La Ducati senza snaturarsi ha gradualmente messo in atto una rivoluzione, che le ha consentito di ripotare il titolo mondiale a Borgo Panigale dopo 15 anni dalla prima volta. “Nel 2007 la Ducati era una moto rozza, molto difficile da guidare, al limite delle possibilità umane. Un mezzo che solo Casey Stoner riusciva a portare al limite”. A parlare è Cristian Gabarrini, l’uomo che lega il trionfo epico di Casey Stoner nel 2007 all’altrettanto storica impresa di Pecco Bagnaia nel 2022. Cristian è stato il capotecnico di Casey ai tempi ed è il capotecnico di Pecco oggi. Oggi che i due apici di Borgo Panigale sembrano vicini anche se sono incredibilmente lontani. A separare il 2007 dal 2022 non ci sono solo 15 anni, ma una filosofia di lavoro che è cambiata, un progetto tecnico che – attorno all’iconico ed essenziale motore desmodromico – è stato ribaltato.
La Ducati nel 2007 riusciva a curvare aiutata dal talento e dalla follia di guida di Casey Stoner. Era una moto scorbutica che per qualche motivo ben si sposava con il carattere schivo del pilota australiano. Eccetto Loris Capirossi, ducatista per antonomasia che aveva svezzato nel 2003 il gioiello grezzo di Borgo Panigale, tutti gli altri piloti faticavano. Marco Melandri, Nicky Hayden; piloti eccellenti insomma. La Desmosedici vinceva solo con Stoner, sorrideva solo grazie a Stoner, unico in grado di elevare la creatura ideata da Filippo Preziosi. Il motore desmodromico della Ducati, potentissimo e frastornante a marce alte, era la spina nel fianco degli avversari, il solo vero punto forte a vantaggio di Casey. Il mondiale del 2007 fu figlio anche di un’azzeccata scelta gomme: in MotoGP non c’era ancora il fornitore unico e Ducati aveva intelligentemente optato per Bridgestone differenziandosi da gran parte della griglia, che preferiva montare pneumatici Michelin. E l’azzardo pagò, come ha spiegato Livio Suppo – allora team manager Ducati – in una successiva intervista: “Avevamo bisogno di qualcosa per mantenere felici gli sponsor e rinnovare i contratti, soprattutto quello che avevamo con Philip Morris. Dovevamo assolutamente assicurare delle vittorie. Così ho guardato i risultati delle altre squadre. Ho visto che Tamada nel 2004 aveva vinto con la Honda qualche gara utilizzando pneumatici Michelin. In alcune gare era stato un disastro, in altre super veloce. Le Michelin al tempo erano una scelta molto più sicura, ma io ho pensato dovessimo passare a Bridgestone. Gli ingegneri Ducati all’epoca pensavano fossi pazzo”.
Dopo il successo del 2007 - con Yamaha e Honda passate a Bridgestone nella stagione successiva – emersero le prime difficoltà tecniche per Ducati, a cui si aggiunsero i sempre più frequenti e misteriosi mal di pancia di Stoner, che solo più tardi, una volta passato in HRC, rivelerà di aver dovuto saltare alcune gare per un’intolleranza al lattosio. Si arriva così all’epoca Valentino Rossi - Ducati, al binomio perfetto tutto tricolore che l’Italia delle due ruote sognava. “Io mi ricordavo la Ducati che andava 10 chilometri orari in più delle altre moto sul dritto, invece con me sopra mi sembra vada un po' di meno” – disse tra il serio e il faceto Valentino dopo un podio inaspettato a Le Mans, nel 2011. La Desmosedici del biennio Rossi aveva perso grip meccanico e non scaricava la sua potenza a terra, un telaio in carbonio obsoleto la rendeva rigida nei cambi di direzione e carente in percorrenza di curva. Il divorzio tra il 46 e Borgo Panigale dopo due stagioni complicatissime indussero l’azienda bolognese a stravolgere l’intero progetto MotoGP.
Il 2013 come anno di transizione, prima dell’approdo di Gigi Dall’Igna alla Direzione Generale di Ducati Corse. È in questo momento storico che la Ducati svolta, si rifiuta di affidarsi al campione – al Casey Stoner del caso – che nasconda la polvere sotto il tappeto. Serve costruire un mezzo alla portata di tutti piloti, una moto che oltre a dominare sul rettilineo riesca a farsi rispettare anche nel misto. Per certi versi Borgo Panigale tende la mano alla figura del pilota, sceglie di svecchiarsi scordandosi del titolo del 2007, evitando di restare arroccata su posizioni – convinzioni - antiquate. I primi risultati si vedono a partire dal 2015 con i primi podi convincenti di Andrea Dovizioso. Lungimirante in fase di sviluppo, cinico nel lavoro in ottica gara, per limare secondo su secondo il distacco alla domenica (nel 2013 la Ducati registrava regolarmente dai 30 ai 40 secondi di gap dai primi in gara).
A tutto ciò si affianca il genio di Gigi Dall’Igna, che dal 2016 in avanti bersaglia ininterrottamente il Motomondiale con una serie di innovazioni tecniche. Appendici aerodinamiche prima sul cupolino, poi sulla carena e infine sul codone. Il mass damper la cui funzione resta tutt’ora incerta e il cucchiaio, bandito dal regolamento, che doveva servire a raffreddare la gomma posteriore. L’abbassatore sul posteriore prima e sull’anteriore – bandito anche quello – poi. La Ducati mano a mano si issa all’avanguardia in tutti i settori, anticipa le restrizioni regolamentari, precede gli avversari in ogni singolo comparto. Nella logistica: ai box di Borgo Panigale, nei weekend di gara, ci sono stampanti 3D che sfornano alette aerodinamiche e pezzi di riserva in tempo reale, neanche fosse caffè espresso. Nel metodo di lavoro e nella produzione: portando sempre più moto in pista e legandosi al maggior numero possibile di team clienti, ai quali vengono affidate Desmosedici nelle versioni più aggiornate. La condivisione dei dati tra piloti Ducati, che nel 2022 sono diventati otto e vanno tutti forte, è totale. “La Ducati ha alzato brutalmente il livello, ora bisogna vedere se le altre Case saranno pronte a seguirla, a fare di più, a spendere di più” – parola di Valentino Rossi. Si tratta di sviluppo aggressivo, di rivoluzione completata. Perché nel 2022 la Ducati di Pecco Bagnaia, 15 anni dopo Casey Stoner, è di nuovo campione del mondo. Il motore desmodromico è rimasto, ed è rimasto irraggiungibile per tutti.
Una filosofia, quella di rivoluzionarsi senza smarrire la propria essenza, che è stata applicata anche su strada. Lo racconta Claudio Domenicali, Amministratore Delegato di Ducati, nel documentario “Ducati, Beyond the Passion” realizzato da Moto.it: “La Ducati ha seguito un percorso di evoluzione, a partire da modelli molto sportivi, performanti, ma spesso duri, difficili da guidare. Parlo delle moto che producevamo all’inizio della nostra storia moderna, tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000. Erano modelli con frizioni dure, sospensioni dure. Ora i prodotti che offriamo sono il risultato di tanti anni di ricerca per riuscire a trovare un compromesso, ovvero moto ergonomicamente ben centrate in grado di fornire una bella esperienza rotonda di guida. Che siano facili da usare e con una guidabilità del motore che possa essere utilizzata senza essere particolarmente esperti. Il tutto senza togliere questo pizzico di pepe che è caratteristico del nostro prodotto”.