Sudore, lacrime, mare. No, non è un discorso motivazionale di Winston Churchill per incoraggiare i suoi lads a difendere le coste dagli svasticati nazi. È la narrazione fondante del video reel promozionale di Taranto Capitale della Cultura 2022, titolo a cui Taranto si è candidata insieme ad altre nove città: Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Soligo, Procida, Trapani, Verbania e Volterra.
Il video è stato ripreso nel newsfeed da diverse redazioni d’Italia, dal Messaggero a Repubblica, e la città dei due mari s’è ritrovata di nuovo sotto la luce dei riflettori nazionali, a dover recitare la parte della città resiliente che prova a cambiar volto, nonostante l’ex-Ilva continui a restare appollaiata sulla collina dei Tamburi. Dai vertici istituzionali locali e regionali il mantra che arriva è solo uno: Taranto deve mutare pelle, deve cambiare.
È un posto strano, Taranto. Se ci nasci, come me, non puoi non subirne la fascinazione tipica delle cose pericolose, sporche, un po’ sacrileghe. Sembra una di quelle ferite che non riesce mai a suppurare del tutto, dove si accatastano infezioni su infezioni fino a formare una crosta tumescente e pulsante.
Taranto è stata una fervente realtà industriale coi metalmezzadri che guadagnavano più degli insegnanti, poi negli anni 80 è stata epicentro della terribile guerra di malavita tra i fratelli Modeo, con oltre 160 morti ammazzati in tre anni. Gli anni 90 sono di interludio, alternando anonimato nero e ribalta trash grazie al primo sindaco populista della storia italiana, Giancarlo Cito. Il nuovo millennio è solo dissesto comunale, lotte ambientaliste, scoppio del caso-Taranto, o dovremmo dire caso-Ilva.
Ma qual è il vero volto di Taranto, allo stato attuale delle cose? Difficile dirlo.
Di sicuro, non è solo quella che vediamo nello spot promozionale, così ripulita, così carica di speranza. Gli unici carichi di speranza, a Taranto, sono gli sciacalli pronti a ingrassare al ritmo di progetti fatti di contributi statali a fondo perduto e soldi dell’Unione Europea.
Il lato oscuro di Taranto è denso. Tumori, leucemie, linfomi. Una danza macabra che i tarantini ballano a colpi di tac e chemio. A Taranto la disoccupazione giovanile è al 53%. O lavori all’Ilva, o entri in Marina, alla meglio. Sennò via, 700km di A14 direzione Bologna, per tentare fortuna da fuorisede. La cosiddetta “Taranto Bene”, un pugno di famiglie che detiene il possesso di mezzo litorale e tre quarti di città, è edificata su raccomandazioni, clientelismo, usura e palazzinari. La loro mentalità è questa: fotti per non essere fottuto. Taranto è la città dove la malavita non si spara più come trent’anni fa ma la droga gira a livelli impressionanti. Non conosco un ragazzo di Taranto che non si faccia di qualcosa. Direte pure che ormai in società tutti si fanno ma è diverso. Qua se ti va bene resti un ragazzo di piazza che campa a colpi di vurpi (canne) e birra Raffo, ma il rischio di passare al pacchettino di cocaina da venti euro è altissimo e quasi scontato. La cocaina gira a ritmi esagerati, non solo in termini di consumo ma di distribuzione. In un posto s’erano inventati la striscia d’asporto, cioè tu entravi e lasciavi 10 euro e potevi buttarti un tiro in diretta fatto da loro, su uno specchio ribaltato. Che poi è tutta anfetaminica la coca che gira a Taranto, dà tachicardia e ansia, sono gli scarti degli scarti. Sta tornando di prepotenza l’eroina. Ho amici che hanno iniziato a farsi di roba. Niente più spade nel braccio, te la fumi comodamente sulla stagnola. Ci giocavo a calcio con alcuni di loro. Erano dei ragazzi tranquilli, normali. All’improvviso inizi a vederli di meno, non rispondono più alle chiamate per il calcetto.
E il lato luminoso?
Il lato luminoso è che nonostante tutti i calci in bocca che ha preso, ‘sta città è dannatamente bella. Mare, entroterra, conche magiche, strade perdute, ragazzini che giocano a calcio col super santos per strada. Il popolo tarantino, pur avendone viste e vissute di tutti i tipi, mantiene un’ironia e un sorriso che non si trova dappertutto. Gente vera, che più ti insulta e più ti vuole bene, che oscilla tra lo scherzo dissacrante e la sacralità delle tradizioni, siano religiose o semplicemente di vita, come la guantiera di dolci domenicale. Il lato luminoso di Taranto sono le persone pulite, che non si mischiano alla solita pallosa politica e agli affari del mondo di mezzo, che portano avanti i loro progetti in un territorio come questo, dove manca proprio una base di pubblico capace di recepire alcune idee. Il lato luminoso di Taranto è fatto di posti come il Fadini, come le botteghe degli artigiani, come le salumerie dove con 4 euro ti fai un panino di cristo e una Raffo ghiacciata e scendi giù alla Rampa da Vinci a osservare le barche dei pescatori che ormeggiano al molo della Scesa Vasto.
Il titolo di Capitale Italiana della Cultura 2022 potrebbe essere un punto di svolta. Molti dicono che la città non ha le carte in regola per fregiarsi di tale riconoscimento. Vero. Di cultura, in termini di fermento effettivo, non c’è nulla tranne l’hub musicale che si è innestato tra concerto del 1° maggio, Medimex e Cinzella Festival. Lasciate perdere i musei, gli ipogei, la storia: tutto bello, ma non è un parametro valido. Taranto ha una storia millenaria, il Museo Archeologico è imponente, la Cattedrale di San Cataldo è devastante, ma oggi la cultura deve soprattutto portare gente, come un buon PR alle serate. Le robe completamente auliche sono fuori mercato. Di fatto, queste competizioni servono ad avere i soldi necessari per rilanciare le città, non premiano un lavoro già svolto. Matera ne è l’esempio perfetto, in questo senso. A Taranto non c’è niente di culturale, ma con questi riconoscimenti potrebbero arrivare tanti investimenti.
Il timore è che a Taranto non ci sarà uno sviluppo sostenibile. Che quando arriveranno fondi statali ed europei, sarà una gara a gentrificare quartieri storici come la Città Vecchia e a privatizzare quel poco di pubblico che è rimasto in litoranea. Che tutto finirà convogliato in cementificazione selvaggia e sfrenata, per ingrassare di più le pance dei soliti tarantini che c’hanno status symbol e ville a gettare. La paura è che ci toglieranno quel poco di vero, di bello, di luminoso che c’abbiamo, lasciandoci una realtà finta e artefatta, di plastica, come quei posti sulla costa spagnola che non hanno niente di speciale.
Il solito sangue amaro, alla fin fine. Niente di nuovo, per noi tarantini.