in maniera tangibile sulla bolletta.
Il punto è in realtà un altro: stiamo spostando tutto quanto verso l’elettrificazione con una rete elettrica che non ha corso alla stessa velocità della transizione energetica.
Bici elettriche, monopattini elettrici, scooter elettrici. Alla tentazione dell’elettrico ha ceduto persino uno storico costruttore americano di motociclette noto per le cromature e gli scarichi rumorosi, che, ormai da un annetto, ha presentato un mezzo interamente elettrico. Per non parlare poi dei costruttori di auto europei che stanno immettendo, di giorno in giorno, nuovi modelli dalla autonomia sempre più elevata (almeno sulla carta) e dalle batterie sempre più capienti che ovviamente richiedono energia elettrica dalla rete. A Milano persino alcuni bus sono elettrici.
Un conto, tuttavia, è immettere un tale ammontare di mezzi nel parco circolante, un altro è adeguare l’intera rete a picchi di assorbimento che, all’epoca della posa dei cavi, non erano minimamente contemplati.
Il problema della ricarica rapida
La questione è semplice: se sei in casa e vuoi riempire un secchio con dell’acqua, maggiore è il flusso di acqua che inserisci nel secchio e minore sarà il tempo necessario per riempire il secchio. Ma se apri tutti i rubinetti della casa, contemporaneamente, è chiaro che ogni rubinetto avrà una portata di acqua molto ridotta.
Sempre facendo i conti con il pallottoliere, se le 130 colonnine di Milano (fonte dataset del Comune di Milano) dovessero lavorare all’unisono con una potenza media di 15 kW, basterebbe una sola ora di ricariche per raggiungere il fabbisogno energetico annuale di una famiglia di due persone (stimato in circa 2.000 kW). Piccolo dettaglio: le colonnine fast (ok, una minoranza) arrivano ad erogare una potenza di 50 kW.
La verità è che la rete fatica a gestire i consumi di questi giorni. Ecco il probabile motivo dei frequenti blackout che hanno lasciato al buio famiglie in smart working, uffici e persino il consiglio comunale di Milano. Unareti, nel comunicato stampa, ha dichiarato che: “negli ultimi due giorni, 14 e 15 giugno, è stato infatti raggiunto il carico massimo del 2021 sulla rete elettrica, in crescita di circa il 25% rispetto alla scorsa settimana” dando la colpa ai condizionatori d’aria. Ma se siamo in questa situazione, oggi, con una temperatura elevata ma non certo africana, cosa succederà in futuro?
Le statistiche prevedono che nel 2030 circoleranno in Italia 6 milioni di vetture elettriche e che la rete di ricarica sarà composta da ben 21 mila colonnine, senza contare le wallbox domestiche.
Senza guardare al 2030, analizziamo i dati di vendita delle auto elettriche in questi tempi: dal maggio 2019 al maggio 2021 il mercato totale delle auto elettrificate (elettriche pure ed elettriche plug-in) è cresciuto del 678%.
Ciononostante, la nostra rete elettrica, seppur evoluta rispetto a molte altre nazioni, è molto più fragile di quanto la maggior parte di noi possa realizzare e le continue interruzioni di corrente di questi giorni, che hanno interessato diverse zone di Milano, non fanno altro che dimostrare quanto il futuro elettrico ponga problemi ben maggiori rispetto a quelli che vengono dipinti. La stessa Unareti ammette che: “per superare i disservizi che possono verificarsi in presenza di aumenti di carico sulla rete, sono necessari ingenti investimenti che richiedono tempi lunghi per poter essere portati a termine”. Uno sforzo a livello infrastrutturale che si traduce, in concreto, nella necessità di spaccare mezza Milano per rendere più moderna la rete.
In passato il PoliMI, con una ricerca curata da Energy & Strategy Group e dalla School of Management del Politecnico, aveva sostanzialmente dimostrato l’adeguatezza delle reti al futuro carico elettrico, ma stando a quello che sta accadendo in questi giorni e al comunicato Unareti sembra si stia dimostrando l’esatto opposto.
Con questo non si vuole assolutamente negare la necessità di dover ridurre l’impatto ambientale e ridurre drasticamente le emissioni in atmosfera. Nessuno nega che le auto elettriche contribuiscano in modo rilevante all’abbassamento dei valori inquinanti in città, però va anche ricordato che i livelli di PM10 nella capitale lombarda sono rimasti molto alti anche durante il lockdown più duro. Ne parlava Luca Chianca in Report e il nostro Matteo Valenti su Automoto.it riprendeva il tema nel “lontano” aprile 2020.
Il problema è che senza corrente elettrica non solo non si caricano più gli autobus, i furgoni, le auto, le moto, le biciclette e i monopattini, ma non si riesce nemmeno più a lavorare negli uffici. Persino i telefoni fissi oggi viaggiano sulla rete dati. Aldilà dello stereotipo da Milaneseimbruttito, non si può pensare di mandare avanti un business con la corrente a singhiozzo e che ad ogni salto rischia di danneggiare sensibilmente le delicate apparecchiature elettroniche presenti nelle aziende e nei condominii. Solo nel palazzo di chi vi scrive si è bruciato il trasformatore di un ascensore, con le spese del caso per la sua sostituzione. Certo ci sono i gruppi di continuità, ma non è una giustificazione valida.
Il futuro? Le auto connesse alla rete e lo scambio sul posto
Sebbene il cammino sembri essere segnato, il futuro, specie in questi momenti di grandi cambiamenti, è incerto. Impossibile, ad oggi, dire con certezza in che percentuale la tecnologia elettrica sarà presente nel parco auto circolante da qui a 20-30 anni. Strategie alternative quali l’idrogeno sono, per alcuni costruttori e talune nazioni (come il Giappone), valide alternative.
Certo, sono in corso progetti volti all’utilizzo del surplus energetico delle fonti rinnovabili per la produzione di idrogeno “verde” oppure l’utilizzo del metano per il cosiddetto idrogeno “blu”. Ma il punto è che il metano sarebbe meglio lasciarlo dove si trova e questo magico surplus energetico dalle fonti rinnovabili sostanzialmente non esiste. Questo fa sì che l’idrogeno ad un prezzo accettabile sia ancora ben lontano dall’arrivare agli ipotetici distributori (petraltro pressoché inesistenti).
Il futuro, che si dice essere non troppo lontano ma che pare una chimera, visti i recenti black-out, è in realtà fatto da veicoli connessi alla rete elettrica nei quali la ricarica parte solo ed esclusivamente nel momento in cui la griglia comunica alle colonnine di avere una buona disponibilità di corrente. La tecnologia dal punto di vista teorico esiste, ma dal punto di vista pratico la sua implementazione su larga scala, almeno in Italia, è ben lontana.
Le colonnine elettriche presenti sul territorio nazionale offrono energia “on demand” perché quando si ha bisogno di viaggiare non si può certo aspettare la disponibilità della rete elettrica. Questa tecnologia sarà principalmente applicabile alle wallbox domestiche, alle quali attaccheremo in futuro le nostre auto, a condizione - ovviamente - di avere un garage attrezzato. La tecnologia V2G permetterà quindi non solo la ricarica nei momenti più idonei, a costi più vantaggiosi e quando la rete lo permette, ma anche lo scambio di energia elettrica con la rete che potrebbe attingere da migliaia di vetture connesse alla rete stessa, fornendo un importante apporto energetico da immettere nel momento in cui c’è una improvvisa richiesta.
La teoria è indubbiamente molto interessante, i fatti stanno hanno già dimostrato che basta il raggiungimento di temperature di poco sopra la media stagionale per lasciare l’epicentro economico del Paese senza energia elettrica. E senza corrente non si fattura. E questo ai milanesi davvero non piace.