Questa MotoGP è finita come doveva finire. Lo abbiamo detto anche l’anno scorso quando il risultato è stato diametralmente opposto: niente campanilismo, anche se la Ducati ci fa morire. È finita ed è un peso che ci togliamo dal petto. Quando ci sei dentro, alla MotoGP scopri piuttosto in fretta che ti tormenta, ti toglie il sonno. E non solo quando si corre in Asia, perché quello delle corse è un ambiente difficile e sa essere spietato con tutti: telefonate, interviste, rapporti che si stringono, momenti bui. Fiato corto per nove mesi, trascurare i propri affetti quasi sempre. È la vita di chi corre dietro alle moto. È come la guerra, la droga, la chemio; se ci finisci dentro non puoi rinunciarci anche se t’accorgi che ti consuma, diventando passione prima e ossessione poi. Non è mai abbastanza, la velocità ti entra sottopelle e vuoi di più, più spesso. È così per i giornalisti, anche quelli che lo fanno da prima di internet. Ed è così per i meccanici, i cuochi, i medici, i dirigenti e gli organizzatori: corri anche tu, cercando di sbagliare il meno possibile, sperando che finisca presto, convinto che non finirà mai.
A Valencia tutto questo è finalmente finito e si può dire che sia stato un lieto fine. Francesco Bagnaia ha vinto un titolo che si è meritato coi numeri e la tenacia, sette vittorie che danno una forma alla risalita più ripida di sempre con quei 91 punti recuperati. E poi Alex Rins, commovente davvero, a Valencia ha scritto una piccola pagina di storia delle corse. Con la moto piena di dediche, impresse dai suoi uomini a pennarello bianco, ha vinto di nuovo contro tutti i pronostici. Si è alleggerito, ha raccontato alle interviste, versando tutte le lacrime che aveva in corpo prima di uscire dal box: "riprenditi, tío", si è detto ad un certo punto, appena prima di portare quella moto a ritirarsi da vincente. Roba per pochi. È andata come doveva anche per Enea Bastianini, che con il team di Fausto ci ha fatto vivere una favola a cui nemmeno le corse sono abituate. Team Gresini: umanità, cazzimma, idee, tanta roba. E poi l’Aprilia, anche lei, altro piccolo miracolo. Che bello vedere quell’oggetto disegnare un sogno, parlare di mondiale per quella casa che ha un posto in poltronissima nel cuore di chi ha sentito il profumo dei due tempi.
Ecco, quella che è finita oggi non è più la MotoGP che un anno fa ha salutato Valentino Rossi. Lui aveva lasciato tutti con un po’ di vuoto, anche quelli che non l’hanno mai potuto soffrire. È stata, a tratti, una MotoGP un po’ più buia questa, privata anche dell’altro genio delle corse che è Marc Marquez. Per mesi si è vista crisi, circuiti semi vuoti e gli strascichi della pandemia, mentre al bar chiedevano personalità più ingombranti di quelle che finivano sul podio.
Quando a Valencia è finita, oggi, il buio se n’era andato da un pezzo, anche se è difficile capire bene quando. Da Valencia si va via con il cuore pieno, con la certezza che la MotoGP è tornata quella di sempre e che sta per esplodere ancora. La sensazione di pace fa subito spazio alla malinconia. Correre dietro ai piloti, alle notizie, a quello che fanno e a quello che dicono per tornare, tra un anno, alla nuova Valencia. Ora ci saranno i test del martedì, altre storie, di nuovo saremo tutti a dare il ritmo alla tastiera. Aiutandosi col caffé, un bicchiere di vino la sera, magari con una sigaretta o un energy drink. La MotoGP è finita e ha lasciato qualcosa anche a tutti noi che corriamo dietro alle moto, che siamo competitivi come quei piloti, curiosi sempre, che proviamo a superarci a sportellate. A tutti noi, che non vedevamo l’ora finisse, mancherà da morire.