Chi ricorda la citazione del titolo c’era già negli anni ’90. Era il tormentone pubblicitario di una linea di gelati e spopolava in televisione. Chi lo ricorda, appunto, ha pure l’età giusta per ricordare che in quegli anni lì dire Superbike significava dire Ducati. Adesso, invece, dire Ducati è dire corse. Perché nel frattempo il marchio di Borgo Panigale è arrivato in MotoGP, vincendo anche nel 2007 con Casey Stoner, fino a affermarsi di prepotenza, nella scorsa stagione e poi in quella 2023, dopo anni di digiuno, continuando a primeggiare anche in Superbike. Le corse in moto, ormai, sono diventate una Ducateria e se c’è un viso che più di tutti incarna l’ascesa di Ducati è quello di Gigi Dall’Igna.
A guardarlo negli occhi viene in mente lo stesso fuoco sornione che si vedeva negli occhi di Enzo Ferrari (quelle poche volte che li mostrava). A guardarlo in faccia viene in mente Gigi Proietti in Mandrake. A provare a entrargli nei pensieri c’è da perdersi. Perché si vede da lontano che ne ha costantemente un’altra in testa, che sta sempre un’idea avanti, e si vede pure che non ha un carattere facile. Lo conferma pure chi lo conosce bene e lo confermano anche i rapporti, talvolta burrascosi, avuti con i piloti che gli sono passati tra le mani in questi anni. La sua creatura è la Desmosedici (post Stoner e Valentino Rossi) e ha quell’aria lì pure un po’ presuntuosa di chi è disposto a farla maltrattare solo da chi saprebbe anche farla vincere. Quest’anno, finalmente, c’è riuscito Francesco Bagnaia. C’è riuscito grazie al lavoro e al talento, grazie a una rimonta pazzesca e grazie anche, però, a una moto che è stata oggettivamente superiore a tutte le altre e che è salita sul podio con tutti i suoi piloti. Quella moto, la Desmosedici, appunto, è la creatura di Gigi Dall’Igna.
Ali ovunque, appendici al limite del regolamento, abbassatori che hanno spiazzato e fatto inca**are tutti gli altri e una sola parola d’ordine: velocità. La stessa velocità di cui, paradossalmente, a Gigi Dall’Igna fregava poco o niente subito dopo la laurea in ingegneria. Sì, perché l’ingegnere degli ingegneri della MotoGP ha una storia di contraddizioni. O, meglio ancora, è altro rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare. Non è stato, ad esempio, il classico secchione del Liceo, di quelli che non alzavano mai la testa dai libri e si giocavano l’adolescenza studiando. S’è seduto sui banchi di un istituto tecnico, andava bene a scuola, ma faceva la vita di tutti e pure senza sogni particolari. All’università, invece, è andato veloce, ma al solito master ha preferito un’altra strada. Quella che poi è diventata, pur senza volerlo, la sua strada.
“Da ragazzo guardavo le gare motociclistiche e di Formula1 – ha raccontato in una intervista - ma non sono mai stato un tifoso accanito. Quando mi sono laureato cercavo un’opportunità lavorativa che mi permettesse di imparare molto in poco tempo, e i reparti corse mi sembravano la palestra ideale! In effetti mi immaginavo di lavorare in questo settore per un paio d’anni, vivendolo come una sorta di master intensivo per poi uscirne e cercare un cosiddetto lavoro serio”. Insomma, delle corse gli fregava poco o niente e mai avrebbe pensato che lui, proprio lui, sarebbe diventato il punto di riferimento per tutti.
Ma se c’è un personaggio della letteratura che fa pensare un po’ a Gigi Dall’Igna, quel personaggio è Aiace: uno che si metteva a capo del suo esercito e andava avanti per primo, a testa bassa e pronto a ogni prezzo. Uno che s’è tirato dietro pure di essere talmente ostinato da risultare quasi al limite del buonsenso. Come Gigi Dall’Igna, appunto, che è andato avanti anche quando tutto suggeriva di tornare indietro. La Desmosedici 2021, ad esempio, era perfetta, ma ha voluto migliorarla ancora e all’inizio del 2022 i piloti ufficiali Ducati hanno sofferto più degli altri, tanto da chiedere di tornare indietro. Mentre quelli intorno, l’associazione costruttori su tutti, si mettevano d’accordo per far diventare il tornare indietro una regola. Solo che la regola dell’ingegnere degli ingegneri è un’altra: innovazione sempre e a ogni costo. “La sfida quotidiana è sempre la stessa: portare in pista nella maniera più veloce possibile tutte le idee e le soluzioni nuove che il mio gruppo di lavoro riesce a generare e sviluppare” – ha detto ancora nella recente intervista.
La velocità e la potenza come conseguenza di una ricerca continua, di un provare e riprovare che sarà pure ostinato, ma ha rivoluzionato il mondo delle corse, con tanto di colossi giapponesi che adesso fanno fatica (e qualcuno ha battuto pure in ritirata) davanti ai piccoli italiani. “Ero e sono molto più appassionato di tecnologia che di corse. Il mio team – ha concluso Dall’Igna - è composto per la quasi totalità da ingegneri, matematici e fisici, persone umanamente eccezionali, appassionate del loro lavoro, motivate ed estremamente competenti. Il livello di preparazione dei giovani che assumiamo dalle varie università italiane è elevatissimo. Di idee ne nascono moltissime, ma la sfida per il gruppo è quella di selezionare quelle che si possono realizzare e che possono dare un maggior vantaggio nelle competizioni. Devo dire che in passato era più difficile di adesso, disponevamo solo del nostro intuito per scegliere su quali soluzioni investire. Oggi è un po’ più semplice: algoritmi e calcolatori sempre più potenti ci permettono di realizzare simulazioni sempre più complesse, così possiamo avere indicazioni affidabili sull’impatto di una specifica modifica e sulle prestazioni della moto. C’è comunque un enorme lavoro di customizzazione sia degli algoritmi sia degli strumenti che utilizziamo per validarli. Tutto è infatti originariamente pensato per la ben più ricca e servita industria automobilistica. La moto, rispetto all’automobile, è un modello decisamente più complesso ed una grossa parte della nostra attività è dedicata allo sviluppo, al potenziamento e all’aggiornamento dei sistemi di simulazione”.