Andrà in onda questa sera, lunedì 23 gennaio alle 23.30 su Rai 1, una puntata speciale su una delle pagine di cronaca più buie della storia italiana: il massacro del Circeo. Una vicenda orrenda ricostruita "Cronache Criminali”, il programma scritto da Giovanni Filippetto e Giancarlo De Cataldo. Noi di MOW, lo scorso anno, avevamo ricordato un aspetto poco noto della questione come la stesura di un romanzo di 400 pagine scritto di suo pugno da Angelo Izzo, uno dei più feroci serial killer (e uno dei tre pariolini protagonisti del massacro), durante la sua detenzione nel carcere di Campobasso. Di seguito l'intervista all'operatore culturale che lo seguì in quel periodo e alcuni stralci del volume ancora in larga parte inedito.
Che cos’è il male ancora non se lo sa spiegare G.P. – che preferisce rimanere anonimo -, nonostante se lo sia trovato di fronte per lungo tempo. Di certo, però, ne ha percepito la pericolosità, tanto da aver deciso di abbandonare un’attività intrapresa con grande entusiasmo, nella quale aveva profuso impegno e passione, ma che alla fine si è conclusa con quella che amaramente definisce “un fallimento”. Mentre è in uscita al cinema “La scuola cattolica”, trasposizione del libro dello scrittore Edoardo Albinati che racconta anche del massacro del Circeo compiuto insieme a Gianni Guido e Andrea Ghira - in cui perse la vita la 17enne Rosaria Lopez e si salvò fingendosi morta la 19enne Donatella Colasanti -, siamo riusciti a contattare l’operatore culturale che nel carcere di Campobasso ha lavorato con Angelo Izzo a un laboratorio teatrale e di scrittura. Da quegli incontri, tre pomeriggi alla settimana per tre anni, sarebbe dovuto nascere un libro scritto a quattro mani. C’era già anche il titolo: “The Mob, la banda dei pariolini”. Un racconto dettagliato di una lunga serie di episodi cruenti: 21 capitoli per 400 pagine fittissime, che descrivono un gruppo di ragazzotti dell’alta borghesia romana negli anni ’70 mentre si divertono con la violenza sessuale sulle “pischelle” (spesso minorenni), compiono rapine alle banche più per libidine che per soldi, si stordiscono di droga perché in fondo “l’eroina è bella”, il tutto coperto da una “batteria di avvocati da paura” strapagati dalle loro altolocate famiglie.
L’operatore culturale che abbiamo intervistato, uno dei pochissimi ad aver letto quelle 400 pagine cariche di follia (“ma bisogna ammettere che aveva un talento letterario”) per le quali gli offrirono cifre da capogiro per pubblicarle (“una casa editrice mi disse: faccia lei il prezzo”), per la prima volta ha accettato di parlarne in modo più approfondito, così come del suo rapporto con Angelo Izzo (“che un giorno pensavo volesse uccidermi”) e del lassismo delle istituzioni carcerarie dell’epoca che portò a concedergli diversi permessi premio (“nonostante fosse evidente qualcosa di strano”) che il “mostro dei Circeo” utilizzò per compiere un nuovo massacro uccidendo Maria Carmela e Valentina Maiorano, moglie e figlia di Giovanni Maiorano, ex affiliato (poi pentito) della Sacra corona unita.
G.P. come ha conosciuto Angelo Izzo?
Mentre tenevo un corso teatrale e di scrittura in un reparto del carcere di Campobasso dove erano detenuti i collaboratori di giustizia, ma anche lui era in quella sezione. Alla fine di quel percorso avremmo dovuto scrivere un libro insieme e per tre anni abbiamo lavorato tre pomeriggi ogni settimana.
Qual è l’Angelo Izzo che ha conosciuto lei nell’ambito di quegli incontri?
Una personalità molto complessa. Prima di tutto emergeva molto rispetto agli altri nel gruppo. Era piuttosto colto. Dotato di uno spirito critico. Personalmente cercava in tutti i modi di avere un rapporto positivo con le persone che conosceva. Con me si instaurò un rapporto di amicizia fondato su posizioni paritarie, ma certamente avevo ben presente che fosse una persona della quale non ci si potesse fidare completamente.
C’è qualche dettaglio che l’ha colpita in particolare?
Devo ammettere che solo successivamente ho avuto una sorta di revisione totale sui nostri incontri e sul lavoro che abbiamo svolto, prima nell’ambito teatrale e poi quando abbiamo deciso di scrivere il libro. Lui aveva buttato giù una sorta di canovaccio e io mi occupavo della dimensione letteraria.
“The Mob, la banda dei pariolini”. Era praticamente la sua autobiografia giovanile.
Sì, era praticamente completato, poi ho consegnato tutto alle forze dell’ordine perché potevano esserci elementi utili alle indagini. Alcune parti sono state pubblicate da alcuni giornali dell’epoca, ma io non ho mai chiesto niente. Mi avevano offerto delle grosse somme, però non ho voluto speculare sulla vicenda, anche se potevo sfruttare il momento per fare dei soldi.
Quanto le hanno proposto?
Quando era finito abbiamo avuto dei contatti con delle case editrici importanti che sarebbero state disponibili. Una di queste mi disse: “Faccia lei il prezzo”. Persino lo stesso Izzo, in una lettera dopo il massacro di Ferrazzano, mi chiese di riprendere. Ma appena successe quel fatto chiusi con tutto. Anche perché io non avevo solo Izzo come allievo nel laboratorio, ma anche Maiorana a cui aveva ucciso moglie e figlia, per cui mi sono completamente ritirato da questo progetto.
In quelle 400 pagine c’erano dettagli che secondo lei erano particolarmente significativi?
Ai processi sono stato chiamato come testimone e ho riferito tutto alle forze dell’ordine rivisitando quel percorso. Molti episodi facevano parte della sua vita. Io non credevo a tutto, c’erano anche evidenti reminiscenze letterarie. Non credo fosse tutto autobiografico. Lui stendeva un capitolo e io cercavo di dargli una dimensione letteraria, però non tutti gli episodi venivano considerati. C’era questa banda che si muoveva nella Roma degli anni ’70, tra un reato e un altro, con il sogno di un’Italia “nera” viste le loro convinzioni politiche, il tutto nell’ambito della borghesia romana.
Izzo in quegli scritti ha mai dimostrato un pentimento?
Con me nel periodo di tre anni non ho mai avuto da parte sua un segno di ravvedimento. Questo, purtroppo, devo dire di no. Quando ne parlava, anche del massacro del Circeo, sembrava un fatto lontano, non completamente in grado da aver cambiato la sua indole. È sempre rimasto quell’Izzo degli anni ’70.
Dopo il massacro di Ferrazzano, arrivato durante i permessi fuori dal carcere anche grazie al lavoro svolto nel laboratorio di scrittura, lei come ha reagito?
Io facevo parte del gruppo messo in piedi dal giudice di sorveglianza per poter concedere i vari benefici o la semi libertà e quando gli concessero qualche giorno mi andò bene. Solo che i giorni successivi le sue richieste diventarono sempre maggiori, per cui diventai tra i più critici nel gruppo a concederglieli, perché partivo dal presupposto che dovesse guadagnarseli. “Stiamo attenti” continuavo a ripetere, ma non cambiò nulla.
Si era accolto di qualcosa di strano?
Quando venivano i suoi familiari mi sembrava un percorso giusto. Non era giusto, a un certo punto, che arrivasse in carcere anche qualche amico con il quale faceva cose che non mi convincevano. Izzo è una di quelle persone che se gli dai un giorno poi diventa una settimana. Poi l’albergo, poi le cene, poi i rapporti con dei ragazzi più giovani, che sono diventati successivamente suoi coimputati.
Non mi ha risposto di come lei reagì alla notizia dei nuovi delitti di Maria Carmela e Valentina Maiorano, moglie e figlia di Giovanni Maiorano.
Non me lo scorderò mai. Stavo presentando un libro e un amico mi disse cosa era successo. Però non rimasi sorpreso dal fatto in se, ma che fosse così eclatante. Ci rimasi male, fu davvero un delitto efferato. Ma non fu una sorpresa, in qualche modo me lo aspettavo. Mi accorgevo che c’era qualcosa di strano, non voglio dire in programma, ma quasi… Lui in quel periodo in cui usciva pensava, secondo me, di essere libero e, quindi, di poter tornare alle attività da svolgere che preferiva. Che, naturalmente, non erano normali come potremmo avere io e lei. In quell’ultimo periodo mi sembrò tutto molto strano.
Gli è stata concessa troppa fiducia da parte delle autorità carcerarie?
Diciamo intanto che lui è stato molto abile. Alcune cose le abbiamo capite meglio successivamente. Ma in quel momento sembrava una brava persona, si era pentito dei suoi crimini, aveva un atteggiamento di auto assolvimento e ritenevamo che le prospettive successive potessero essere buone per un reinserimento nella società. Anche perché era in grado di crearsi una rete intorno. Il tutto se lo era “venduto” molto bene. Certe perizie psicologiche erano favorevolissime. Per cui il giudice di fronte a queste perizie come poteva ipotizzare che ci fossero dei problemi?
Però qualcosa di strano lei lo aveva notato.
Tutto nasce da quell’associazione alla quale ha partecipato fuori dal carcere, “Città Futura”. In quell’ambiente è cambiato molto. Era frequentata solo da detenuti e in particolare dal gruppo di Izzo. Io sono andato un paio di volte a trovarli, ma dopo l’ultima decisi di non farlo più.
Come mai?
A un certo punto mi prese da parte, volle che gli consegnassi il mio cellulare e gli tolse la batteria. Eravamo al quinto piano di un palazzo e ho pensato: “Addio…”.
Ha pensato che volesse ucciderla?
Sì, tolse la batteria, forse per timore di essere intercettato. Dopo quell’episodio non ci ho messo più piede all’associazione. Dico la verità, in seguito uno degli ispettori mi ha detto: “Guardi che lei ha rischiato”. Ho avuto la certezza che potesse essere un momento problematico. Eravamo solo io e lui al quinto piano, che cosa ne sai come può andare? Liquidai tutto e me ne andai senza tornare più.
Non avvertì il giudice di sorveglianza?
No, solamente dopo gli omicidi di Ferrazzano. Ma cosa potevo riferire e a chi? Non puoi andare a dire una impressione… Oltre a questa avevo tante piccole sensazioni, che avevo espresso con cautela quando ero chiamato nell’ambito del tribunale di sorveglianza.
Torniamo al laboratorio di scrittura. Come si svolgevano i vostri incontri?
Nella biblioteca del carcere. Eravamo io e lui e basta. Si parlava, si scriveva, lavoravamo a questo progetto del libro. Anche in quei momenti ho avuto delle impressioni, certe cose le percepisci, uno sguardo, un gesto, però rimanevano lì perché non avevano avuto un seguito. Però le ho sentite maggiormente quando ha iniziato a uscire. In particolare, mi sembrava strano andasse in albergo, che invitasse gente a pranzo, lo vedevo al centro di questo cenacolo che mi faceva una certa impressione.
Aveva talento per la scrittura?
Una certa vena narrativa ce l’aveva, bisogna riconoscerglielo. Era un lettore forte, per cui sapeva sistemare e organizzare le proprie dimensioni narrative. Aveva un percorso chiaro del racconto.
Da forte lettore, quali erano i suoi riferimenti letterari?
Quello che lo affascinava di più era Jean-Claude Izzo, forse anche perché condividevano il cognome. Lo stesso Angelo si rifaceva a quelle atmosfere della Marsiglia nera raccontate dallo scrittore francese, ma senza la dimensione morale.
Quello che impressiona è che lui quelle atmosfere “nere” e “amorali” le ha vissute da protagonista.
Alcune di certo le ha vissute, però non saprei distinguere il reale dal fantasioso. Ricordo un episodio che raccontava negli scritti. Un giorno con la banda, tutti nomi di fantasia ma ben riconoscibili nella realtà, si ferma in uno dei banchi in cui vendevano meloni e angurie a bordo strada per prendere qualcosa. A un certo punto arriva un altro ragazzo e fa una sorta di “sgarbo” al gruppo facendogli notare di rispettare il turno della fila. Anche perché loro avevano un atteggiamento da padroni. Raccontava come in quel momento non risposero, per non creare problemi visto che c’era tanta gente, ma successivamente iniziarono a indagare per una ventina di giorni sull’identità del giovane che gli aveva fatto fare una brutta figura e si ripresentano in seguito da lui per sparargli alle gambe.
Una storia vera o di fantasia?
Io gli chiesi se fosse vera o se l’avesse inventata. Lui mi assicurò che era vera. Che lo fosse o meno, dimostra che aveva la personalità di uno che medita la vendetta anche venti giorni o un mese e poi arriva all’azione feroce.
Che esperienza è stata per lei quel laboratorio?
Una esperienza formativa, non solo per l’incontro con lui perché avevo un gruppo composto tutto da persone con vite altrettanto difficili, come qualche capo mafia. Andavo in carcere due-tre volte alla settimana, passando l’intero pomeriggio con questi soggetti. Per fortuna ho rimosso.
In che senso?
È stata una esperienza costellata da episodi come quello di Izzo che mi hanno portato a essere più critico. Dopo gli omicidi di Ferrazzano non sono più andato, ho interrotto tutti i rapporti. All’inizio ero entusiasta di quel lavoro, pensavo di aver fatto qualcosa di buono, solo che dopo mi sono chiesto se mi fossi potuto accorgere prima di qualcosa che non andava.
Ha dei sensi di colpa?
Ma certo, possibile che non mi sia accorto… però era una situazione complessa. Pensi che Izzo e Maiorana all’inizio nel carcere di Campobasso non andavano per niente d’accordo. Avevano gruppi diversi. Me ne ero accorto subito delle amicizie e delle antipatie. Non si prendevano per niente.
E poi?
Tutto cambia quando si ritrovano insieme in cella. Scatta l’amicizia e quello che è accaduto dopo. Del tutto imprevedibile al percorso che avevamo intrapreso. Li avevano messi insieme dopo che entrambi, in momenti diversi, erano usciti con i permessi e spariti per più del dovuto. Li ritrovarono entrambi in albergo. In quel momento cementarono una amicizia.
Dopo il massacro di Ferrazzano ha più sentito Angelo Izzo?
Qualche tempo dopo ricevetti una lettera da parte sua. Mi salutava, dicendo che purtroppo questo fatto ci aveva allontanato… Meditai se rispondergli e poi mi convinsi dicendogli che spiaceva anche a me che si fosse interrotto il cammino che avevamo intrapreso e anche perché aveva fatto quegli omicidi. Eri sempre stato attento all’utilità, qual è il movente? Gli chiesi.
Lui le rispose?
Mi inviò un’altra lettera, nella quale diceva “poi ti dirò…”, divagò, alla fine nella risposta non c’era niente, né scuse, né rammarico, quasi fosse stato costretto a compiere quei delitti senza una spiegazione precisa.
La banalità del male?
Penso non sapremo mai il perché.
Lei il male lo ha visto di persona, se ne rende conto?
All’inizio non me ne accorsi, in seguito sì. Prima ero fiducioso, con i familiari sembrava che ci fosse la possibilità di un futuro discretamente positivo per lui che era in carcere da quando aveva 22 anni.
Come mi ha detto prima, le chiese anche di ricominciare il progetto del libro.
Sì, mi chiese di riprenderlo per sfruttare il momento “positivo”, anche sapendo che gli editori offrivano molto denaro. Rinunciai, non me la sentivo di speculare e ripercorrere quelle esperienze. Non voglio più affrontare quel periodo. Non ho fatto niente di male, però sono profondamente amareggiato. Lo ritengo un fallimento. Avevo scelto di dare una mano ad alcune persone e poi in un attimo si è sbriciolato tutto.
Ha avuto problemi anche personali dopo quella vicenda?
Non ero mai stato in un tribunale prima e essere chiamato a testimoniare, inserito nel marasma dei media mi ha scombussolato. Mi chiamavano per i programmi televisivi. Mi cercavano tutti. Ero finito in una spirale. Mi trovavo davanti a casa delle persone per interviste varie. Sembrava quasi che fossi io a essere colpevole di qualcosa. Un circo che però non faceva per me.
Ecco i capitoli aghiaccianti del libro di Angelo Izzo finora divulgati:
SIAMO VIOLENTATORI SERIALI
«Credo che lo stupro abbia a che fare con gli istinti primordiali dell'uomo. La caccia, l'inseguimento, la cattura, la preda calda, spaventata, tremante, il possesso. Ecco, questo il gioco, la mia eccitazione si fonda su questo subdolo e umiliante meccanismo: il possesso. Il sapere che lei è preda, alla tua totale mercé, debole e remissiva, schiava delle tue volontà. Il possesso totale. Sì, è vero, in uno stupro la soddisfazione sessuale è poca cosa, è il resto a farla da padrone. Il pieno controllo del corpo di lei, il senso di onnipotenza, lo sfogo sadico di un istinto malfermo, la tortura psicologica, la sua sofferenza, l'angoscia, la remissività. Tutto entra in un gioco perverso teso all'annullamento della sua volontà. La donna che è dominata, la schiavitù, la sottomissione, l'inseguimento del tuo solo piacere. (...)
«Per noi è così, una volta rotti gli argini diventiamo degli stupratori seriali. Entra nelle nostre priorità quella di avere delle donne da violare, da ridurre a giocattoli sessuali (...). È il nostro divertimento, ormai, niente più ci allontana dal desiderio di sfogarci in questo modo aberrante, siamo schiavi della nostra malattia, ne siamo forse consapevoli a volte, ma non sappiamo più rinunciare». (Continua)
I COLPI IN BANCA
«Ah, ho 16 anni e scopro la mia vera vocazione, sono nato per fare il rapinatore di banche. Eh sì, rapinatore di banche, altro che ingegnere come mio padre. Non so spiegarmelo, ma per me rapinare una banca è come essere toccato da una grande passione. Un'onda che mi invade, che mi arroventa il corpo e lo spirito. Una libidine profonda. Il tutto a prescindere dal bottino. Non me ne frega niente del bottino. È l'azione, il modo, i tempi, i meccanismi. Si entra, per due o tre minuti sei con le armi in pugno, sei padrone del mondo. Istanti implacabili. Forti, essenziali, speciali. Si prendono soldi liquidi, puliti, incontrollabili. Si va via. Durante la rapina, in quei pochi minuti sei tu che comandi, reggi il piccolo mondo, sono tutti ai tuoi piedi. Sono tutti nemici. Non solo gli sbirri, ma proprio tutti, compresi i passanti. Guai a loro se si mettono di mezzo. Nessun ostacolo al potere. Nessun ostacolo a noi».
L'EROINA È BELLA
«La verità è una sola: l'eroina è bella, è una favola, rappresenta il più dolce dei viaggi. È il Paradiso e l'Inferno insieme, è vita e morte nel medesimo istante. Uno sballo da magia. Ma c'è un solo, piccolo, minuscolo particolare, l'eroina ti fotte la vita. Ti fa vivere in funzione di quel mezzo grammo di polvere bianca.
«Tutto, ogni momento della tua esistenza ruota attorno al pensiero di quando puoi farti, di quando puoi cercare la vena e infilarci l'ago. Passaporto per la pace e la serenità. Lontano, lontano dalle brutture del giorno, da questi pensieri che affliggono e uccidono. La roba, solo la roba da procurarsi, con ogni mezzo, subito, subito, subito». (Continua)
STUPRO OMOSESSUALE
«Tra l'altro fu in quel periodo che ebbi il primo vero rapporto omosessuale. Accadde con un ragazzo francese del Panier, un quindicenne dall'aspetto femmineo e un sorriso incantevole. Lo desiderai appena lo vidi. Fu un desiderio molto confuso, ero inesperto e anche un po' intimorito dalla cosa. In realtà non sapevo bene circa il da farsi, ma ogni volta che lo incontravo avvertivo il desiderio farsi forte. Avevo voglia di quel corpo e mi innamoravo delle espressioni del suo musetto meraviglioso.
«Feci così l'impossibile per corromperlo. Gli regalai denaro, fumo, eroina, ma un po' le circostanze, un po' le mie indecisioni e timidezze, non riuscivo proprio a concludere. Continuò così per un bel po', finché un pomeriggio praticamente lo violentai».
LI BRUCEREMO TUTTI
«Cominciamo una campagna di attentati su Roma che neanche i più esperti tra i rossi sfegatati sono mai riusciti a fare. (...) Il passo successivo è la rivendicazione. Telefoniamo a un giornale: "Sveglia gente, siamo i Nuovi partigiani, li bruceremo tutti". Così tutti sanno che dietro gli attentati alle sezioni ci sono questi rossi che hanno dato vita a una nuova e più pericolosa organizzazione. Ogni apparato dello Stato inizia il percorso d'indagine ed è proprio quello che vogliamo. Ullalà, ce l'abbiamo fatta. I nostri attentati antifascisti si rivelano davvero efficaci (...).
«Eh sì, perché noi ci sentiamo come un anello, forse l'ultimo, di una lunga e misteriosa catena che si può considerare come un esercito clandestino, per di più coperto da settori importanti dello Stato. Direttamente o indirettamente apprendiamo ogni movimento, i golpe in preparazione, le stragi, le bombe, i terroristi che si riforniscono direttamente dalle basi Nato, i rapporti diretti fra dirigenti neofascisti e alti gradi dell'Arma dei carabinieri, generali dell'Esercito che partecipano a riunioni eversive. Sì, cominciamo a sapere molte cose, ad apprendere di tutto e di tutti, siamo volenti e nolenti parte di un progetto sovversivo, di un percorso sconosciuto alla gran massa delle persone e che si fonda totalmente sulla paura e il terrore della gente per controllare le cose e non permettere una vittoria delle forze di sinistra. Pur nel livello di spicciola manovalanza veniamo continuamente a conoscenza di visite di emissari di Nixon, di riunioni di bombaroli nella villa di un grosso boss mafioso italoamericano, tal Frank "Tre dita", di ex partigiani della Valtellina spediti nello Yemen a combattere contro la guerriglia marxista, di omicidi mascherati da incidenti stradali o da suicidi. Veniamo a sapere perfino di un attentato che fa sei morti e che è spacciato per incidente ferroviario. (Continua)«Questo il modo in cui in Italia, negli anni 70, si fronteggia l'avanzata del Pci. (...) Andiamo con un aereo di linea fino a Barcellona. A riceverci è il principe Borghese. (...) Ci riceve in un appartamento che funge da ufficio. Siamo nei pressi delle Ramblas, al centro della città. Sulla parete l'immancabile bandiera della Decima Mas. Ci parla, ci parla molto. Ci dice che siamo dei patrioti, "siete dei fieri avversari di questa democrazia parlamentare, dei combattenti per l'Italia". Le sue parole ci inorgogliscono, di concerto gonfiamo i petti, mostrando tutta una fierezza insperata in noi. Ci sentiamo pieni di esaltazione e ci sembra abbiano voluto riconoscere il nostro valore, premiandoci con le parole di quel grand'uomo che è il principe Valerio Junio Borghese».
FACCIAMO FUORI LE PISCHELLE
«Il 29 settembre ero a piazza Euclide in compagnia di Virgilio. Avevamo a disposizione la 127 di sua madre. (...) Mentre si cazzeggiava eccoti arrivare il Giambi, in Maserati, con tre ragazzette mai viste prima. Giambi fece le presentazioni, dicendo che le aveva prese su mentre facevano l'autostop. (...) Le invitai a scendere dalla macchina, ci scherzai un po' e, strizzando l'occhio a Marzia, proposi loro di vederci, magari più tardi, per andare a fare una gita al mare. Naturalmente il pensiero era quello di portare le tre ragazze da qualche parte per divertirci un po' tutti insieme. Erano tre "bore", si capiva dai loro vestiti e da come parlavano, ma non erano male. Fatto è che, dopo aver loro offerto qualcosa, le ragazze accettarono di rivederci. (...) Mi venne l'idea: ci portiamo il Riccio, cazzo che idea. Dopo l'orgetta le facciamo fuori le pischelle (...).
«In meno di un'ora fummo a Fregene, nella villa di famiglia di Cowboy. Una bella villa, posta su una scogliera a picco sul mare, circondata da un parco, per lo più con alberi di pino. Ci accomodammo nel salone. Un luogo molto bello, raffinato, con i suoi marmi, il legno pregiato e il cuoio. Mettemmo su un paio di dischi, musica di sottofondo per le nostre amabili chiacchiere. Ci ascoltammo quasi tutta la colonna sonora di Arancia meccanica e poi l'inno della Brigata Thaelmann, infine una roba forte delle Brigate internazionali comuniste della guerra civile spagnola. Preparammo da bere e le invitammo a tracannare un paio di whisky. A un certo punto la conversazione sembrò languire. Fu un attimo, uno sguardo con Virgilio e la violenza prese a materializzarsi tra noi (...).
«Cowboy si rivestì. Mangiammo. Dopo ci mettemmo a pippare la coca. Passarono ore e ore e ci rivenne voglia di sesso... Arrivarono i carabinieri. Dalle cronache seppi che erano arrivati in gran numero. Subito si attivarono. Naturalmente grazie alla macchina non potevamo scamparla. Alle prime luci dell'alba piombarono a casa di Virgilio e lo arrestarono. Era quasi mattina. Mi presero, senza far fatica, nel portone del palazzo di Virgilio. I carabinieri della centrale operativa erano un po' confusi. Invece di timorosi giovincelli trovarono gente dal comportamento deciso e arrogante. Criminali incalliti, smaliziati al punto da non dire una sola parola, nessuna ammissione, solo la nomina di avvocati famosi. Mutismo completo. Cazzi loro! Fui portato in ospedale per il riconoscimento. Capii solo allora che c'era stato un errore, che tutto sarebbe venuto fuori, che ero nella merda, la merda più schifosa. Cazzo, ero fottuto!».