A Riders ci sono arrivato nel 2007. E da quando ho cominciato a frequentare l’ambiente moto in tanti mi hanno ripetuto questa frase: quando smetterà Vale, smetterò anche io. Me lo ha detto Gigi Soldano, il fotografo del Motomondiale, me lo ha detto Paolo Beltramo, l’inviato dai box, solo per citarne due. Perché, caro Vale, hai segnato un’epoca, prima di te era tutto diverso e con il tuo arrivo hai cambiato tutto.
Hai fatto entrare il motociclismo nelle case degli italiani. Per la moto sei stato una rivoluzione copernicana, come l’invenzione della televisione per il pubblico prima e l’arrivo di internet poi. E hai segnato anche una generazione. La mia. Quella dei nati alla fine degli anni Settanta, che ti abbiamo scoperto mentre eravamo ragazzi, ti abbiamo goduto mentre studiavamo all’università, ti abbiamo seguito mentre facevano i primi lavori e adesso ci ritroviamo uomini come te, chi più cazzone chi meno. Quando ti ho intervistato l’ultima volta mi hai guardato e mi hai chiesto: tu quanto anni hai? Hai più o meno la mia età no? E quando ti ho detto che sì, che anche io ero del 79, mi hai risposto: “Eh vedi? Si vede che siamo coetanei”. Già. Solo che io la mattina non riesco ad aprire l’occhio destro e ho i legamenti delle ginocchia che mi fanno male mentre tu, a 42 anni, sei sempre lì a dannnarti con dei ragazzini e oggi, alla fine, hai annunciato quel maledetto ritiro.
Un addio a cui ci stavamo preparando da mesi, che sapevamo sarebbe arrivato. E sai cosa? Tu, Vale, sei come Vasco Rossi. Stesso cognome, stesso proposito: tu puoi fare ciò che vuoi. Hai presente quando Vasco anni fa faceva dei clippini stupidi su Facebook? Tutti a dire che si era rincoglionito, che era finito, e io già allora tra me e me pensavo: in realtà Vasco può fare ciò che vuole. Risultato? Quelli che berciavano sotto ai suoi post sono rimasti a berciare sui social e Vasco è ancora Vasco. Discorso chiuso.
Tu puoi fare ciò che vuoi. Perché la verità è che Valentino non smetterà mai. E il motivo è che Vale oramai fa parte dei “soliti”. Quelli che ci sono entrati dentro, ci porteremo dietro, indipendentemente se ti abbiamo tifato od odiato, seguito ogni santa gara o no, apprezzato o meno. Valentino Rossi come Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Jovanotti. Ce ne sono pochi. Siete in pochi. Valentino Rossi simbolo pop. Come la Coca Cola, le Nike, le Chiquita. Andy Warhol ti avrebbe disegnato, sì.
Tu, Vale, fai parte di quelli lì, fai parte di noi.
Quelli che andavano in giro in Apecar, mica nelle macchinine che i quattordicenni usano oggi, brutte, inutili, anti sociali.
Quelli che di notte facevano i giri su nelle colline con i cinquantini, gli Zip, i Booster, l’F10 che in Toscana chiamavamo FIO.
Quelli che abbiamo capito che le cose non vanno mai come vuoi tu la sera che Zenga sbagliò l’uscita e Caniggia di testa ci mandò fuori dalla finale dei mondiali in Italia.
Quelli che hanno sofferto per il rigore di Baggio nel 94 e visto Materazzi e uno che si chiama Grosso farci vincere in Germania contro la Francia, l’apoteosi del godimento massimo.
Quelli che due giorni prima della maturità erano al primo Heineken Jamin' Festival all’autodromo di Imola a cantare Oé-Oé Oé Oé Vasco Vascooo.
Quelli che ai figli ai nipoti ai pronipoti quando saremo vecchi potremo dire: noi abbiamo visto Valentino e voi non potrete mai capire, mai, che cazzo vuol dire.
Vale ci stiamo preparando al tuo addio. Che è pure il nostro, ché tutto passa, 30 anni di vita, una generazione, ché tra le stragi di mafia e Berlusconi, le magliette di Fido Dido e i Simpson alle due del pomeriggio in tv, i Motorola e i Nokia, non usciremo mai davvero da lì. Qualcuno che non ricordo chi ha detto: non ci libereremo mai delle catene che abbiamo spezzato. Siamo cresciuti, cambiati, ci siamo sposati, abbiamo figliato, ci siamo lasciati, separati, abbiamo smesso di fumare, ogni tanto ci facciamo ancora qualche canna, ma dentro di noi sentiamo che anche se abbiamo smesso di essere quei ragazzi lì, infondo quei ragazzi lì non smetteremo mai di esserlo.
Tu, Vale, sei noi. E noi siamo te. Ci sei entrato sottopelle come Non è la Rai, e non te ne andrai mai, pure adesso che smetterai di correre, perché davvero non smetterai mai. Fin quando ci sarai tu, fin quando ci saremo noi, la tua presenza sarà forte anche nell’assenza.
Tutti in piedi sul divano sei tu che l’hai ispirato e sei tu che ci hai fatto mettere. Valentino c’è. E ci sarai sempre, nonostante il ritiro. E i criticoni, quelli che hanno sempre capito tutto senza capirne mai un cazzo, mandali a fare in culo dopo averli sorpassati. Ancora una volta. Come hai fatto nel 2001 a Suzuka con Max Biaggi. Graziano, tuo babbo, quando avevi 3 anni ti portava in un parcheggio, ti metteva sopra una macchinina, legava la macchinina al motorino che guidava lui, e tu dovevi imparare a controllare la derapata. La tua natura è correre. E adesso che hai fatto la tua scelta sappi che comunque tu, alla fine, davvero non smetterai mai.