L’ho fatto di proposito: ho preso l’altra macchina che puoi guidare per partire questa notte perché così prenderai la Kia. La chiamiamo così da una vita, la Kia, per cognome. Ormai fa fatica pure a muoversi e casca a pezzi dopo che tu e tuo nonno, in pieno delirio rallystico, le avete assestato il colpo di grazia rischiando di lasciarmi sia senza un figlio che orfano in un colpo solo. Ma è stata la prima macchina e ancora adesso fa il suo ed è il motivo artefatto per cui l’ho sempre tenuta: dalle nostre parti nevica e il fuoristrada tutto manuale vecchio e puro fa comodo. In verità sarebbe un gran dolore disfarsene – non ho un pessimo rapporto con la parola fine, ma il verbo invecchiare fino al punto d’essere inutile mi devasta, e lo sai – ma meglio la scusa della neve. M’ha portato a fare la maturità 21 anni fa quella macchina e, proprio perché mi sono fregato l’altra che puoi guidare, ci porterà anche te. Me lo ricordo ancora quel viaggio, che poi saranno meno di tre o quattro chilometri, partendo dallo stesso punto da cui partirai tu domani. Anche la casa, infatti, nel frattempo è tornata la stessa. È lo stesso pure il liceo, ma non nei muri (maledetto 2016!). Dice che vuole andar lì anche tua sorella e non nascondo che ci godo, perché poi le tradizioni in qualche modo garbano un po’ a tutti. Va be’, divago sempre, ma alla fine è tipico di una notte prima degli esami: pensieri che si accavallano, ricordi che ritornano, pure un po’ di ansia e dolore, ma comunque un momento emotivamente indimenticabile.
Una intensità così la riproverai solo quando ti sentirai chiamare “papà”. Solo che la notte prima degli esami questa volta è la tua, ma come ha scritto Cosimo qualche giorno fa, la scuola te la ricordi sempre con gusto. E io mi ricordo quei chilometri fatti proprio con quella stessa Kia, alla tua età, verso lo stesso liceo e partendo dallo stesso punto, come un soldato alla guerra con il suo carrarmato blu: solo contro un nemico che si chiamava commissione esterna (e quella interna ancora peggio, dopo cinque anni da casinista impenitente). È così che ti immagino, ti ci ho immaginato da prima che nascessi, meno di due anni dopo quella maturità, altrimenti non ti saresti chiamato Alessandro. Condottiero. Te l’ho già scritto una volta: πηγαίνετε και κατακτήστε ce l'hai dal nome e nel nome, τιμή nel sangue, κῦδος spero lungo la strada. Quella che farai oggi con la Kia… intanto. Poi si vedrà.
E niente, l’impulso di scrivere è una roba che non si controlla. Dicono che leggere è scopare e scrivere è masturbarsi. Se è così, io mi masturbo per lavoro e mi pagano pure. Però a volte si scrive solo per rispondere a qualcosa dentro che ti chiede di farlo. Come stasera, in questa notte prima degli esami. È una roba che devi fare proprio, quasi per buttare fuori uno per volta tutti i pensieri che ti tempestano la testa. Se li scrivi svaniscono, se svaniscono fanno spazio ad altri. Solo che scrivere e guidare non si può e quindi mi sono fermato. Anche se sono appena partito. Già, sono di quei padri che il giorno della maturità del figlio stanno altrove. È andata così, c’era una possibilità su cento che succedesse ed è successo. Tu dici che è l’ultimo dei problemi, ma sono giorni che mi girano le palle per questa cosa perché, e qui torna l’altro tormentone educativo di cui avrai pieni i coglioni, velocità perfetta vuol dire solo esserci… essere là. Il buon vecchio Richard Bach potrebbe essere materia d’esame? Boh, forse no…o forse per l’Inglese. Ma va be’, per quando tu e la Kia andrete come un soldato e il suo carrarmato al fronte della maturità, io starò a circa 500 km. Forse è lo stesso un “esserci”. Non lo so. Forse me lo racconto e basta. E magari mi sono pure evitato un “guarda pa’ che non ti ci avrei voluto tra i maroni quel giorno”.
La mezzanotte è passata da un po’. Oggi hai gli esami, ma è ancora la notte prima degli esami. Che poi quest’anno sono strani: un orale secco, elaborato da presentare e poi qualche domanda. Una sessantina di minuti in tutto, come se di una partita si giocassero solo i supplementari e senza calci di rigore. Da una parte potrebbe essere figo, dall’altro posso capire che l’ansia, per chi ci tiene a far bene, diventa tanta e tutta insieme, tanto da poter risultare difficile da gestire. L’ansia come argomento di scienze potrebbe andare? Scienze è una di quelle materie che ai miei tempi non si faceva (arbitrariamente, però). Per te, però, su questo non ho nessun timore. Che paralizzarsi non pagherà mai quanto andare avanti è qualcosa che hai imparato e fatto tuo. Io, invece, stasera ho imparato che le piazzole, per scrivere, sono un posto fantastico e fino a stasera avevo creduto che servissero solo alle auto guaste e agli automobilisti incontinenti, oltre che a qualche coppia fedifraga. Vedi? Conseguire la maturità non ti renderà meno studente… perché la materia di studio sarebbe infinita e soprattutto perché so di non sapere niente! – come cantava Guccini.
Fermo di nuovo. Guccini m’ha ricordato Guccini. O, meglio, quella “Culodritto” che con tua mamma usavamo come una specie di ninnananna: “presto ti accorgerai come è facile farsi un inutile software di scienza e vedrai che confuso problema è adoperare la propria esperienza”. Oh, sempre attuale diobo’. Che poi “Culodritto” usata a ninnananna con tua madre m’ha ricordato a sua volta che tu un esame di maturità l’hai già vissuto… come straordinario e venerato elemento di disturbo. Insomma, eri in quell’età che non si conta in anni e mangiavi ogni tre ore e, quindi, hai in qualche modo già partecipato a tre prove scritte e una orale. Ma giusto il tempo di farti una mangiata… sorvegliato a vista in quanto – dissero i soliti malfidati – possibile ricettacolo piagnucolante e rigurgitante di qualche bigliettino (certo che per pensare una roba del genere ci vogliono menti veramente malate).
Le piazzole dell’autostrada sono più larghe, ma mettono un po’ di soggezione in cambio di una sventagliata meno violenta quando passano i tir. M’è venuto in mente Seneca. Lo so che non hai alcuna voglia che te lo chiedano e, quindi, non te lo auguro. Ma visto che il tuo esame me lo devo solo immaginare voglio fare come mi pare e come piace a me. Seneca era un figo da paura. Spietato in prosa. Indagatore di un emerito cacchio, a pensarci bene, perché dove vai a trovarlo uno più cinico di Seneca? Nessun vento sarà mai favorevole al marinaio che non sa dove vuole andare. Per la serie: tutto ciò che non ha un indirizzo non esiste. E vale pure per il pensiero, che a diventare vaneggiamento ci mette giusto il tempo di smarrire un indirizzo. Come quando tu, per fare lo stronzo, dici che ho sempre dato più attenzioni a tua sorella: indirizzi un pensiero, ma finisci per vaneggiare.
Ma quanto sono belli gli autogrill? Gli autogrill sono come quei cani con il muso ingrugnito e che sai già che ti morderanno, però li avvicini lo stesso per provare a fargli una carezza. L’autogrill è un po’ il grillo parlante di quelli che vivono velocemente o facendo della velocità una scelta. L’autogrillo parlante che ti ricorda un concetto semplice semplice e quindi spietato quasi quanto Seneca: in autostrada puoi andare più veloce, ma devi sapere che se vuoi un caffè lo pagherai il doppio. Alla cassa ti incazzi sempre un po’, ma va bene così perché così è anche vivere: conti da pagare per ogni scelta, sapendo che più è stata forte, veloce, la scelta, più alto è il prezzo. E poi c’è un sacco di rara umanità dentro un autogrillo parlante, persone che incontri un secondo e di cui provi a immaginare le storie, creandoti film pazzeschi nella testa. Tipo Pirandello con le sue maschere e i suoi personaggi in cerca di autore: normalità che sottintendono follie e viceversa. Cazzo, riportare in vita Pirandello e fargli scrivere una roba tipo “viaggio negli autogrill d’Italia” dovrebbe essere la prima mission di una fantomatica joint-venture tra scienza e letteratura. Pirandello, se non ricordo male, lo chiesero a me 21 anni fa, si collegava alla tesina – che, nomen omen, era sulla follia - e la domanda su Pirandello me la aspettavo. Un classico come Grisbì e Coca Cola prima della pennichella in autogrill. Grisbì e Coca Cola è l’essenza del viaggio.
A stomaco pieno, alimentando veracemente una overdose da zuccheri, e dopo aver sonnecchiato, si viaggia meglio. Oppure sono io che non riesco più, a 40 anni suonati e una maturità conseguita – ma mai realmente maturata – 21 anni fa, a distinguere l’appagamento passeggero dalla vera sostanza della serenità. Però vengo da quella formazione lì che è figlia di uno che mentre beveva cicuta si autoconvinceva che a crepare fossero tutti gli altri e, quindi, non è che mi sto tanto a chiedere. Chissà, piuttosto, cosa ti chiederanno di filosofia? Probabilmente con i programmi non ci si arriva nemmeno, altrimenti sarebbe difficile lobotomizzare ancora generazioni all’ideale del gregge – secondo cui il pensiero si è fermato a Marx e Cristo a Eboli –, ma se potessi rifare un esame di maturità sarebbe fighissimo parlare di Benedetto Croce. A te non garba, lo so. Però il concetto che “ogni uomo è un microcosmo e non in senso naturalistico, ma storico” è fantastico. E te lo dice un microcosmo pieno di Grisbì e Coca Cola. Che poi oh, il piacere, anche di Grisbì e Coca Cola, è un altro di quei temi che si ricollegano di brutto un po’ a tutto, da Epicuro alla prima, unica, vera, potentissima e indiscussa rockstar della letteratura: D’Annunzio. E Bukowski scansati!
È giorno da un po’. Avevi detto che saresti partito presto, ma WhatsApp dice che non ti sei ancora collegato, quindi forse i pensieri della tua notte prima degli esami ti avranno fatto tirare un pochino più lungo. Conosco gente che la mattina della maturità non s’è svegliata. Non fare scherzi, oh!
Eccoti. Ti chiamo? No: la somma delle ansie non serve a niente. Ancora pochi minuti e sarai al volante della vecchia Kia, ci penserà lei a dirti qualcosa. Conosce il viaggio e pure lo spirito del viaggiatore. Magari le auto, come le moto, hanno un’anima davvero e quando metterai le mani sul volante la Kia saprà riconoscere la presa del maturando. E ricorderà anche lei quando era giovane – e ha contenuto amore, sogni, goliardate pazzesche, rabbie trattenute e sofferenze esplose al chiuso di un abitacolo – e non serviva solo per quando c’era la neve. Che poi, magari, mica è detto che le faccia schifo: adesso è più concreta. Mentre ti accompagna verso la città che sale, come l’opera di Boccioni, visto che dovrai parlare anche d’arte, dove il tumulto è sia dentro che fuori, ma il futuro arriva lo stesso. E sempre con una ragione, oltre che per una ragione. Tumulto. Esiste una parola più arrapante?
E parlare, parlare, parlarsi addosso, dimenticando il tempo troppo veloce e nascondere in due sciocchezze che sono commosso. Rieccolo Guccini, ho in mente questo passaggio di una canzone di cui non ricordo bene il titolo, forse “Vorrei”. Sì, sono commosso oh! Perché è quasi ora e tocca a te. E basta pure scrivere, adesso. Fino a che non chiamerai o ti farai vivo in qualche modo, c’è solo una cosa da fare. E da fare in loop e col volume a cannone: il metal non mi piace, gli Iron Maiden ancora meno, ma “Alexander The Great”, ora, ci vuole di brutto.
Senza testa, ma con la testa e il cuore, sempre!
Papà