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Paura di uscire di casa
nonostante la zona gialla?
Potresti soffrire della sindrome della capanna

  • di Giada Tommei Giada Tommei

5 maggio 2021

Paura di uscire di casa nonostante la zona gialla? Potresti soffrire della sindrome della capanna
Pochi sono contenti di tornare a uscire (almeno non inizialmente) e questa è la grande verità con cui fare i conti. Una verità che non si può dire, altrimenti vieni guardato strano. Il problema, in questo caso, non è solo la paura del contagio ma si allarga a ben altro: “sarò all’altezza di tornare in società?”, “come saranno cambiate le persone in questa ennesima pausa che ci lasciamo alle spalle?”. Se l’anno scorso era un gioco, ora di divertente è rimasto ben poco.

di Giada Tommei Giada Tommei

“Ho paura di uscire”, dice il rapper Salmo in una delle sue canzoni più famose. Nel suo anno di lancio, il 2018, ci ridevamo su: certo, a volte di uscire mancava la voglia ma certo di farlo non c’era timore alcuno. Oggi, a 2021 suonato, la situazione è completamente ribaltata. “E mi sveglio col cerchio alla testa…sicuro qualcuno mi avrà fatto santo”, continua la canzone. “Porca miseria…non è che allora ti sei contagiato?!”, rispondiamo noi oggi: la paura di uscire, purtroppo, è diventata realtà e non solo rap.

A dirlo, sono proprio gli esperti del settore inquadrando a livello psicologico un comportamento sempre più attuale che si riassume nella così chiamata “sindrome della capanna”: quella paura di uscire di casa e di tornare alla vita, dunque. Cosa che, diciamocelo, non è affatto semplice o almeno, non lo è per tutti. Questo tira e molla stile un due tre stella non è che poi migliori molto le cose: esci! non uscire! vai ora esci! No fermo! La testa perde le sue radici e, se non le aveva prima, capisce di non possederle ed è anche peggio. Esagero? Anche no: queste aperture improvvise sono come guardare continuamente a destra e sinistra prima di attraversare la strada, titubando anche quando di macchine all’orizzonte non se ne vede alcuna. Sono le ferie date una settimana prima in un momento che non ci aspettavamo: bisogna fare tutto e farlo veloce e farlo perfetto, altrimenti sprechiamo momenti liberi che poi dio solo sa quando torneranno! Il risultato è sicuro: gaviscon a fiumi, coliti come se piovesse. La capanna: il nostro nido. Il nostro caldo rifugio dove, da più di un anno, restiamo per lunghi periodi o torniamo irrimediabilmente dopo il lavoro in un’esistenza che ha poco altro, ormai, qualunque siano nomi e numeri della famiglia stilizzata che appiccichiamo sul lunotto posteriore della macchina.

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Molte regioni sono improvvisamente tornate gialle: via libera dunque, o comunque quasi, ad aperitivi e pranzi all’aperto. Ancora una volta così, all’improvviso e senza che a fronte ci sia un tangibile miglioramento. La sensazione è un po' quella di uscire di casa con una benda sugli occhi e procedere un po' a tentoni: dai, gente, ma davvero è possibile gioire di una cosa del genere?

Chiudersi e aprirsi a comando è devastante, punto. Se vieni da mesi di cene in casa e passeggiate la domenica nel bosco per non incontrare nessuno, il tuffo nella mondanità non può essere un bungee jumping ma un lento immergersi come quando si fa il bagno in mare e prima si bagnano i polsi poi le caviglie poi la testa e poi via. Pochi sono contenti di tornare a uscire (almeno non inizialmente) e questa è la grande verità con cui fare i conti. Una verità che non si può dire, altrimenti vieni guardato strano. Il problema, in questo caso, non è solo la paura del contagio ma si allarga a ben altro: “sarò all’altezza di tornare in società?”, “come saranno cambiate le persone in questa ennesima pausa che ci lasciamo alle spalle?”, ci chiediamo.

Se l’anno scorso era un gioco, ora di divertente è rimasto ben poco. Di sicuro non i tubi dentro la gola dei malati, né gli yo-yo con il nostro cervello né il pane che per molti viene a mancare alla sera. Rimane un “vuoto”, questo sì, che non è tanto depressione ma nemmeno serenità: è un campo arato dentro di noi, che si legge negli occhi di chi fuma alla finestra alla sera e in chi gioca col figlio alle macchinine ma in realtà con quelle stesse vorrebbe schiantarsi in un muro consapevole che non proverebbe più così tanto dolore perché “in questo periodo mi sento apatico io boh”.

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Gli appuntamenti, poi: vogliamo parlarne? Quelli presi in zona rossa o arancione quando “appena siamo gialli ci vediamo” e che adesso penzolano sotto il nostro naso in una lista di cene, aperitivi e colazioni a cui prender parte e che non sappiamo minimamente come gestire. No, non lo sappiamo: perché per farlo ci vuole entusiasmo e non ditemi che dopo 480 giorni di niente sentite di averlo da vendere perché non ci crede quasi nessuno. Apri e chiudi la gabbia: non è naturale, non ci si può vivere. E se mi ammalo? E se poi mi dicono che sono un contagio del contagio e danneggio qualcuno? E se quella persona con cui ho chattato per mesi dal vivo non è la stessa? E se chi pensavo fosse sempre lo stesso adesso è diventato diverso?

Ci si sente sbagliati, ad aver paura di uscire quando si può uscire. Però non si dice perché non si può dire: si va avanti, con la folla, seguendo il pazzo ritmo di questa nuova esistenza che un po' ci libera un po' ci chiude, ma non ci fa mai volare.

Effettivamente, non è difficile comprenderlo: “come fare a tornare a vivere sapendo che la vita che ci è offerta è comunque solo un 50% di quella che abbiamo sempre potuto vivere e non si sa quando potremo tornare a prendercela completamente? Come fare a brindare con serenità, sapendo che quel cin cin sarà l’unica cosa che faremo da qui a non si sa quanto tempo perché non c’è un viaggio, un posto da scoprire, una persona da baciare a caso, una pelle da annusare senza diffidenza o una casa da costruire senza questa dannatissima paura di rimanere bloccati, nel bel mezzo di un nuovo progetto, un nuovo coraggio o una nuova conoscenza, forzatamente ingessati e costretti a tornare indietro? Spiegatemelo perché io non lo so più. So che il Covid ha costretto molti a prendere consapevolezza dei traguardi non raggiunti, delle paure messe sotto il tappeto; so che molti altri si sono mossi velocemente, quando non era il momento, per paura che saltasse tutto di nuovo. So che la mancanza di gioia vitale ha cambiato chi è più debole e ferito chi è più forte. E che il mondo, in effetti, non è più come prima semplicemente perché è esattamente come era prima senza bugie.

Ok: e l’estate? Sul mare respireremo la tranquillità dell’esistere, sì: ma che succede se ci tolgono il tramonto? A quell’ora dovremo per forza essere sulla via di casa. O a cena, per essere sicuri di tornare in tempo.

Ebbene, potrebbero toglierci il gusto di guardare il tramonto sul mare. O sulla montagna, o in qualsiasi posto lontano da casa propria. “Casa mia è dove sei tu”, dice il proverbio. Sì, ma se tu sei fuori dal mio comune o dalla mia provincia o dal mio Stato, casa mia è dove la piglio in cul...

E allora sì, che ho paura di uscire. E ne avrò finché non potrò vedere sorgere o calare il sole dove, come e quando vorrò io. Con quel cavolo di buco nel braccio, a vaccino fatto.

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