Da un personal trainer ti aspetti muscoli, disciplina, forse un filo di fanatismo incanalato nella cultura no pain no gain che si ritrova scritta sui muri delle palestre. Doccia fredda alle sei, pozzo di sudore, dieta monacale. Paolo Zotta è venuto da South Garage per spiegarci che, fatta esclusione per il fisico (almeno il suo) non è così. Esordisce raccontando che faceva il pugile e che un giorno ha detto basta: “Sono arrivato a fare questo mestiere con esperienza, dedizione, dormendo poco e lavorando tanto. Non so cosa farò da grande, però c’è stato un momento in cui volevo essere felice. Sembra una frase vuota, ma c’è stato un momento in cui non mi piaceva più svegliarmi la mattina. E mi sono detto perché, se vivo di sport e mi piace questo, non può essere quello che faccio per vivere? Così ho fatto il mio percorso, arrivando ad allenare tante persone”. Lui non lo dice, ma sono in molti nel mondo dello spettacolo ad affidarsi alla sua filosofia. Quando glielo chiediamo risponde che è vero, aggiungendo però che lavora volentieri con chiunque: “Nel tempo è capitato che venissero da me artisti, cantanti, attori. Però tutti si possono allenare con me. Se uno vuole avere dei risultati, ridendo e scherzando… ce la può fare”.
È questo, oltre alla tecnica, il suo metodo d’allenamento: inutile imporre rinunce se questo significa rinunciare al piacere di migliorarsi. Anche perché, a meno che si stia parlando di atleti professionisti, con un approccio da caserma è più facile creare un problema che ottenere risultati: “Io consiglio sempre di ascoltare il proprio corpo”, spiega lui. “Magari ti alleni tre volte a settimana ed è giusto, l’obiettivo è andare in palestra per stare bene. Io ci vado per staccare dalla mia quotidianità, dall’ufficio, dagli eventi. E voglio vedere quella cosa con serenità, perché se mi devo obbligare e togliermi delle cose non la vivo più bene. E lo stress va a influire sul nostro organismo e non ottengo risultati, anzi: il mio corpo potrebbe andare in catabolismo e si va a gonfiare”.
Paolo Zotta porta questa mentalità anche nella dieta, che però, sottolinea, dev’essere studiata con una figura diversa rispetto al personal trainer: “Bisogna sistemare l’alimentazione, e questo lo si fa affiancandosi a un professionista o un nutrizionista. Tanti personal trainer ti danno anche lo schema nutrizionale, magari su di un foglio di carta. Però se sei personal trainer fai quello. Se hai studiato scienze dell’alimentazione va benissimo, però occhio alle due cose. Io collaboro con dei nutrizionisti che seguono i miei clienti ed è lì che fai la differenza, controllando questi parametri fai la differenza. Ti puoi anche spaccare di addominali, ma se non mangi bene non farai mai la differenza”.
Così gli abbiamo chiesto della sua di dieta, di quello che per lui funziona. “Io sono un personal trainer atipico: mangio tanto, di tutto e di più, anche due o trecento grammi di pasta la mattina. Se avanza del riso la sera prima, io lo butto con le uova a colazione. Sono carboidrati buoni! La mattina minimo due uova, pancake… ve ne insegno una per lo spuntino che è perfetta, si chiama PBJ: non è una categoria di un sito hard”, dice ridendo. “È il peanut buttar jelly, burro d’arachidi e marmellata di fragole, quella zero zuccheri. A metà mattinata poi mangio un toast, una piadina, barrette proteiche… cose così. Apriamo una piccola parentesi: se riusciamo a mangiare tutto quello di cui abbiamo bisogno con elementi naturali possiamo evitare il beverone, se invece siamo in giro o non abbiamo la possibilità di mangiare alimenti normali va benissimo anche quello. A pranzo mangio primo e secondo, poi spuntino nel pomeriggio - cercando di variare - e la sera cenone di capodanno, sempre. Primo, secondo, contorno. Alcol? Certo! Se già ci alleniamo più o meno tutti i giorni, andiamo in palestra, stiamo attenti a quello che mangiamo… se mi faccio una serata non devo bere? È normale che se tutte le sere ti bevi sei o sette bicchieri non va benissimo. Però dobbiamo vivere. E anche i dolci mi piacciono, il tiramisù è buonissimo”.
Infine, gli chiediamo come lavora con chi ha fatto degli eccessi la propria normalità: “C’è un mio cliente, Marracash, che ha appena finito 21 date nei palazzetti. Ha avuto delle performance devastanti in tutto il tour, addirittura uscivano articoli che lo definivano un atleta. Questo perché Fabio per sei mesi si è allenato con costanza, almeno tre volte alla settimana per prepararsi ad affrontare queste 21 date consecutive. Ogni tanto beveva o fumava lo stesso, ma ci è riuscito”.