Lo scorso martedì Pornhub ha annunciato di avere aggiornato le proprie condizioni d’uso, in risposta allo scandalo scoppiato a seguito dell’articolo pubblicato dal New York Times, dal titolo “The children of Pornhub”. L’articolo, a firma Nicholas Kristof, pone l’accento sulla grande presenza, all’interno dei siti di proprietà del colosso del porno, di un coacervo di contenuti pedopornografici, video di sesso non consensuale e stupri, sostenendo che le autorità del Canada (dove la società ha sede) dovrebbero impedirne la diffusione e che i partner commerciali della piattaforma dovrebbero boicottarla, prendendo esempio da PayPal. Un invito che non ha tardato ad essere accolto da Visa e Mastercard che, proprio ieri, hanno annunciato di aver interrotto i propri rapporti con MindGeek, la società che controlla Pornhub.
Quest’ultimo ha deciso, così, con effetto immediato, di permettere solo alle persone con un account verificato e creatrici di contenuti, nonché a quelle affiliate al programma di modeling, di caricare video sul proprio portale. Saranno, inoltre, banditi i download, tranne che per le persone che avranno acquistato i video. Verrà, ancora, rafforzato il team di moderazione assieme a quello che è stato chiamato “Red Team”, il quale - come si legge sul sito - fornirà “un ulteriore livello di protezione oltre al protocollo esistente, eliminando in modo proattivo i contenuti già caricati per potenziali violazioni e identificando eventuali interruzioni nel processo di moderazione, che potrebbero consentire un contenuto che viola i termini di servizio.” A questo si aggiungerà, da ultimo, il “Trusted Flagger Program”, una sorta di super team formato da più di quaranta organizzazioni no profit leader nel settore di Internet e nella sicurezza dei bambini, che potranno segnalare direttamente dei contenuti e farli rimuovere immediatamente. Non è ancora stato chiarito se queste operazioni avranno un effetto retroattivo e che ne sarà di tutti i contenuti caricati fino a ora.
Le accuse di Kristof si concentrano sul fatto che Pornhub abbia favorito la circolazione di video i cui protagonisti sono spesso minorenni vittime di traffico sessuale, donne abusate in stato di incoscienza e stupri veri e propri. A supporto di queste affermazioni Kristof ha riportato una serie di testimonianze delle presunte vittime, oltre a quella di un moderatore della piattaforma, il quale ha avuto modo di spiegare come l’enorme quantità di video che viene giornalmente uploadato renda estremamente difficile verificare con certezza l’età delle persone ritratte al loro interno e se le torture siano vere o inscenate.
Per Kristof questi punti sono fondamentali per argomentare la sua invettiva e - sia ben chiaro - nessuno, qui, intende negare la gravità di questi fatti, che ci sono e sono documentati. È interessante, tuttavia, notare come questo tipo di contenuti non rappresenti l’offerta principale di Pornhub, come la retorica dell’articolo vorrebbe invece far pensare (senza, per altro, che venga fornito alcun dato circa la ripartizione fra le diverse tipologie di video, all’interno del sito). Si tratta, insomma, di argomentazioni non sufficienti per chiederne la chiusura, come per esempio fa la campagna di boicottaggio “Traffickinghub - Shut Down Pornhub”, che ha raccolto oltre due milioni di firme, e che Kristof annovera fra le iniziative abolizioniste contro la piattaforma.
Il caso Pornhub potrebbe cambiare internet, per sempre
Ok, ok, abbiamo visto cosa è successo, ma perché l’indagine condotta dal New York Times e le contromisure adottate da Pornhub sono tanto importanti?
Innanzitutto perché quanto sostenuto dal NYT sposta su un nuovo piano il dibattito sul tema del revange porn. Quello che si dice, in sostanza, è che la fruizione di contenuti pornografici che ritraggono soggetti non consenzienti non è più, soltanto, un tema che interessa il mondo del web sotterraneo, le chat su Whatsapp o su Telegram. Quello che si dice è che la piattaforma di distribuzione di contenuti pornografici più pop che esista al mondo, distribuisce materiale di questo tipo abitualmente e con essa tutta la sterminata galassia di siti porno esistenti sul web. Quello che si dice, insomma, è che anche tu caro lettore, anche tu cara lettrice, puoi imbatterti, anzi, sicuramente l’hai già fatto, in materiale di questo tipo, anche se non l’hai cercato di proposito. Non solo, la tesi del NYT rende evidente un altro profilo: tutti lo sanno, tutti lo sapevano, ma tutti si sono sempre nascosti dietro alla foglia di fico dell’impossibilità di verificare il contenuto della moltitudine di video che vengono giornalmente caricati. Ed è qui che emerge il secondo motivo per cui l’articolo del NYT e, soprattutto, le contromisure operate da Pornhub diventano rilevanti, per la società tutta, nel 2020.
Il fatto che una piattaforma di video in streaming con i numeri di Pornhub rompa il tabù del “non possiamo controllare ogni contenuto” potrebbe costituire il primo passo per una rivoluzione dell’intero sistema di distribuzione dei contenuti on-line, anche per chi mette a disposizione il proprio spazio in ambiti diversi dal porno.
Anche su YouTube, anche su Facebook, anche su Twitter sono, infatti, costantemente caricati contenuti i cui protagonisti non hanno mai prestato il proprio consenso alla loro pubblicazione. Si tratta, molte volte, di contenuti che hanno, oltretutto, connotati violenti o irrisori nei confronti dei soggetti ritratti. Ma se Pornhub può effettuare una verifica sulle centinaia di migliaia di contenuti che vengono caricati ogni giorno - ammesso che lo faccia e che questo controllo sia efficace - nessuno potrà più allargare le braccia e dire semplicemente “non è colpa nostra”.
Ecco perché le nuove linee guida di Pornhub sono dirompenti: in un contesto nel quale siamo tutti dei potenziali content creator e, soprattutto, in cui tutti fruiamo gratuitamente e liberamente di contenuti creati o messi online da altri utenti, impedire che chiunque possa pubblicare indiscriminatamente video porno è un segnale molto forte circa l’importanza di assumersi delle responsabilità in rete. È come se per scrivere su Facebook, Twitter e Instagram ci venisse richiesto il documento d’identità: ci azzarderemmo a mortificare, offendere o minacciare altre persone? Publicheremmo screenshot di chat private, foto e video ricevuti da terzi oppure nostri ma in cui compaiono altre persone ignare di quello che stiamo facendo e che adesso potrebbero denunciarci per “revenge porn”?
Il vincolo a caricare solo materiali autoprodotti o di cui si detiene il copyright e rispetto ai quali si deve rendere conto dell’identità delle persone in essi presenti, cambia radicalmente il modo di pensare a internet come a una landa senza regole dove ognuno fa come vuole, non preoccupandosi delle conseguenze.
D’altra parte, dall’avvento di internet, tra funzioni di moderazione e segnalazione, siamo tutti stati trasformati in delatori. Ed è questo uno degli aspetti più controversi, perché - se la violazione del copyright è un fatto oggettivo - i contenuti considerati perseguibili per via del titolo o della messa in scena sono meno chiari. Come si comporterà, ad esempio, Pornhub, rispetto ad alcuni video che potrebbero apparentemente contenere scene di violenza o di non consensualità ma che sono in realtà soltanto delle mere rappresentazioni? Verrà applicata una significativa censura ad alcune fantasie molto popolari come quelle dello stupro e dell’incesto? Si legge nelle aggiornate condizioni d’uso: “[...] sebbene l'elenco delle parole chiave vietate su Pornhub sia già ampio, continueremo a identificare parole chiave aggiuntive per la rimozione su base continuativa. Monitoreremo inoltre regolarmente i termini di ricerca all'interno della piattaforma per aumentare le frasi che tentano di aggirare le misure di salvaguardia in atto”. Un sistema di screening che opera, quindi, in parte in maniera automatica e in parte in maniera discrezionale, attraverso i team che verranno predisposti per il monitoraggio dei contenuti. Problemi risibili? Tutt’altro. Perché questo stesso tipo di sistemi di controllo sono e saranno sempre più penetranti anche sulle altre piattaforme, in un’eterna lotta tra la libertà d’espressione e la tutela di chi viene mostrato al pubblico. Pensate a questo: è giusto mostrare le immagini di un pestaggio senza il consenso della vittima? E se il pestaggio è effettuato da un regime totalitario? Non potrebbe essere necessario mostrare (anche) contenuti di questo tipo per denunciare al mondo cosa stia avvenendo in quei luoghi? Come vedete si tratta di problemi molto complessi, che non trovano, come sempre, risposte semplici. Quello che è certo è che, come già accaduto a più riprese nella storia di internet, se qualcosa sembra cambiare, se una forma di progresso sembra realmente profilarsi all’orizzonte, lo si deve al mondo del porno. Il porno ha trainato la diffusione di reti sempre più performanti, di sistemi di pagamento on-line e di telefoni dagli schermi sempre più grandi - solo per citare alcuni esempi. Sarà in grado, questa volta, di cambiare anche ciò che intendiamo con il termine libertà, una volta in rete? Altro che pippe, con Pornhub si fa la storia.
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