Il mancato scioglimento del sangue di San Gennaro è solo il pretesto di una narrazione mediatica ancora una volta stereotipata, proiettata all’esasperazione. Dietro c’è – come spesso avviene a guardar meglio – una città “attenta alle tradizioni ma calata perfettamente nel mondo reale”. Una città che sa quindi scindere eventi e quotidiano, e che “non si è fermata il 16 dicembre”.
Ce lo assicura Maurizio Zaccone, giornalista napoletano che proprio a Napoli e alla napoletanità ha anche dedicato il suo recente libro, Sputtanapoli (Edizioni Mea), che mira esplicitamente a smascherare la falsa narrazione di Napoli, quella che va avanti per luoghi comuni. Una narrazione della città che è impossibile non ricollegare a Maradona, con tutte le critiche al seguito circolate nelle ultime settimane dopo la sua morte, e che Zaccone non esita a definire parole finite in televisione “non perché chi le pronuncia è bravo, ma perché è solo becero”.
Ne è nata quindi un’intervista a 360 gradi, che parte dai miracoli di San Gennaro per arrivare alla morte del ‘Pibe de Oro’, sempre con l’intento di inquadrare la narrazione di una città e i suoi riverberi nella cosiddetta cultura del senso comune in Italia e nel mondo.
Maurizio, il sangue di San Gennaro non si è sciolto… in passato questo mancato miracolo è stato collegato a catastrofi come il terremoto dell’Irpinia, le guerre mondiali, il colera. Diciamo che quest’anno però, visto lo scenario che viviamo, è quasi difficile aspettarsi qualcosa di peggio…
Sotto questo profilo il 2020 non ci ha regalato gioie e questa è l’ultima delle ‘non gioie’. Va anche un attimino ridimensionata la cosa, perché spesso si tende a ritrarre il popolo napoletano come così eccessivamente legato alle tradizioni, fino a dargli un po’ un’accezione da sceneggiata. C’è sempre questo eccesso che tende a strabordare, e che fa perdere i connotati nobili della fede religiosa per farli diventare ridicoli. È un’esaltazione tipica della narrazione dei media che non rende giustizia; in sostanza, a Napoli le persone si svegliano regolarmente la mattina per andare a lavorare, e quando hanno saputo che il sangue di San Gennaro non si è sciolto, non dico che la cosa gli sia rimbalzata, ma non c’è neanche da pensare che 3 milioni e mezzo di persone, tra Napoli e provincia, si siano fermati a piangere e abbiano smesso di fare tutto quello che stavano facendo per via di questa cosa. Ci tengo a sottolinearlo, perché se è qualcosa di bello l’attaccamento alle tradizioni napoletane, è qualcosa di sbagliato ritrarle in maniera eccessivamente pittoresca: la popolazione napoletana mantiene un distacco ragionevole, non ne fa una tragedia. Tra l’altro, se proprio vogliamo affondare le radici nella tradizione popolare, non è questo del 16 dicembre il prodigio più atteso, e anzi di solito è anche molto poco seguito.
Tu come vivi questi eventi? Li segui, visto anche il tuo mestiere, più dal punto di vista mediatico o hai qualcosa di personale che senti rispetto a circostanze simili, come appunto il miracolo di San Gennaro?
Io seguo il miracolo di San Gennaro con un’attenzione religiosa, e anche con un affetto che mi lega alle tradizioni: il popolo napoletano è profondamente legato e radicato nelle sue tradizioni, nell’accezione positiva del termine. Ma è calato nel mondo reale, quindi riesce perfettamente a scindere quello che è il prodigio dalla casualità delle cose. L’essere umano ha bisogno di legarsi alle simbologie, a eventi e prodigi simili, lo facciamo ovunque, quotidianamente e per molte altre cose. Ma in tanti altri casi non si fanno tutte le ironie e critiche che si fanno qui. Pensiamo al Duomo di Milano e ai presunti resti della scheggia di un chiodo utilizzato per la crocifissione di Cristo: nessuno va a ironizzare sul fatto che al 99,99% quella non sia affatto una scheggia risalente alla persecuzione di Cristo. Questo al pari di tanti altri fenomeni che la stessa scienza non riconosce, ma rispetta. Ecco, il miracolo di San Gennaro andrebbe rispettato in tutte le sue accezioni.
So che è una cosa totalmente infantile, ma a me è venuto spontaneo collegare il mancato scioglimento del sangue alla morte di Maradona, quasi come un presagio di sventura a posteriori, cioè di una sventura che è già avvenuta…
Tutti si sono trovati a fare questo collegamento, non giriamoci troppo intorno. La città di Napoli ha reagito alla morte di Maradona in un modo che è ben chiaro agli occhi di tutto il mondo. Come leggere questa cosa? Facciamoci una domanda: questo giocatore è stato a Napoli fino a 35 anni fa circa, quindi quelli che sono giovani adesso non l’hanno mai visto. Nel frattempo, il Napoli non è scomparso dal panorama calcistico, viaggia su ritmi forse superiori a quegli anni anche se non ha vinto più lo scudetto. Non stiamo quindi parlando di una società che è stata nell’Olimpo del calcio per poi scomparire. Ebbene, com’è possibile che resti quest’attaccamento? Quello che ha significato Maradona per questa città è stato talmente violento e forte da creare un’eredità generazionale: un racconto di emozioni che va di generazione in generazione, nulla più di questo. Ed è una certificazione di quanto questa città abbia memoria, memoria di se stessa.
Posto che parliamo sempre del miglior giocatore al mondo…
Ma il legame con Napoli è diverso da quel semplice “migliore del mondo”, perché quel suo essere il migliore è stato riconosciuto ovunque, con tributi anche straordinari. Ma perché a Napoli ancora adesso continuano a celebrare questo giocatore? Il calcio esiste in Italia da circa 120 anni, e in 120 anni a sud di Roma sono arrivati 3 scudetti: due al Napoli con Maradona e uno al Cagliari. Questa non è una questione da poco, perché significa che da oltre un secolo il calcio è solo una cosa del Nord. È uno specchio dell’Italia. Ma quando è arrivato Maradona ha ribaltato il tavolo: per un settennato è cambiato tutto. Quell’andare a vincere sui campi del Nord aveva una simbologia tremenda. Pensa anche solo al linguaggio comune: un qualsiasi cittadino delle regioni meridionali tu lo identifichi col nome della stessa regione, mentre un campano non lo si dice mai, si dice un napoletano. È che c’è una forza in questo nome dovuta alla storia, sia in positivo che in negativo.
A proposito di Maradona, di recente hai fatto riferimento sui tuoi social alle discusse dichiarazioni fatte su di lui a Tiki Taka, anche se non hai mai fatto i nomi (il giornalista Filippo Facci ha definito Maradona “un ladro, drogato e ciccione”, ndr)
Io non ho ritenuto opportuno fare i nomi perché ci sono personaggi che non è giusto identificare né geograficamente né da etichette: sono dei coglioni. Quelli purtroppo li abbiamo qui, li hanno a Milano, ci sono ovunque. Il problema è un sistema televisivo che se li va a ricercare, che dà voce con facilità a questi rigurgiti beceri. Io non voglio dargli pubblicità, ma allo stesso tempo non possiamo lasciarli parlare come se niente fosse. La morte di Maradona ha innescato tributi mondiali senza precedenti, ti cito solo quello degli All Blacks che per me è stato qualcosa di gigante. Io non posso contrapporre a quello il rigurgito di un Cruciani, di un Facci o di Mughini, non possono avere paragone le due cose. Ma resta indegno che in un programma televisivo nazionale si dia voce a certi personaggi, che non vanno a finire in televisione perché sono bravi, ma perché sono beceri. La circostanza nel quale Facci ha parlato a Tiki Taka io l’ho vista, e ho visto che lui era intervenuto lì appositamente per dire quelle cose; ha cercato il momento in cui fare la polemica, perché sapeva che avrebbe creato tutto questo. Dare vetrina a questi personaggi è un autogol per l’informazione.
Ogni città e regione innesca luoghi comuni, ma io ho l’impressione che Napoli sia quella che ne inneschi di più e spesso di più viziati e negativi. Se è vero, perché?
È una storia abbastanza lunga che affonda forse le sue radici nell’Unità d’Italia, ma andare a scavare nei secoli è un po’ difficile. Napoli è un nome forte, e quella forza evoca, oltre che bellezza, rabbia e invidia. Anche perché resta una città piena di contraddizioni, piaghe non risolte e sofferenze. Considerando e mettendo insieme tutto questo, mediaticamente Napoli è un nome che vende molto, focalizza le attenzioni dei media che la ritraggono sempre come un po’ diversa dalle altre, in forma accentuata, esagerata. Ovviamente avrà i suoi unicum, le sue caratteristiche, ma mi dispiace dire che, per molte cose, Napoli è una metropoli come ce ne sono tante altre. Anche sulla presunta tipica permalosità dei napoletani: quando la Lombardia ha subìto gli attacchi a seguito della prima ondata di covid, i cittadini si sono sentiti attaccati per luoghi comuni e hanno reagito. Come fanno tutti.