Pecco Bagnaia che passa per primo sotto la bandiera a scacchi di Portimao. E che festeggia, senza esagerare, quasi a lasciar intendere che lui stesso è consapevole che è andata come doveva andare e che il più forte non festeggia mai troppo. Poi una Ducati tutta nera che gli si affianca e il pilota sopra, Marco Bezzecchi, che si congratula. E lui, Pecco Bagnaia, che ringrazia con un gesto del casco, aprendo un braccio e chiedendogli a sua volta come fosse andata per lui. Il Bez che alza il suo di braccio e con le dita gli fa il segno del tre. Terzo. Un dialogo muto, quello tra i due ragazzi della VR46, che si trasforma in gioia vera, a quel punto. Con Bagnaia che sembra quasi più contento del podio del Bez che della sua vittoria. E’ un video di pochi secondi, ma sono pochi secondi di una potenza incredibile.
Perché nel fine settimana delle sportellate a vita persa raccontano un’umanità capace di gioire del successo dell’altro. Roba rara, soprattutto nel motorsport. Soprattutto in questa MotoGP da “andate e scannatevi”. Quei due, Pecco e il Bezz, se le sarebbero date se si fossero incontrati poco prima, ma dopo la bandiera a scacchi è tutto diverso, dopo la bandiera a scacchi torna a avere valore anche il piacere del successo di un altro. Quasi come se fosse il tuo. Quasi come se arricchisse il tuo e lo rendesse, questa volta sì, più speciale di una vittoria normale.
Pecco e il Bez sul podio insieme c’erano saliti già un’altra volta. E era stato lo stesso. Pecco e il Bez condividono non solo lo stesso sogno di ragazzini, nonostante una piccola differenza di età, ma anche la stessa moto. Anzi, quella del Bez è quella con cui Pecco è salito l’anno scorso sul tetto del mondo: una Desmosedici rossa che adesso è tutta nera. Pecco e il Bez condividono, ormai da qualche anno, pure i giorni, in quel pezzo di terra lì tra le Marche e la Romagna che un certo Valentino Rossi ha voluto trasformare in una scuola a cielo aperto per ragazzi col polso destro che ruota un po’ di più e l’anima di chi vuole arrivare veramente. L’ha chiamata VR46 Riders Academy e è, probabilmente, il capolavoro assoluto di uno che di capolavori nella sua carriera ne ha fatti parecchi, compresi nove mondiali vinti e compreso l’essere diventato, forse insieme a un certo Jordan, il più grande sportivo di sempre. Tutta roba che vale quasi niente davanti alla capacità di dare vita a una struttura che guardasse al futuro, che lo rendesse immortale veramente mentre dava la possibilità a dei ragazzi di trasformare in realtà i loro sogni.
Non vanno solo in moto, non vanno solo in palestra, non seguono solo la stessa dieta. Nella VR46 Riders Academy niente è lasciato al caso, ci sono pure le lezioni di inglese per non fare figure barbine nelle interviste, e si spazia dal motorsport alla vita. Insomma, roba che se anche la scuola vera fosse così, forse potremo contare su generazioni migliori. Così come su una generazione migliore, proprio grazie a quello che Valentino Rossi ha creato – e autofinanziato – ci ha potuto contare il motociclismo italiano. Quei pochi che ha preso sotto la sua ala sono arrivati, due di loro hanno anche vinto mondiali e uno l’ha vinto pure in MotoGP dopo che un altro, Franco Morbidelli, c’era andato vicinissimo nel 2020. Qualcuno, pochi veramente per la verità, s’è pure perso. Ma questo è lo sport. Solo che adesso quell’avventura meravigliosa che è stata la VR46 Academy ha un po’ tirato il freno. Niente è eterno e niente che abbia costi così elevati potrà mai esserlo abbastanza. Tutto però – e la grande industria ce lo insegna – può essere copiato. Basterebbe osservare, magari chiedere, farsi aiutare e riproporre quello che, di fatto, esiste già.
L’altro giorno a Portimao l’Italia ha dominato in MotoGP, ma se guardiamo dietro – Tony Arbolino a parte – c’è stata tanta Spagna. Segno che se il presente è fatto di verde, di bianco e di rosso il futuro potrebbe non essere così. Perché, soprattutto in tempi di crisi, sono sempre di meno i ragazzini che si avvicinano al motorsport e quelli che ci sono, quasi sempre, gravano sulle sole spalle delle famiglie. Non è solo questione di soldi, ma di strutture da garantire dietro che sappiano indirizzare i ragazzini e, purtroppo, anche le famiglie stesse. Magari per pochi, magari per i più meritevoli (ma meritevoli veramente e non i dotati d’italica raccomandazione) bisognerebbe copiare, e subito, la VR46 Academy, magari anche con l’aiuto stesso di Valentino Rossi o di quelli che l’Academy la conoscono bene. Potrebbe farlo la Federazione, ma potrebbero farlo – come accade in Formula1 – anche Aprilia o Ducati in maniera diretta e strutturata. Sarebbe il modo per valorizzare veramente il grande capolavoro di Valentino Rossi, senza stare ancora a campare di rendita su quello che Valentino Rossi ha fatto quando era pilota e fa adesso che pilota non è più. E sarebbe un bene – ma un bene vero – per il motociclismo italiano. Perché quando ne vedi due come Pecco e il Bez che insieme vincono e insieme s’abbracciano, quasi mostrandosi più felici del successo dell’altro piuttosto che del loro, allora hai vinto veramente e hai fatto godere tutti un po’ di più.