Nell’era del femminismo a colpi di hashtag ci sentiamo tutte persone più buone se diciamo che ci prodighiamo per i diritti delle minoranze, per le pari opportunità ecc ecc. Guai se i politici dei paesi democratici non si dimostrano favorevoli alle cause femministe in toto, pena la gogna pubblica. Peccato che oggi più che mai tutto ciò si traduca solo in affermazioni vuote e fine a sé stesse. Da quando le milizie talebane hanno riconquistato l’Afganistan l’attenzione mediatica si è subito polarizzata sul destino delle povere donne afghane, soprattutto di quelle che in questi anni avevano pensato bene di concedersi un’istruzione, degli hobby e persino un lavoro. Non è difficile quindi immaginare che sotto la sharia le più a rischio sono senza ombra di dubbio loro.
Giornalisti, politici, influencer pseudo femministe, tutti subito si sono uniti al grido: “qualcuno salvi le donne”.
E qui è entrata in gioco l’Unione Europea che con veemenza ha subito preso le distanze dal regime talebano e ha affermato la necessità di trarre in salvo le malcapitate. Necessità ribadita anche dal nostro governo, proprio ieri, durante il G20. Tutto molto bello, possiamo dormire sonni tranquilli, i grandi paesi democratici, dove la parità dei diritti è ormai stata raggiunta da tempo, si stanno prodigando per salvare le afghane da un regime repressivo e violento.
Sarebbe tutto splendido se non fosse che le politiche europee prevedono di esternalizzare il più possibile i rifugiati (sì, anche le donne) verso Paesi che non si possono proprio definire a favore dell’emancipazione femminile: Turchia, Pakistan e Iran.
Non è però la prima volta, già in passato l’Europa aveva finanziato abbondantemente la Turchia per accogliere (e possibilmente tenersi stretti) i profughi siriani. In quell’occasione il trattamento delle donne siriane all’interno dei campi profughi fu parecchio vergognoso. Nel dubbio l’Europa oggi ha deciso di riprovarci destinando un altro po’ di fondi (soldi ovviamente nostri) a quel sovrano illuminato che è Erdogan, per prendersi anche un po’ di afghani.
Certo, dove mettere le donne afghane che scappano dal regime oppressivo dei talebani e dalla totale soppressione dei propri diritti? Ovviamente in Turchia dove Erdogan è un tale fautore dell’emancipazione femminile che ha deciso di staccare Ankara dalla convenzione internazionale contro la violenza sulle donne. Sì, quel gentiluomo che ad aprile scorso ha accolto con gioia accanto a sé il presidente del Consiglio Europeo Charles Michael dimenticandosi però di porgere una sedia anche alla presidente della commissione Europea Ursula von der Leyen. Ma l’Unione Europea non si formalizza mica e ha stanziato altri 3,5 miliardi alla democraticissima Turchia.
Soffermarsi sulla situazione delle donne in Pakistan e Iran, gli altri due paesi destinatari dei fondi dell’ue per l’accoglienza degli afghani è alquanto inutile e anche un po’ doloroso. Vi basti sapere che nel Global Gender Gap Report del 2021 il Pakistan si trova al 153esimo posto su 156 e l’Iran al 150esimo posto. (l’Afghanistan è al 156esimo posto). Benissimo no?
Questa retorica della poveretta che ha bisogno di essere salvata, di queste donne afghane che come sacchi di patate vengono trascinate da un posto di merda ad un altro posto di merda tanto per placare gli animi delle femministe da Instagram è tossica esattamente quanto la retorica della donna eroina alla Giovanna d’Arco solo perché è donna. Cesare Cremonini che scrive che è un paradosso di civiltà che le giornaliste inviate in Afghanistan siano tutte donne e le definisce addirittura coraggiose per il solo fatto di essere donne in un posto pericoloso non ha capito niente di che significa veramente parità dei diritti, come d'altronde la maggior parte delle persone al mondo.