Non si vince mai per caso. Mai. Vinci quando dai tutto, vinci quando non ti limiti e vai oltre. Vinci quando rispetti e dai valore a ciò che fai. Stanotte ho guardato Il sogno azzurro - la strada verso Wembley, il documentario Rai che racconta il mese degli Europei, dal ritiro ai festeggiamenti post finale. La visuale è dall’interno: telecamere dentro la sala riunioni, nel centro di allenamento, a bordo campo, nelle sale pranzo, nelle camere, sull’autobus. E si capisce perché la coppa l’abbiamo portata a casa noi e non l’Inghilterra. E si capisce perché noi la medaglia l’abbiamo baciata e loro se la sono sfilata dal collo.
Non si vince mai per caso. Le vittorie nascono dagli esempi, dagli atteggiamenti, dai dettagli, dalle esperienze. L’esperienza di De Rossi, per esempio. Un campione del mondo nel 2006 che però ti dice: io qui sono l’ultimo arrivato quindi porto i palloni, i paletti, le casacche. Umiltà. Esempio. De Rossi che ti spiega: noi siamo qui per serate come queste, al di là della vittoria e della sconfitta, siamo qui per vivere momenti felici. Un risultato conta ma sempre fino a un certo punto. Importa l’intensità, l’atteggiamento, appunto, se non vinci sai che ci riproverai perché grazie a quell’atteggiamento sai che prima o poi avrai un’altra possibilità.
Poi c’è Mancini, di cui ho già detto tanto, che vede le partite prima che si giochino, mai una parola fuori tono e fuori posto: “Voi sapete cosa fare” ripete continuamente ai giocatori. Li carica di responsabilità e fiducia. Ripete anche: divertitevi e credeteci. Un mantra. Due verbi fondamentali per riuscire in qualsiasi cosa, in qualsiasi campo. Poi ci sono i giocatori, tutti, anche quelli meno impiegati come Sirigu, il secondo portiere, decisivo per il gruppo, decisivo per la testa dei suoi compagni e soprattutto di Donnarumma.
Infine c’è Vialli. Mamma mia. Dice: “In finale la vittoria più che una gioia diventa un sollievo perché è difficile convivere con la sconfitta. Chi vince dovrebbe sempre ricordarsi che nello spogliatoio accanto c’è qualcuno che sta piangendo”. Ripeto, la vittoria si costruisce con le esperienze, che maturano soprattutto nelle sconfitte, ecco perché noi abbiamo vinto e gli altri no. Perché nel nostro staff c’era chi ha anche perso e ha perso male ma conosce un passaggio che proprio Vialli ha letto la sera del suo compleanno, due giorni prima della finale e lo stesso giorno della finale Mondiale del 2006, davanti a tutta la squadra. E lo conosce non perché lo ha imparato a memoria ma perché l’ha vissuto. Il passaggio è questo, l’ha scritto Roosevelt ma sentirlo recitato da Vialli che si commuove e ha la voce spezzata è un’emozione tosta.
Eccolo: “L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L’uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria, né la sconfitta”.
Qui c’è tutto. C’è la vittoria e c’è la sconfitta, che spesso possono essere la stessa cosa. C’è il perché noi abbiamo vinto. Guardatevi il documentario. E quando pensate che il calcio (o qualsiasi altro sport) è solo un pallone che gira tra tante persone o che una partita è solo una partita ripensateci. Perché non è così. È molto di più.