Schiacciati dentro l'emergenza da pandemia, ingabbiati nel Pensare Unico che ci fa esistere, da inizio anno, come se non avessimo orizzonte diverso dal Covid-19, ci siamo ritrovati strappati al sortilegio dall'eterno Pibe de Oro. Che come se smascherasse il Matrix ci ha portato via dall'incubo per qualche ora, forse anche per qualche giorno. E ci ha ricordato che c'è ancora un mondo al di fuori del virus. Quel mondo che forse non torneremo mai più a vedere con lo sguardo di prima perché ormai smaltato da una patina di minaccia permanente. E quella minaccia sta in tutto quanto si trovi al di fuori di noi: la strada, lo spostamento, il contatto con gli altri, il fare gruppo che viene bollato dallo stigma linguistico e morale dell'assembramento, e tutto il tempo che vada oltre la dimensione immediata dell'adesso. Una vita da esseri ritratti, rifluiti dentro una dimensione ultra-personale, assuefatti a un ciclo dei giorni scandito dal bollettino sanitario delle sei del pomeriggio.
Dentro tutto questo ha fatto irruzione lui. Gigantesco nella vita come nell'addio. Ci ha preso e ci ha portati fuori da una bolla all'altra, dall'incubo alla passione viva. E così facendo ha inceppato la Matrix. Che non è una narrazione illusoria, come vorrebbe farla passare il penoso esercito dei negazionisti. Piuttosto è l'episteme che ci siamo dati nei mesi dell'emergenza, e che col passare dei giorni si è stratificata strappando le condizioni per rimanere quando approderemo a un'altra normalità. È bastato sapere che ci ha lasciato. E in attimo si è squarciato il velo. Tutti i notiziari hanno cambiato agenda, tutti i social si sono trasformati nelle quinte di una rappresentazione unificata del lutto e della memoria, e dalle radio e dalle tv si sono diffuse all'unisono le tele-radiocronache dei giorni in cui il Dio del Calcio era sulla terra e giocava soltanto di mancino. E nei luoghi che sono stati suoi, le strade sono tornate a popolarsi. Come se un virus non fosse esistito mai.
Lo abbiamo visto tutti, Maradona. È stato un privilegio essere suoi contemporanei. Poi lo abbiamo visto inabissarsi dentro una distruzione di sé stesso (e soltanto di se stesso) che ancora anima le tirate moralistiche di persone dalla poverissima anima. E sarà un impegno continuare a serbargli gratitudine e devozione per averci regalato illusioni. Perché di ciò si nutre il calcio: dell'illusione che nella vita le cose vadano e si decidano chiaramente come nei campi da gioco, e che fino all'ultimo secondo possa giungere il nostro eroe a riscattare ogni nostra pena. Diego lo ha fatto anche nel momento estremo. Ci ha chiusi dentro una bolla di realismo magico e ci ha fatto viaggiare lontano finché è durato. Lasciandoci la certezza che un altro mondo è possibile e immaginabile al di fuori del virus. Il mondo di Diego10, più forte e vitale di quello dominato da Covid-19.
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