Il primo è il desiderio in un bambino. Piccolo, nascosto sotto una massa di persone raccolte intorno all'auto di Charles Leclerc a Maranello. Lui ha il finestrino abbassato e pazientemente firma tutti autografi, scatta decine, centinaia di selfie. Dal caos generale si alza una vocina: "Charles, puoi vincere?". È la richiesta di un bambino, innocente e tenerissima, ma è anche quella di tutti i ferraristi del mondo, tutti quelli che - almeno una volta - hanno desiderato rivedere la Ferrari sul tetto del mondo. Il monegasco sorride: "Eh, faccio di tutto. Ci provo, ci provo". Il bambino sembra soddisfatto: "Ci provi? Grazie".
È quello il sogno, il desiderio più grande. È sempre stato quello. Da quando le Ferrari le vedeva sfrecciare sotto casa, nelle strade della sua Monaco, con papà Hervé che gliele indicava pazientemente una ad una ma lui, ipnotizzato dalla velocità, vedeva solo il rosso. Da quel giorno davanti alle porte di Maranello, fermo ad aspettare il ritorno dell'amico Jules. Lui dentro, Charles fuori. Bianchi, il padrino, il mentore, primo pilota della Ferrari Driver Academy, l'esempio da seguire in tutto. "Lavora sodo e ce la farai", gli disse davanti ai cancelli della Ferrari. Leclerc lo prese in parola, quel giorno come molti altri.
Il secondo, di desiderio, è quello di un padre. Papà Hervé che in Formula 1 non ci è arrivato mai, che ha corso fino alla Formula 3, che si è dedicato ai figli, portandoli in giro per kartodromi, autodromi, piste in tutta Europa. Che ha speso più di quanto possedesse, che ha cercato ogni soluzione migliore, ogni occasione disponibile. Il sogno era lo stesso: vedere quel ragazzo, il suo ragazzo, arrivare in Formula 1 e farlo con Ferrari. Vincere dove avrebbe sempre voluto, esserci per lui. Hervé è morto in un mite giorno di giugno del 2017, l'anno della consacrazione del figlio in Formula 2, del suo contratto per un sedile in Formula 1 per la stagione successiva. Non l'ha visto realizzarsi, quel sogno, ma ha sempre saputo che Charles ce l'avrebbe fatta.
Il terzo desiderio è scritto su un casco. Un regalo, nel giorno dell'addio del suo primo compagno di squadra in Ferrari, Sebastian Vettel. Una richiesta forse, un consiglio sicuramente: "Fai qualsiasi cosa per essere felice". Il talento non manca, la voglia di arrivare neanche, ma vincere non è tutto. Ci ha messo molto per capirlo Sebastian Vettel, lui che per diventare campione del mondo Ferrari come il suo mito - Michael Schumacher - avrebbe fatto di tutto. Lui che non c'è riuscito, ma che ha capito il valore del percorso, il dolore della sconfitta.
Il quarto desiderio è quello di Charles. Oggi, nel giorno del suo 27esimo compleanno, andando verso la conclusione di una stagione complicata, di un anno che lo ha visto affrontare grandi successi, dalla tanto desiderata Monaco alla seconda vittoria a Monza, e delusioni difficili da accettare. Sa che il prossimo anno, con l'arrivo di Lewis Hamilton, sarà una stagione densa di cambiamenti, alla ricerca di una maturità obbligata. Sa quanto sia difficile, quel sogno che ha sempre avuto e sa quanto le possibilità di schiantarsi, di farsi più male di quanto non si sia già fatto, siano alte. Ma non si possono cambiare i desideri, una volta che si ha scelto di soffiare sulle candeline.
Non c'è tempo per pensare, quando chiudi gli occhi e tutti applaudono. Quando gridano: "Non dirlo, altrimenti non si avvera" anche se tutti lo sanno già, lo conoscono già quel sogno. Tuo, di tutti. Un altro compleanno, un'altra stagione davanti. Per i desideri di Jules, di Hervé, per il consiglio e l'augurio di Seb. Che il talento c'è, quello non è mai mancato, e c'è il cuore. Il cuore che muove il corpo davanti alle fatiche, le ingiustizie, le perdite. Il cuore che non cambia sogno.