Nella domenica di Valencia, nella sconfitta di Fabio Quartararo, c’è tutto il suo essere campione. Perché da campione Fabio Quartararo ha affrontato il weekend di gara. Il sorriso stampato sul volto, l’occhio vispo, l’atteggiamento di chi sa che giocarsela fino all’ultimo metro è un privilegio. Di chi sa che esserci, guidare, sfiorare l’asfalto con il gomito, è sempre un buon programma. “Ci proviamo” – il motto del suo fine settimana. Un piglio quasi alla Valentino Rossi, idolo del Diablo, rivisitato con cuffiette nelle orecchie prima della partenza e tuta slacciata.
Il lavoro maniacale fino a tarda sera, a scandagliare tutti i numeri della telemetria insieme al capotecnico Diego Gubellini. Per spremere tutto, anche l’impossibile, dal motore stracotto della sua M1. Ma piangersi addosso in mondovisione per le carenze della Yamaha non è mai stata un’alternativa. Piuttosto Fabio ha pianto da solo, nel suo motorhome, lontano da telecamere e microfoni. Accadeva in un piovoso pomeriggio thailandese, quando il cielo monsonico versava sull’asfalto lacrime di disperazione, frustrazione. Forse in quel momento Quartararo capiva che non ce l’avrebbe fatta, percepiva che il Mondiale gli stesse scivolando via, che goccia dopo goccia l’emorragia di punti nei confronti di Pecco Bagnaia sarebbe stata irreparabile. Era ancora in testa in quel momento, ma il cuore e le sensazioni comandavano, gli dicevano che la sua buona volontà non avrebbe colmato il divario tecnico con il binomio Ducati - Bagnaia. Non per questo Fabio si è arreso, nemmeno davanti agli evidenti limiti meccanici, ai plotoni di desmosedici che giorno e notte gli ronzavano nelle orecchie, togliendogli sonno e speranze. Speranze che ha tenuto vive fino all’ultimo, sino al limite del possibile e oltre. Il riscatto in Malesia al pari del ruggito di un leone ferito, un podio sudato tra rettilinei chilometrici e Ducati alle calcagna. Per arrivare a Valencia, appunto, col sorriso sulle labbra e la consapevolezza di aver dato il massimo, di poter gareggiare per sé stesso sino al traguardo finale, senza rimorsi. “Ho fatto il massimo” – è la frase di Fabio Quartaro che nessuno si sogna di levargli.
In gara Fabio ha messo in luce tutta la sua classe; staccate con la Yamaha a bandiera per rispondere agli attacchi in fondo al dritto, dove Miller, Bagnaia e Binder venivano su come il tuono. Quartararo – prima di ricucire il distacco con il gruppo di testa e riportare a galla tutti i limiti della sua Yamaha - ha smontato il progetto di Pecco, il tentativo del rivale di innervosirlo per indurlo all’errore. “Una battaglia un po' inaspettata con Pecco, ma io dovevo andare avanti quindi quando potevo lo risorpassavo” - racconta a Sky Fabio, che poi aggiunge: “Quest’anno ho sentito tanta gente che diceva che io e Pecco fossimo troppo buoni tra di noi. Ma oggi in pista si è visto che abbiamo lottato duramente e non capisco perché dobbiamo essere incazzati anche fuori pista. Complimenti Pecco. Hai fatto un anno della madonna. Non bere troppo stanotte!”. Oltre alla pista Fabio ha dimostrato tutto il suo spessore anche, e soprattutto, a motori spenti. Giù dalla sella solo abbracci spontanei ed empatia riflessa negli occhi, per quel Pecco Bagnaia che conosce e sfida da quando era un bambino. Congratulazioni al rivale e niente alibi, nessun riferimento alla nota inferiorità tecnica. Nelle occasioni in cui Fabio si è comprensibilmente trovato a lanciare segnali alla Yamaha, l’ha sempre fatto in prima persona plurale. Lui costruisce, evita le divisioni. A qualche mezz'ora dalla partenza della MotoGP – prima della gara dell’anno – è andato in griglia a salutare ed incoraggiare i suoi amici della Moto2: Jake Dixon e Tony Arbolino. Avrebbe avuto tutto il diritto di chiudersi in una stanza a cercare la concentrazione, ma ha scelto diversamente. Perché Fabio Quartararo unisce, trasmette, lega il mondo a sé. Nella sconfitta, un eroe. Un Campione.